- Giustizia riparativa, mediazione e tutela delle vittima del reato - Tema per Stati Generali dell'Esecuzione Penale - Tavolo 13 (luglio 2015)

  • pubblicato nel 2015
  • autore: Roberta Palmisano
  • Temi per Stati Generali dell'Esecuzione Penale
  • Ufficio Studi, ricerche, legislazione e rapporti internazionali
  • licenza di utilizzo: CC BY-NC-ND

 

DIPARTIMENTO AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA
UFFICIO DEL CAPO DEL DIPARTIMENTO
Ufficio Studi Ricerche Legislazione e Rapporti Internazionali


Gli strumenti di giustizia ripartiva sono largamente utilizzati in Paesi in cui è stato costruito da tempo un efficace sistema di Probation e sono considerati uno dei fattori chiave per ridurre la recidiva (recente studio dell’Università di Bucarest - Joan Durnescu –).
Sicuramente mettere al centro la persona offesa è un modo di guardare al processo e alla sua fase dell’esecuzione della pena: al di là dei profili risarcitori (nei limiti della scarsa capienza dell’offensore e comunque all’esito di processi annosi), nell’attuale sistema penale spesso la dignita` della vittima non è protetta e la comunità che si identifica in essa auspica sommari accertamenti e pene esemplari orientando politiche penali che rischiano di minare ogni forma di progresso.

Ordinamento sovranazionale
La Raccomandazione R (85) 11, adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 28 giugno 1985 ha affrontato, per la prima volta in termini generali, il tema della “posizione della vittima nell’ambito del diritto e della procedura penale” affermando che “una funzione fondamentale della giustizia penale deve essere quella di soddisfare le esigenze e salvaguardare gli interessi della vittima”, di cui e` necessario “tenere maggiormente in conto.. il danno fisico, psicologico, materiale e sociale subito”.
Il Comitato raccomanda ai governi degli Stati membri di “rivedere le loro legislazioni e prassi” valorizzando, fra l’altro, “ogni serio sforzo riparativo” “in tutte le fasi”, ed in tal quadro auspicando il piu` ampio ventaglio di soluzioni: riparazione come sanzione autonoma, sanzione sostitutiva della pena o misura con essa concorrente, ma anche condizione di grande importanza nelle decisioni di probation e diversion, esaminando al tal fine anche “i possibili vantaggi dei meccanismi di mediazione e conciliazione”.
Con la Raccomandazione n. (99)19 il Consiglio d’Europa ha definito la mediazione in ambito penale come un procedimento che permette alla vittima e al reo di partecipare attivamente, se vi consentono liberamente, alla soluzione delle difficoltà derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo indipendente. La stessa Raccomandazione specifica che ogni procedimento riparativo deve essere posto in atto soltanto con il libero e volontario consenso delle parti, consenso che le parti possono ritirare in ogni momento.[1]
La Raccomandazione R (2006)2 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle Regole penitenziarie europee al paragrafo 103 n. 7 prevede che “I detenuti che lo desiderano possono partecipare a programmi di giustizia riparativa e riparare le infrazioni commesse”.
La Raccomandazione R(2010)1 concernente le Regole del Consiglio d’Europa in materia di Probation nella parte VI fa riferimento al lavoro con le vittime e alle prassi di giustizia ripartiva.
Tra le pene non privative della libertà l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, nella Risoluzione 1938(2013) in cui raccomanda che l’adozione di sanzioni applicate in area penale esterna dovrebbero rappresentare la pena di prima scelta, salvo quando la gravità del reato proibisce ogni altra pena diversa dalla privazione della libertà, indica tra l’altro:

  1. l’assistenza e controllo da parte degli agenti della probation, e particolarmente la partecipazione a “programmi di gestione dei comportamenti delinquenti” (ubriachezza alla guida, gestione della rabbia, violenza domestica);
  2. le misure di disintossicazione e di reinserimento dei tossicodipendenti (presa in carico terapeutica ed ordinanza di messa alla prova);
  3. l’obbligo di svolgere lavori di pubblica utilità e le misure di “risarcimento della collettività”;
  4. le misure di giustizia riparatrice che tengono conto attivamente delle vittime della criminalità;
  5. i programmi innovativi di reinserimento dei delinquenti ai quali partecipa la società civile, come i programmi dei “circoli di sostegno” [circles of support] attuati nel Regno Unito;

In seno alla Commissione per la cooperazione penologica (PC-CP) del Consiglio d’Europa recentemente è iniziata una discussione ed avviata una ricerca comparativa (come sempre poste alla base dei lavori del Consiglio d’Europa) per redigere una Raccomandazione su questa materia.

L’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC) ha già inserito tra le sue pubblicazione un manuale sui programmi di Giustizia Riparativa.
In premessa si dà atto che in molti Paesi il fallimento del sistema-giustizia ha portato a cercare risposte alternative alla criminalità e al disordine sociale fornendo alle parti interessate e alle rispettive comunità la possibilità di partecipare alla risoluzione dei conflitti e di affrontare le conseguenze degli stessi. I programmi di giustizia riparativa si basano sulla convinzione che le parti in conflitto dovrebbero essere coinvolte attivamente nella risoluzione per mitigare le conseguenze negative. In generale promuovono la tolleranza e l'inclusione, aiutano a costruire il rispetto per la diversità e promuovere pratiche comunitarie responsabili.
La sfida principale è quella di ottenere il coinvolgimento della comunità e allo stesso tempo proteggere i diritti e gli interessi delle vittime e degli autori dei reati.
I programmi di giustizia riparativa si basano sul principio fondamentale che il comportamento criminale non soltanto viola la legge, ma ferisce anche le vittime e la comunità. Il programma enfatizza la costruzione di relazioni, la riconciliazione e lo sviluppo di accordi vittima-autore di reato adattati a diversi contesti culturali e alle esigenze delle diverse comunità. Così la vittima, il reo e la comunità sono parti attive nel programma ed esso spesso consente di ricostituire il rapporto tra comunità e sistema giudiziario nel suo complesso.
Nel manuale si dà atto che le associazioni di volontariato hanno svolto un ruolo molto importante nello sviluppo e nell'attuazione dei programmi di giustizia riparativa in tutto il mondo perché, essendo più vicine alla comunità hanno una maggiore credibilità rispetto alle istituzioni (polizia, pubblici ministeri e giudici) e la loro azione in questo campo è più efficace. Questa legittimazione è molto importante per i programmi di riparazione che si basano sul coinvolgimento delle comunità e la fiducia da parte delle vittime. Nel manuale è contenuta una raccomandazione interessante, rivolta alle associazioni, a non compromettere, nella collaborazione con il Governo, l'integrità del loro programma con contaminazioni politiche mantenendosi libere da clientelismo e corruzione.
I programmi di giustizia riparativa si basano sui seguenti principi: (a) la risposta al crimine deve riparare il più possibile il danno subito dalla vittima; (b) i colpevoli devono essere portati a capire che il loro comportamento non è accettabile e che ha avuto conseguenze concrete per la vittima e la comunità; (c) il reo può e deve accettare la responsabilità per la sua azione; (d) le vittime devono avere la possibilità di esprimere le proprie esigenze e di partecipare nella scelta del modo di riparare offerto al responsabile (e) che la comunità ha la responsabilità di contribuire a questo processo.
La partecipazione della vittima deve essere volontaria e scopi del programma sono:

  1. “dare voce” alla vittima, offrire loro la possibilità di esprimere i loro bisogni offrendo loro assistenza.
  2. Riparare le relazioni danneggiate dal reato, in parte per arrivare a un consenso sul modo migliore di rispondere ad essa.
  3. Denunciare il comportamento criminale come inaccettabile e riaffermando i valori comunitari.
  4. Incoraggiare la responsabilità da parte di tutte le parti interessate, in particolare i trasgressori.
  5. Individuare i possibili rimedi riparativi e i risultati che con essi si possono conseguire
  6. Riduzione della recidiva incoraggiando il cambiamento nei singoli trasgressori e facilitando il loro reinserimento nella comunità.
  7. Identificare i fattori che portano alla criminalità e informare le autorità responsabili della strategia di riduzione della criminalità.


La Direttiva 2012/29/UE[2], approvata il 25 ottobre 2012 ed entrata in vigore il giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea n. 315 del 14 novembre 2012, che gli Stati membri hanno l’obbligo di attuare entro il 16 novembre 2015, definisce "vittima" colui il quale ha subito un pregiudizio fisico, mentale, emotivo o economico a causa del reato, e ricomprende nel termine anche i familiari della persona la cui morte sia stata causata direttamente da un reato, che abbiano subito pregiudizio.
La direttiva guarda a forme di "giustizia riparativa", definendo quest’ultima come qualsiasi procedimento che permette alla vittima e all'autore del reato di partecipare attivamente, previo consenso libero ed informato, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l'aiuto di un terzo imparziale.
Si chiede agli Stati di creare le condizioni perche´ le vittime possano giovarsi di servizi di giustizia riparativa (tra i quali comprende la mediazione, il dialogo esteso ai gruppi parentali e i consigli commisurativi), apprestando garanzie volte ad evitare la vittimizzazione secondaria e ripetuta e l'intimidazione.
Dalla lettura della direttiva si evince che a tali forme alternative si deve ricorrere soltanto nell’interesse della vittima, oltre che col suo consenso libero, informato e sempre revocabile. L’obiettivo dichiarato e` infatti la salvaguardia degli interessi e delle esigenze della vittima, la riparazione del pregiudizio da essa subito e la prevenzione di ulteriori danni. Per questa ragione, la direttiva richiede come condizione per il ricorso ai servizi di giustizia ripartiva che l’autore del reato riconosca prima i “fatti essenziali del caso”.
Gli Stati dovranno stabilire le condizioni di accesso a tali servizi tenendo conto della natura e della gravita` del reato, del livello del trauma causato, degli squilibri nella relazione tra vittima e autore, e della maturita` e capacita` intellettiva della vittima, e fornire alla vittima un’informazione completa sul procedimento alternativo e sulle sue conseguenze.
La direttiva, affinchè il fine di facilitare il reinserimento sia contemperato con quello di tutela delle vittime del reato, obbliga altresì gli Stati membri a garantire “alla vittima la possibilità di essere informata, senza indebito ritardo, della scarcerazione o dell'evasione della persona posta in stato di custodia cautelare, processata o condannata che riguardano la vittima” e a garantire che essa “riceva altresì informazioni circa eventuali pertinenti misure attivate per la sua protezione in caso di scarcerazione o evasione dell'autore del reato”. Il paragrafo 6 prescrive poi che “la vittima, previa richiesta, riceve le informazioni di cui al paragrafo 5 almeno nei casi in cui sussista un pericolo o un rischio concreto di danno nei suoi confronti, salvo se tale no¬ tifica comporta un rischio concreto di danno per l'autore del reato”.
Il paragrafo12 1° comma stabilisce “almeno.. le seguenti condizioni” per accedere ai “servizi di giustizia ripartiva”: ricorso a detti servizi “soltanto..nell’interesse della vittima, in base ad eventuali considerazioni di sicurezza”;; “consenso” della vittima “libero”, “revocabile in qualsiasi momento” e “informato” (“in merito al procedimento stesso”/al “suo potenziale esito”/alle “modalita` di controllo dell’esecuzione di un eventuale accordo”, che, “raggiunto volontariamente”, “puo` essere preso in considerazione in ogni eventuale procedimento penale ulteriore”); “riservatezza” delle “discussioni .. che hanno luogo nell’ambito di procedimenti di giustizia ripartiva”, successivamente “divulgabili”, di regola, “solo con l’accordo delle parti”;; “riconoscimento” da parte dell’ “autore del reato” dei “fatti essenziali del caso”, condizione sulla quale si tentera` un particolare approfondimento.

Tra le principali preoccupazioni del legislatore europeo vi è quella di diminuire il rischio di vittimizzazione secondaria, che risulta particolarmente grave soprattutto in relazione a particolari categorie di vittime (minori, disabili, vittime del terrorismo vittime di violenza di genere e di violenza nelle relazioni strette) per cui sono dettate apposite disposizioni. La direttiva non fornisce una definizione del fenomeno, ma chiede che lo si possa prevenire, anche provvedendo alla formazione degli operatori suscettibili di entrare in contatto con le vittime, come i funzionari di polizia ed il personale giudiziario, i giudici, gli avvocati e coloro che forniscono servizi di assistenza, sostegno o di giustizia riparativa, affinche´ siano sensibilizzati alle loro esigenze e posti in condizione di trattarle in modo appropriato.
L’art. 25.4 della Direttiva, con riferimento agli “operatori dei servizi di assistenza alle vittime e di giustizia riparativa”, ne richiede “una adeguata formazione, di livello appropriato al tipo di contatto che intrattengono con le vittime” ed il rispetto delle “norme professionali per garantire che i loro servizi siano forniti in modo imparziale, rispettoso e professionale”[3].

Ordinamento italiano:
Nel nostro ordinamento la materia si interseca con l’istituto della liberazione condizionale e la Corte Costituzionale nella sentenza n. 138 del 2001 rileva che il giudice nell’interpretare l’art. 176 del codice penale non puo` limitarsi alla valutazione della “mera astensione da violazioni delle norme penali e di disciplina penitenziaria” da parte del condannato, ma deve estenderla anche ai suoi “comportamenti positivi che rivelino la acquisita consapevolezza dei valori fondamentali della vita sociale, tra i quali la solidarieta` sociale”, il cui “indice” particolarmente significativo e` rappresentato proprio dall’“atteggiamento assunto dall’autore del reato anzitutto nei confronti della vittima”. Per la Corte la condizione dell'“adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato”, viene “in rilievo, nell'economia dell’istituto, non solo per la sua funzione oggettiva di reintegrazione patrimoniale, ma anche e soprattutto come indice soggettivo dell'intervenuto ravvedimento”, e sotto il profilo dell’estensione della valutazione del giudice all’“atteggiamento assunto dall’autore del reato nei confronti della vittima”. Soggiunge altresi` la Consulta che risulta perfettamente in linea con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione la costante lettura della norma data dalla Corte di Cassazione che esige che, nella verifica dei risultati del percorso rieducativo, in caso di impossibilita` (anche relativa, ovvero pur quando non dipenda da una condizione di assoluta poverta`) di adempimento delle obbligazioni civili, “il condannato dimostri solidarieta` nei confronti della vittima, interessandosi delle sue condizioni e facendo quanto e` possibile per lenire il danno provocatole, pur nei limiti delle concrete possibilita` del reo (e, cioe`, di quanto da lui realisticamente esigibile)”.Nel concludere, il giudice delle leggi evidenzia come tale interpretazione sia anche in linea con il principio di uguaglianza, assicurandone anzi nella sostanza il rispetto, sul rilievo che quell'indice del ravvedimento, che per il condannato che ne ha la capacita` viene ricavato dall'effettivo ed integrale adempimento delle obbligazioni civili, per “il condannato che non ha mezzi adeguati e` tratto da alternative forme di interessamento per le sorti delle persone offese”.
Nella successiva giurisprudenza della Cassazione ai fini del giudizio sul ravvedimento, oggetto di valutazione non e` un insondabile “atteggiamento interiore”, ma l'insieme degli atteggiamenti concretamente tenuti ed esteriormente manifestati dal soggetto durante il tempo dell’esecuzione della pena, incluso il comportamento di fattiva disponibilita` del condannato a fornire alla vittima del reato ogni possibile assistenza, compatibile con il doveroso rispetto della personale riservatezza e delle autonome decisioni di questa.
La pratica della mediazione e della giustizia ripartiva, raccomandata dalle disposizioni comunitarie e internazionali , ha trovato finora riconoscimenti circoscritti agli ambiti del rito minorile e del processo penale davanti al giudice di pace anche se il fine di promuovere la riconciliazione tra le parti in conflitto attraverso strumenti di giustizia riparativi, muove il nostro ordinamento penitenziario.
Nel programma di trattamento da applicare ai condannati che chiedono di essere ammessi all'affidamento in prova e alla detenzione domiciliare, gli Uffici di Esecuzione Penale Esterna devono anche fare riferimento alle prescrizioni di giustizia ripartiva previste dall’art. 47 comma 7 legge 354/75 che prescrive che “l'affidato si adoperi in quanto possibile in favore della vittima”.

La recente legge 28 aprile 2014, n. 67 “Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili” ha previsto, tra le pene detentive non carcerarie riservate ad alcune categorie di reati, il lavoro in favore della comunità. L’istituto è strutturato anche sulla base degli ineressi della vittima e rientra tra gli strumenti di giustizia ripartiva.

Anche l’istituto della sospensione del processo con messa alla prova, introdotto dalla stessa legge in caso di reati non particolarmente gravi (puniti con pene detentive non superiori a quattro anni) commessi da soggetti adulti, è imperniato sulla realizzazione di condotte riparatorie.
L’incentivazione dei comportamenti riparativi indirizzati alla persona offesa dal reato sono parte fondamentale del percorso di reinserimento alternativo offerto e tra i contenuti essenziali del programma di trattamento elaborato d’intesa con l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna la nuova legge elenca prescrizioni comportamentali e impegni specifici che l’imputato assume secondo una prospettiva riparatoria, orientata sia verso la vittima (elisione o attenuazione delle conseguenze del reato; eventuale risarcimento del danno; restituzioni) che verso la collettività (prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità ovvero all’attività di volontariato di rilievo sociale).
Il legislatore ha inteso dare rilievo comunque alla disponibilità e alla serietà degli sforzi dimostrati dall’imputato sul versante della riparazione e ha previsto obbligatoriamente di sondare la possibilità di una mediazione.
L’esito positivo della messa alla prova evidentemente includerà il follow-up della fattiva disponibilità dell’imputato verso la vittima del reato.

Premesso che al dialogo e alla ricostruzione dei rapporti è improntato l’agire degli operatori all’interno del carcere e all’esterno negli Uffici EPE, recentemente l’Amministrazione penitenziaria ha dato nuovo impulso all’attività dell’Osservatorio permanente per il coordinamento e il monitoraggio delle esperienze in ambito ripartivo, incardinato nell’ambito della Direzione Generale dell’Esecuzione Penale Esterna che ha compiti di indirizzo e coordinamento. Ci si è proposti di predisporre modelli e procedure convenzionali nell’applicazione delle norme in materia di condotte riparatorie nell’ambito dei programmi di trattamento dei condannati e di sollecitare iniziative formative per gli operatori penitenziari, ma anche di coordinamento delle varie iniziative proposte da soggetti terzi (elenco di mediatori preesistente).

Il Disegno di Legge n. 2798 in corso di esame presentato alla Camera il 23.12.2014 recante “Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi e per un maggiore contrasto al fenomeno corruttivo, oltre che all'ordinamento penitenziario per l'effettività rieducativa della pena” delega il Governo ad adottare nel termine di un anno dalla data di entrata in vigore della legge, decreti legislativi per la riforma dell’ordinamento penitenziario. L’art. 26 fissa i principi e i criteri direttivi per l’esercizio della delega e alla lett d) menziona la “previsione di attività di giustizia riparativa e delle relative procedure, quali momenti qualificanti del percorso di recupero sociale sia in ambito intramurario sia nell’esecuzione delle misure alternative”.
Le procedure di giustizia ripartiva non sono esenti da rischi: deve essere rispettata la volontaria adesione al programma da parte del reo mentre nel mondo chiuso del carcere molti sono i condizionamenti e i comportamenti spontanei sono difficilmente riconoscibili; la materia non dovrebbe neppure sfiorare quella del pentimento cristiano dell’autore di reato.
Vi è la necessità dunque di proporre modelli, procedure e metodologie di intervento di giustizia riparativa nei programmi di trattamento dei condannati in misura alternativa e degli imputati ammessi alla prova e quella di creare un Albo delle associazioni per la mediazione ed è molto importante curare la formazione degli operatori.


Roma, 23 luglio 2015

 

IL DIRETTORE DELL'UFFICIO
Roberta Palmisano

 

[1]Consiglio d’Europa, Raccomandazione n° (99)19 adottata il 15/09/1999, Mediazione in Materia Penale, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sulla mediazione penale, Strasburgo, 1999
[2]sostituendo la decisione quadro 2001/220/GAI relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, che già impegnava gli Stati Membro ad “adottare le misure necessarie per assicurare, almeno nei casi in cui esiste un pericolo per la vittima, che, al momento del rilascio dell’imputato o della persona condannata per il reato, sia possibile decidere di informare la vittima, se necessario” (articolo 4.3.).
[3]E’ interessante ricordare una pronuncia del 2011 della Corte di Giustizia dell’UE che si è espressa sull'interpretazione della Decisione Quadro del 2001 in materia di violenza domestica, in relazione ad un conflitto tra la volontà delle vittime di riprendere il rapporto di convivenza con gli autori di reato e le disposte misure giudiziarie di divieto di contatto con gli stessi/di allontanamento (seppur pene accessorie nel caso di specie - da uno a cinque anni oppure da sei mesi a cinque anni, tenendo conto delle concrete circostanze-, e non provvedimenti cautelari). Sulla premessa che la tutela penale contro gli atti di violenza domestica garantita da uno Stato membro esercitando il proprio potere repressivo è volta a proteggere non solo gli interessi della vittima come questa li percepisce ma anche altri interessi più generali della collettività, la Corte si è pronunciata per la conformità della normativa interna con il diritto dell'Unione, riconoscendo agli Stati membri discrezionalità nell'individuare le tipologie di reato a cui è possibile applicare la mediazione, ed in particolare ritenendo conforme la scelta dello Stato membro remittente di escludere il ricorso alla mediazione per tutti i reati commessi nell'ambito familiare.