Osservazione e trattamento dei condannati in stato di libertà

aggiornamento: 17 luglio 2018

A partire dalla legge “Simeoni-Saraceni” del 27 maggio 1998 n. 165, accanto alla tradizionale ipotesi di concessione delle misure alternative a detenuti, si è affiancata la modalità di concessione a favore di condannati che si trovano in stato di libertà.
Questo ulteriore percorso di accesso, oggi disciplinato dall'art. 656 c.p.p., è attivato con l’obiettivo prioritario di evitare il più possibile gli effetti desocializzanti della permanenza in carcere e favorire un concreto processo di recupero e di reinserimento sociale.

La procedura che disciplina questa ipotesi, si sostanzia in una sospensione automatica dell'esecuzione della pena detentiva da parte del Pubblico ministero, quando la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non è superiore a tre anni, quattro anni nei casi previsti dall'articolo 47-ter, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, o sei anni nei casi di cui agli articoli 90 e 94 del testo unico approvato con Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni.

Il Pubblico Ministero concede un termine di 30 giorni al condannato per la presentazione dell'istanza volta ad ottenere la concessione di una misura alternativa alla detenzione, corredata da apposita documentazione e rivolta allo stesso P.M., il quale trasmette gli atti al Tribunale di Sorveglianza che decide entro quarantacinque giorni.

L'elemento rilevante per la decisione del tribunale di sorveglianza (insieme ad un’altra serie di fonti cui attinge), è rappresentato dall’osservazione condotta dagli U.E.P.E. nel contesto di appartenenza dell’interessato, in equipe con gli operatori degli enti e delle strutture del territorio e dallo scaturente programma di trattamento individualizzato.

Il programma di trattamento è frutto di un’inchiesta sociale, finalizzata alla conoscenza della situazione personale, familiare, lavorativa/formativa e sociale dei soggetti interessati ad essere ammessi ad una misura alternativa, con particolare riguardo agli aspetti problematici, per i quali è necessario porre in atto una serie di interventi per il loro superamento. Altro tassello di analoga importanza è quello relativo alla sollecitazione nel condannato, di una riflessione critica sulle conseguenze dell'illecito perpetrato nei confronti della vittima del reato, con l'obiettivo di progettare in modo partecipato, un'attività di tipo riparativo. La commissione di un reato, come è noto, apre un conflitto tra l’autore e la parte offesa: una lacerazione dei legami sociali che spesso chiede di considerare istanze non delegabili di riparazione e di responsabilizzazione, essenziali alla tutela del patto sociale. Ciò comporta per l’assistente sociale un intenso lavoro di raccordo con tutte le risorse del territorio, presenti o attivabili, dalla famiglia ai servizi pubblici locali, al volontariato, al mondo del lavoro.

Il programma di trattamento nelle misure esterne

Il programma di trattamento è da intendersi come un’ipotesi, formulata all’esito di un processo conoscitivo realizzato nel corso dell’osservazione a cura dell’Ufficio di esecuzione penale esterna, che declina le attività, gli obblighi e le relative modalità in cui dovrà svilupparsi l’impegno:

  • dell'imputato, cui è stata concessa la sospensione del procedimento con messa alla prova.

Il programma di trattamento nell’istituto della messa alla prova, previsto dalla legge 28 aprile 2014 n. 67, deve consistere nell'impegno dell'imputato, con il coinvolgimento ove possibile del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita, ad agire condotte volte all'eliminazione/attenuazione delle conseguenze dannose derivanti dal reato, quali il necessario svolgimento di un'attività riparativa e un'attività di volontariato.
Deve prevedere, inoltre, lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità nonché, ove possibile, il risarcimento del danno cagionato e l'attività di mediazione con il consenso della vittima.

  • del condannato ammesso a fruire dell’affidamento in prova al servizio sociale e della detenzione domiciliare.

Il programma di trattamento da applicare ai condannati che chiedono di essere ammessi all’affidamento in prova al servizio sociale e alla detenzione domiciliare (misure alternative alla detenzione), previsto dall’art. 72 dell’ordinamento penitenziario, è proposto dagli Uffici di esecuzione penale esterna al tribunale di sorveglianza.

È finalizzato al cambiamento della condotta della persona, attraverso l’acquisizione di consapevolezza dei propri limiti e delle proprie risorse, l’impegno a partecipare attivamente ad un percorso di inclusione sociale, la revisione critica del reato commesso e del proprio trascorso deviante.

Esso declina pertanto le attività, gli obblighi e gli impegni cui dovrà attenersi il reo nel corso della misura e risponde non solo a finalità di tipo rieducativo, ma anche ad esigenze di sicurezza sociale.