Schema di D.Lgs. - Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della L. 366/2001 - Relazione

Schema di decreto legislativo recante: "Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366."

Articolato

1. DELLA COSTITUZIONE DELLE SOCIETA' PER AZIONI.

La riforma in tema di costituzione di società per azioni attua il terzo comma dell'art. 4 della legge di delega ed in tal senso mira sia a semplificare il procedimento di costituzione sia a limitare la rilevanza dei vizi nella fase costitutiva ed assegnare così certezza, una volta che la società sia stata costituita, ai rapporti sia endosocietari sia extrasocietari.
Per quanto concerne il primo aspetto, si è ovviamente dovuto tener conto dei vincoli derivanti dagli obblighi comunitari quali soprattutto costituiti dalla prima e dalla dodicesima direttiva europea in materia di società.
 

In questo quadro di compatibilità gli aspetti più significativi della riforma, oltre la precisazione di una serie di dettagli tecnici intesi a superare difficoltà applicative che si sono manifestate nella prassi, possono essere individuati nei seguenti:

1. Nell'attuazione del secondo comma, lettera c), dell'art. 4 della legge di delega, si è ritenuto con l'art. 2330 di confermare integralmente la disciplina dell'art. 32 della legge 24 novembre 2000, n. 340, e così di considerare sufficiente, come consentito dalla prima direttiva comunitaria, il controllo del notaio che ha rogato l'atto al fine di verificare la sussistenza delle condizioni di legittimità per la costituzione della società. Si è rilevato, infatti, che tale sistema, già operativo da quasi due anni, ha dato fondamentalmente buona prova di sé ed è apparso perciò coerente con gli obiettivi di semplificazione della riforma confermarlo integralmente.
In proposito, anzi, con precisazione di rilevante portata per la pratica, si è chiarito in un'apposita disposizione di attuazione che il procedimento di iscrizione ad opera del notaio presuppone la sussistenza di tutte le condizioni richieste dalla legge per la costituzione della società; sicché, quando alcune di esse non possono non manifestarsi se non in momento successivo alla stipulazione dell'atto costitutivo, come avviene in particolare nel caso di autorizzazione che debbono essere rilasciate dopo la stipulazione medesima, i termini per il deposito presso il registro delle imprese decorrono dal momento in cui l'originale o copia autentica del provvedimento sono depositati presso il notaio. E si è precisato, d'altra parte, che qualora all'iscrizione si proceda indebitamente in assenza delle prescritte autorizzazioni, all'istanza di cancellazione della società è legittimata, coerentemente con le funzioni di tutela dell'interesse pubblico che le sono attribuite, anche l'autorità competente per il rilascio dell'autorizzazione medesima; chiarendo altresì che, ove la cancellazione venga disposta, essendo comunque la società stata costituita, si applica la disciplina prevista dall'art. 2332 per la nullità della società e così le garanzie ivi previste per i soci ed i terzi.

2. Nell'attuazione del secondo comma, lettera e), dell'art. 4 della legge di delega, ci si è avvalsi della facoltà concessa dalla dodicesima direttiva comunitaria. Si è così espressamente prevista, con un nuovo primo comma dell'art. 2328, che la società per azioni può essere costituita anche per atto unilaterale e si è dettata per tale ipotesi, come richiesto dalla direttiva medesima, una disciplina a tutela in particolare dei creditori coincidente con quella già prevista per l'analoga ipotesi in tema di società a responsabilità limitata: ciò, in particolare, con riferimento alla responsabilità dell'unico fondatore per le operazioni compiute prima dell'iscrizione della società (art. 2331, comma secondo), all'obbligo di integrale esecuzione dei conferimenti (art. 2342, secondo, terzo e quarto comma), alla pubblicità ed alla disciplina delle operazioni compiute tra società e suo unico socio (art. 2362).
Merita anche di essere sottolineato, a quest'ultimo proposito, sia che resta confermata la sanzione per l'ipotesi di mancato adempimento di tali obblighi, che è quella della responsabilità illimitata nei confronti dei creditori per il caso di insolvenza della società (art. 2325, secondo comma) sia che, con riferimento alle operazioni compiute tra società è unico socio si è precisato, superando perplessità interpretative, che le formalità richieste rilevano ai fini della loro opponibilità ai creditori, non della loro validità (art. 2362, secondo comma): si è così dettata una disposizione che potrà assumere particolare rilievo per la tutela dei creditori, come agevolmente si comprende considerandone la portata anche e soprattutto in sede di applicazione dell'art. 45 della legge fallimentare.

3. Per quanto concerne invece la previsione del secondo comma, lettera d), dell'art. 4 della legge delega, si è ritenuto che la possibilità ivi consentita di società a tempo indeterminato meritasse un'esplicita previsione legislativa. Ciò è avvenuto con il nuovo n. 13 dell'art. 2328, il quale, conformemente ai principi generali in tema di contratti, prevede in tal caso la possibilità di un recesso del socio e consente, al fine di garantire la serietà dell'impegno, che per il suo esercizio sia previsto un termine dilatorio di durata annuale.
Con riferimento alle altre indicazioni richieste dall'articolo 2328, si è provveduto a perfezionamenti e precisazioni di ordine tecnico; vi è da segnalare, in particolare, la richiesta del luogo di costituzione nell'ipotesi che all'atto costitutivo partecipi una persona giuridica, che risulta necessaria al fine di individuare la legge applicabile ai sensi dell'articolo 25 della legge 31 maggio 1995, n. 218 recante la riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato (ciò per esempio al fine di individuare i poteri del legale rappresentante o per l'applicazione, se del caso, del principio di reciprocità). L'esigenza, posta dal numero 5 dell'articolo 2328 di individuare nell'atto costitutivo le modalità di emissione delle azioni consegue alla circostanza che si è inteso adottare una più corretta terminologia la quale distingue tra "azioni" come partecipazione sociale e "titoli azionari" come documenti di essa eventualmente rappresentativi, il ché comporta che anche nell'ipotesi di mancata emissione dei secondi si realizza una modalità di emissione delle prime.

4. Altre importanti innovazioni in materia di procedimento costitutivo della società sono quelle contenute nel riformulato art. 2331. Vi è infatti da segnalare che, confermato il regime instaurato con la ricordata legge n. 340 del 2000, e quindi la semplificazione ed accelerazione dei tempi che ne consegue, è stato possibile chiarire e semplificare alcuni aspetti della disciplina delle operazioni compiute in nome della società nel periodo intercorrente tra la stipulazione dell'atto costitutivo e l'iscrizione nel registro delle imprese.
A tal fine, in siffatto quadro di semplificazione ed accelerazione, è stato possibile ridurre drasticamente il periodo di tempo decorso il quale la mancanza di iscrizione implica il diritto dei sottoscrittori ad ottenere dalla banca presso cui sono stati depositati la restituzione dei decimi versati: esso è passato da quello originario di un anno, ormai ingiustificato in assenza di un procedimento giudiziario, a novanta giorni; e si è altresì precisato, risolvendo dubbi interpretativi che da tempo sono oggetto di discussione, che l'inutile decorso di quel termine implica la perdita di efficacia dell'atto costitutivo (art. 2331, quarto comma).
Si è anche precisato, pure qui risolvendo risalenti dubbi interpretativi, che il divieto dell'ultimo comma dell'art. 2331 riguarda soltanto l'emissione delle azioni, non il loro trasferimento. È apparso, infatti, coerente con la natura contrattuale dell'atto costitutivo di società non limitare la possibilità di un trasferimento della posizione di parte del contratto, ma soltanto, per l'esigenza di assicurare la necessaria tutela del pubblico dei risparmiatori, che la sua negoziazione non utilizzi strumenti cartolari, bensì soltanto quello di diritto comune della cessione del contratto. E nello stesso senso si è altresì chiarito che, salvo naturalmente il caso della costituzione tramite pubblica sottoscrizione, non è possibile che la partecipazione azionaria formi oggetto di sollecitazione all'investimento.
In sostanza, da questo punto di vista, la soluzione riconduce all'origine storica ed alla fondamentale ratio alla base dell'art. 2331: l'esigenza di impedire che, fin quando la società non è stata definitivamente costituita, si formi un effettivo mercato diffuso, e ciò prima ancora che la situazione della società e la sua regolarità siano stati definitivamente e pubblicamente accertati.
Nello stesso senso, infine, si è precisato che la responsabilità per le operazioni compiute in nome della società prima dell'iscrizione nel registro delle imprese coinvolge non soltanto coloro che formalmente hanno agito nei confronti dei terzi, ma anche i soci che hanno consentito o autorizzato il compimento dell'operazione (art. 2331, primo coma). In tal modo, rafforzando le garanzie per i terzi, viene da un lato risolto un dubbio interpretativo cui il testo originario del codice aveva dato origine, viene dall'altro dettata una norma sistematicamente coerente con la disposta responsabilità del socio quando unico fondatore della società. La prospettiva è in definitiva quella che afferma una responsabilità non tanto di chi formalmente ha agito, quanto di chi ha assunto la decisione di agire ed avviare, prima della definitiva conclusione del procedimento costitutivo, l'attività sociale; è logico perciò che, nel caso di costituzione della società ad opera di una sola persona, tale decisione possa essere riferita all'unico fondatore qualunque sia la posizione da esso formalmente assunta, mentre, nel caso di una pluralità di soci ed in una situazione come quella della società per azioni, in cui la partecipazione all'atto costitutivo esprime un intento di limitare la responsabilità, sia necessario in concreto accertare se e quali di essi tale decisione di agire prima dell'iscrizione nel registro delle imprese hanno effettivamente assunto.

5. Per quanto concerne la disciplina dei vizi della fase costitutiva, l'indicazione di cui all'art. 4, terzo comma, lettera b), della legge di delega, che impone di limitarne la rilevanza, è stata soddisfatta riducendo drasticamente le ipotesi previste dell'art. 2332 come modificato, in attuazione della prima direttiva comunitaria, con il d. p. r. 29 dicembre 1969, n. 1127. Si è potuto infatti osservare che la suddetta direttiva contiene un'enumerazione di un numero massimo delle possibili cause di nullità la cui previsione è consentita agli Stati membri, non certamente un obbligo comunitario di prevederle tutte; e che in realtà così è stata intesa da tutti gli ordinamenti europei, nessuno dei quali, salvo l'Italia, ha proceduto alla sua attuazione riproducendo l'elencazione della direttiva medesima.
Sulla base di tali considerazioni la scelta adottata con il nuovo testo dell'art. 2332 è stata nel senso di limitare la rilevanza dei vizi della fase costitutiva a quelli soltanto che assumono un senso alla luce della sua disciplina, escludendo quindi ipotesi in effetti di difficile se non impossibile realizzazione e che, pur in pratica mai presentatesi, avevano creato non trascurabili dubbi interpretativi di sistema e con essi l'eventualità di orientamenti interpretativi che potrebbero porre in pericolo il principio di tassatività delle cause di nullità alla base della norma.
Fondamentalmente immutata, poiché conforme sia ai principi ispiratori della legge di delega sia a quelli della prima direttiva comunitaria, è invece la disciplina delle conseguenze della dichiarazione di nullità della società: essa, come tradizionale nell'ordinamento non solo italiano, comporta la liquidazione della società con salvezza di tutti gli atti compiuti e quindi dei diritti ed obblighi dei soci e dei terzi. In proposito si è soltanto precisato, con modifica dell'ultimo comma dell'art. 2332, che la eliminazione della nullità ivi prevista non è soltanto quella, come letteralmente si esprimeva il testo originario del codice, che avviene mediante modificazione dell'atto costitutivo: il che potrà consentire di avvalersi di siffatta eliminazione della nullità anche in casi nei quali il procedimento di modificazione dell'atto costitutivo non risulta tecnicamente utilizzabile (così, in particolare, nell'ipotesi di nullità per la mancanza di atto pubblico e mediante una sua ripetizione da parte dei soci).

6. Deve infine segnalarsi che, pur nella consapevolezza della sua limitata utilizzazione pratica, è apparso opportuno conservare la previsione e la relativa disciplina del procedimento di costituzione per pubblica sottoscrizione. Si è osservato infatti che non mancano del tutto ipotesi in cui ci si è avvalsi di questa possibilità e che non sarebbe giustificato sottrarla agli operatori economici.
Al riguardo la disciplina è rimasta sostanzialmente immutata. Essa però ha dato occasione, in sede di riformulazione dell'art. 2341, di affermare una differenza di posizione tra i promotori della costituzione per pubblica sottoscrizione ed i fondatori nella costituzione simultanea. L'art. 2341 rinvia infatti soltanto al primo comma dell'art. 2340: con la conseguenza che, mentre per i promotori non è consentito altro beneficio diverso da un privilegio nella partecipazione agli utili limitato nel tempo e nell'entità, per i fondatori tale limite risulta eliminato.
Questo diverso trattamento è parso giustificabile considerando che nel caso dei fondatori, a differenza di quello dei promotori, non si pone il problema di tutelare il pubblico dei risparmiatori cui tipicamente si volge la costituzione per pubblica sottoscrizione; ma ci si colloca in un contesto tipicamente contrattuale, per il quale quindi meno giustificati possono apparire limiti all'autonomia privata.

2. DEI PATTI PARASOCIALI.

In attuazione dell'art. 4, comma 7°, lettera c), della legge delega gli artt. 2341 bis e 2341 ter dettano norme sui patti parasociali, le quali si pongono in continuità con le norme a suo tempo introdotte dal testo unico della intermediazione finanziaria per le società emittenti di azioni quotate nei mercati regolamentati. Si è mirato a cogliere la comune funzione delle diverse fattispecie di patti parasociali, individuandola nel fine di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società, e ciò anche per scongiurare il rischio, già manifestatosi in relazione alle società quotate, di una impropria estensione delle norme sui patti parasociali a fattispecie che nulla hanno a che vedere con questi. A tali effetti è stato anche chiarito che le norme sui patti parasociali non si applicano a clausole accessorie di accordi di collaborazione nella produzione o nello scambio di beni e servizi e relativi a società interamente possedute dai partecipanti all'accordo.
La disciplina codicistica differisce da quella del testo unico per la diversa durata dei patti, che per le società non quotate non può essere superiore a cinque anni, oltre che per le diverse modalità della loro pubblicità, che è peraltro prevista solo per i patti parasociali relativi a società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. La pubblicità consiste nella comunicazione dei patti parasociali alla società e nella loro dichiarazione in apertura di ogni assemblea. L'omessa dichiarazione in assemblea (ma non anche l'omessa comunicazione alla società) comporta la conseguenza che i possessori delle azioni cui si riferisce il patto parasociale non possono esercitare il diritto di voto e che le deliberazioni assunte con il loro voto determinante sono annullabili.
La disciplina, inserita nel capo relativo alle società per azioni, ha inteso regolare la fattispecie con riferimento a quel tipo sociale, perché in esso è più sentita l'esigenza di garantire regole certe e definite in considerazione della maggiore rilevanza per il pubblico e per il mercato finanziario; essa, ovviamente, non intende escludere la possibilità che analoghi patti riguardino altre forme di società, per le quali ovviamente resterà applicabile la disciplina generale dell'autonomia privata e dei contratti, così per esempio per le società a responsabilità limitata, come anche per le società di persone.

3. DELLA DISCIPLINA DEI CONFERIMENTI.

La riforma in tema di disciplina dei conferimenti in società per azioni attua il quinto comma dell'art. 4 della legge di delega ed ovviamente ha dovuto in proposito tener conto dei limiti, particolarmente incisivi, posti dalla seconda direttiva comunitaria in materia di società.
Sul punto meritano in particolare di essere segnalati i seguenti aspetti, che rappresentano, oltre a precisazioni tecniche che si è potuto operare, i momenti più significativi della riforma:

1. Per quanto concerne la possibilità di cui all'ultimo periodo della lettera a), quinto comma, art. 4 della legge delega, per i soci di "regolare l'incidenza delle rispettive partecipazioni sociali sulla base di scelte contrattuali", si è provveduto, nel quarto comma dell'art. 2346 a precisare che il principio di proporzionalità tra valore dei conferimenti e numero delle azioni assegnate al socio è derogabile con scelta statutaria.
Naturalmente si è dovuto coordinare questa soluzione con il principio, peraltro riaffermato nella stessa disposizione della legge di delega, della effettiva formazione del capitale sociale. A tal fine si è perciò precisato, con il quinto comma dell'art. 2346, che il valore dei conferimenti non può in nessun caso essere complessivamente inferiore all'ammontare globale del capitale sociale. In sostanza, la tutela del capitale sociale non è più ricercata ponendo un rigido rapporto tra valore del conferimento del singolo socio e valore nominale delle azioni che gli sono assegnate, bensì sulla base di una considerazione globale sia dei conferimenti sia del capitale stesso: il che appunto rende possibile che nei rapporti tra i soci l'assegnazione delle azioni avvenga sulla base di scelte contrattuali e quindi anche di considerazioni diverse da quella del valore del conferimento del singolo.
Vi è anche da notare che a seguito di questa soluzione si è reso necessario modificare la disciplina penale dell'art. 2632. La nuova regolamentazione sopra richiamata supera infatti la prospettiva che vuole tutelare il capitale sociale mediante un divieto di emissione "sotto la pari" riferito alle singole azioni; essa richiede invece, anche dal punto di vista penalistico, che il divieto sia riferito all'ipotesi in cui complessivamente siano attribuite azioni o quote in misura superiore all'ammontare globale del capitale sociale.

2. Deve inoltre segnalarsi che con la soluzione appena richiamata s'individua pure una delle possibili strade tecniche per consentire, come vuole la prima parte della lettera a) del quinto comma della legge di delega, "l'acquisizione di ogni elemento utile per il proficuo svolgimento dell'attività sociale". È agevole infatti prevedere che una delle ipotesi in cui potrà risultare economicamente giustificata una ripartizione delle azioni tra i soci in misura diversa da quella che risulterebbe sulla base di un criterio di proporzionalità con il valore dei loro conferimenti sarà quella in cui un socio apporta alla società elementi utili per la sua attività, ma non corrispondenti ai requisiti richiesti per la loro imputazione al capitale. In questo caso, tramite appunto una ripartizione non proporzionale delle azioni, anche di tali elementi diviene possibile tener conto e pure in considerazione di essi definire i rapporti reciproci tra i soci.
Del resto, non pare dubbio che ciò che in effetti interessa al fine di quella acquisizione e la possibilità di considerarla non tanto per il suo valore assoluto, quanto sul piano di tali rapporti reciproci. In realtà ciò che in concreto interessa non è il valore nominale delle azioni attribuite al singolo socio, bensì l'equilibrio che ne deriva nei suoi rapporti con altri: le azioni, cioè, non valgono di per sé, ma per i diritti che conferiscono; ed essi contano su un piano di proporzionalità con il totale delle azioni emesse.

3. Quest'ultimo punto si spiega anche considerando che, in applicazione di quanto disposto dalla lettera a), sesto comma, art. 4 della legge di delega, viene ora ammessa l'emissione di azioni senza valore nominale: così nel n. 5 dell'art. 2328 e nel terzo comma dell'art. 2348. In tal modo diviene definitivamente chiaro che quello che conta sia ai fini della posizione dei soci sia ai fini della tutela del capitale sociale non è la cifra individuata come valore nominale delle azioni, ma il numero di quelle emesse e quindi la percentuale che ciascuna rappresenta rispetto al totale.
Deve a questo proposito anche segnalarsi che, seguendo una strada già adottata dalla maggior parte degli ordinamenti europei, ne risulta una sostanziale equivalenza tra le due tecniche delle azioni con valore nominale e senza valore nominale, il cui significato economico viene sostanzialmente a coincidere. Perciò è sembrato opportuno, al fine di evitare problemi applicativi che l'esperienza di altri ordinamenti dimostra di non agevole soluzione, espressamente disporre che la scelta statutaria dell'una o dell'altra tecnica è esclusiva. In questo senso il secondo comma dell'art. 2346 stabilisce che, se alle azioni è attribuito un valore nominale, ciò deve avvenire per tutte quelle emesse dalla società, che in sostanza, quindi, non è possibile per la stessa società la compresenza di azioni con e senza valore nominale.

4. D'altra parte, sempre perseguendo l'obiettivo politico di ampliare la possibilità di acquisizione di elementi utili per il proficuo svolgimento dell'attività sociale, ma con soluzione necessariamente coerente con i vincoli posti dalla seconda direttiva comunitaria che imperativamente vieta il conferimento di opere e servizi, si è espressamente ammessa la possibilità che in tal caso, fermo rimanendo il divieto di loro imputazione a capitale, siano emessi strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o partecipativi: così nell'ultimo comma dell'art. 2346. Ovviamente si apre così un ampio spazio per l'autonomia statutaria per definire i diritti spettanti ai possessori dei suddetti strumenti finanziari, i quali potranno essere i più vari e comprendere pertanto anche il diritto di conversione in altri strumenti finanziari o in partecipazioni azionarie.
In tal modo si è ricercato un punto di equilibrio tra il divieto imposto dall'ordinamento comunitario e l'esigenza di consentire pure l'acquisizione alla società di valori a volte di notevole rilievo; senza però pervenire alla soluzione, che in altri ordinamenti è stata fonte di insuperabili difficoltà applicative e sistematiche, di ammettere l'emissione di "azioni di industria".
La soluzione adottata è in effetti economicamente equivalente a quest'ultima, ma ne supera gli specifici problemi tecnici ed appare perciò di maggiore praticabilità.
D'altra parte, al fine nuovamente di evitare problemi applicativi di non agevole soluzione, si è precisato che gli strumenti finanziari in questione possono conferire tutti i diritti partecipativi escluso quello del diritto di voto nell'assemblea generale degli azionisti. Ciò appare necessario in quanto. data la particolarità di tali strumenti finanziari, ne potrebbero derivare molteplici incertezze e conseguenti ragioni di instabilità per il funzionamento dell'assemblea; e ne potrebbero derivare ragioni di incertezza sistematica, fonti di imprevedibili esiti interpretativi, in merito alla stessa nozione di partecipazione azionaria. Mentre l'esplicita previsione che tra i diritti da essi conferiti può essere pure quello di nominare in assemblea separata un componente degli organi di amministrazione e/o di controllo della società (così l'ultimo comma dell'art. 2351) sembra in effetti, piuttosto che diminuire, accrescere la loro appetibilità per gli operatori economici che intendano utilizzarli.
Ciò spiega anche perché si è ritenuto, con un nuovo secondo comma dell'art. 2349, di estendere la possibilità di utilizzare analoghi strumenti finanziari anche a favore dei dipendenti della società o di società controllate. Anche qui perseguendo l'obiettivo di creare un nuovo strumento giuridico in grado di adeguarsi, senza non necessarie alterazioni della struttura organizzativa della società, ad esigenze che, in questo caso sul piano delle relazioni industriali, l'autonomia statutaria potrebbe nel caso concreto individuare. Uno strumento flessibile, che per esempio potrebbe essere utilizzato al fine della strategia da molte aziende perseguita di "fidelizzazione" dei propri dipendenti.

5. Per quanto riguarda invece l'obiettivo indicato con la lettera b), quinto comma, art. 4 della legge delega, la seconda direttiva comunitaria consentiva in effetti ben pochi spazi e si è dovuto mantenere nella sostanza, seppur limitatamente alleggerendo, la disciplina imperniata sulla perizia di un esperto designato dal presidente del tribunale.
Si è ritenuto inoltre opportuno conservare il controllo successivo della relazione del perito ad opera degli amministratori: ciò in quanto esso assolve una funzione non soltanto ai fini della tutela del capitale sociale, ma anche di verifica sul paino degli assetti tra i soci, anche quindi per la loro tutela. Sul punto si è intervenuti soltanto da un lato alleggerendo il peso di questa ulteriore fase procedimentale, alla quale non è più prevista la partecipazione dei sindaci (il che, inoltre, consente di superare problemi applicativi di difficile soluzione che si erano posti sia quanto ai modi in cui i due organi dovessero collaborare sia con riferimento alla soluzione da dare in caso di loro contrasto di valutazioni); e dall'altro adeguando la disciplina dell'ultimo comma dell'art. 2343 alla possibilità, ora prevista, che le azioni non siano assegnate in misura proporzionale al conferimento del singolo socio: si è quindi ammessa, nell'ipotesi di revisione della stima ad opera degli amministratori, la possibilità che in virtù di apposita pattuizione dell'atto costitutivo dall'annullamento delle azioni derivi una diversa ripartizione tra i soci.

6. Con riferimento infine alla disciplina degli acquisti effettuati dalla società ai sensi dell'art. 2343 bis, pur essa derivante dall'attuazione di obblighi comunitari volti a prevenire la possibilità di elusione della disciplina dei conferimenti, ci si è limitati alle correzioni tecniche possibili in considerazione dei suddetti obblighi comunitari. Tra esse merita in particolare di essere segnalata la nuova previsione dell'ultimo coma della disposizione, la quale, affermando una responsabilità degli amministratori e dell'alienante per i danni arrecati a seguito della violazione della norma, chiarisce che da essa non consegue l'invalidità dell'acquisto ed in tal modo, superando un dubbio interpretativo non univocamente fin qui risolto, rafforza la tutela dei terzi ed assicura che i beni acquisiti non possono essere sottratti, e proprio da chi ha violato la norma, alla loro garanzia.

4. DELLA DISCIPLINA DELLE AZIONI.

La nuova disciplina delle azioni e degli altri strumenti finanziari partecipativi s'impernia, in attuazione delle lettere a), b) e c) del sesto comma, art. 4 della legge di delega, sui seguenti aspetti principali:

1. Si è in primo luogo prevista la possibilità di emettere azioni senza valore nominale e, adottando la soluzione più diffusa negli ordinamenti europei, si è precisato, con il terzo comma dell'art. 2346, che esse si caratterizzano in quanto il loro valore non è determinato con riferimento alla frazione del capitale sociale che rappresentano, bensì al loro numero in rapporto al totale delle azioni emesse. Esse, cioè, non esprimono un valore assoluto, ma una percentuale.
Ne risulta che la differenza tra azioni con e senza valore nominale si riduce essenzialmente ad un diverso metodo, ma in un ultima analisi equivalente, per il calcolo necessario al fine della determinazione quantitativa dei diritti dei soci. Il che consente, come avviene appunto con il terzo comma dell'art. 2346, di superare l'esigenza di una complessa e difficile disciplina e disciplinare con formula generale entrambe le ipotesi rimesse alla scelta statutaria.

2. Al di là poi di una serie di modifiche di carattere tecnico, essenzialmente intese a risolvere dubbi interpretativi manifestatisi nella prassi (come per esempio con la precisazione che in caso di comproprietà delle azioni il rappresentante comune è nominato e revocato a norma degli artt. 1105 e 1106 cod. civ.: così il primo comma dell'art. 2347; oppure, nell'art. 2352, la previsione che in caso di sequestro delle azioni il diritto di voto spetta al custode e che i diritti diversi da quello di voto, agli utili e di opzione spettano sia al socio sia al creditore pignoratizio o all'usufruttuario), si è affermato espressamente nel secondo comma dell'art. 2351 la libertà dell'autonomia statutaria nel determinare e articolare il contenuto dei diritti conferiti dalle categorie di azioni.
In tal modo viene perseguito l'obiettivo di ampliare gli strumenti disponibili alle società per attingere a fonti di finanziamento e viene dato ampi spazio alla creatività degli operatori nell'elaborazione di forme adeguate alla situazione di mercato.
Su questo piano, rimanendo naturalmente salva la possibilità di elaborare nuove forme di categorie di azioni rispetto a quelle già riconosciute dalla pratica, si è ritenuto opportuno espressamente far riferimento ad alcune ipotesi che, per la loro utilità o per i problemi interpretativi cui hanno dato luogo, meritano una diretta considerazione.
Si è così riconosciuta in materia espressa, nel primo periodo del secondo comma dell'art. 2351, la possibilità che una categoria di azioni si caratterizzi per la diversa incidenza nei loro confronti delle perdite. Risulta in tal modo definitivamente chiarita l'ammissibilità di azioni postergate nelle perdite, quali si sono rivelate strumento spesso utile ed a volte indispensabile per il finanziamento dell'impresa sociale, specialmente nell'ambito di processi di ristrutturazione e tentativi di superamento di situazioni di crisi.
Ancora, con riferimento al diritto di voto, il terzo comma prevede la possibilità del ricorso a tecniche volte a modularlo, come quelle già da tempo note del limite massimo di voti esercitabili dal singolo socio o l'altra del c.d. "voto a scalare" che individua scaglioni mediante i quali progressivamente si riduce il peso dei voti esercitabili dal socio.
Ugualmente, nel secondo comma dell'art. 2351, si è espressamente prevista la possibilità di emettere azioni le quali forniscano diritti correlati ai risultati dell'attività sociale in un determinato settore; che possono risultare un ulteriore strumento, oltre a quelli previsti con i patrimoni destinati ad uno specifico affare di cui all'art. 2447 bis, per accedere a finanziamenti finalizzati. Ed i proposito si è naturalmente precisato, con l'ultimo comma dell'art. 2351, che gli utili pagabili a tali azioni correlate non possono comunque essere in misura superiore a quella che dal bilancio generale della società risulta per l'intera sua attività.
Ancora, con l'art. 2437 sexies, si sono espressamente previste le azioni riscattabili. Sicché esse, che si sono rivelate di particolare utilità in circostanze come quelli in cui la partecipazione del socio si spiega alla luce di rapporti extrasociali, per esempio di lavoro o di fornitura, debbono ormai ritenersi espressamente ammesse. Si è precisato in proposito, al fine di tutelare il capitale sociale, che il loro valore di riscatto è determinato secondo i criteri previsti per l'ipotesi di recesso e che resta salva l'applicazione della disciplina dell'acquisto di azioni proprie.

3. Per quanto concerne l'attuazione della lettera b), comma sesto, art. 4 della legge di delega, le nuove disposizioni sono ispirate ad un criterio che corrisponde alla tradizione del codice: quello cioè secondo cui esso definisce le linee generali e la cornice del sistema, rimanendo salva la funzione della legislazione speciale nel dettare i dettagli applicativi.
In tal senso debbono essere segnalati i seguenti aspetti di maggior rilievo:
3.1. Si è precisato, nel primo comma dell'art. 2346, che il socio ha diritto al rilascio di titoli azionari corrispondenti alla sua partecipazione: diritto che può peraltro essere escluso dallo statuto oppure da leggi speciali, come soprattutto avviene per le società sottoposte al regime di dematerializzazione obbligatoria degli strumenti finanziari da esse emessi.
3.2. Si è confermata la regola per cui, salvo diversa disposizione dello statuto o di leggi speciali, il socio ha un diritto di scelta tra titoli nominativi e al portatore (art. 2354, primo comma) e, con un nuovo ultimo comma dell'art. 2354, si è confermata la regola già presente nella legislazione speciale secondo cui anche le società che non emettono strumenti finanziari negoziati nei mercati regolamentati possono volontariamente assoggettarsi alla disciplina per essi prevista, in concreto al regime di dematerializzazione.
3.3. Si è chiarito, con il primo comma dell'art. 2355, che nel caso di mancata emissione dei titoli azionari il trasferimento dell'azione diviene efficace nei confronti della società con la sua annotazione nel libro dei soci, precisando quindi in tal modo la diversità di piani tra il trasferimento inter partes e la sua rilevanza per l'organizzazione sociale, in concreto quindi per l'esercizio dei diritti sociali.
3.4. Sulla base dello stesso criterio da ultimo segnalato, il terzo comma dell'art. 2355 regola i rapporti tra girata del titolo nominativo e iscrizione nel libro dei soci e chiarisce che a seguito della prima il trasferimento è perfetto tra le parti, mentre dalla seconda consegue la sua efficacia nei confronti della società.
A quest'ultimo proposito deve anche segnalarsi che, nuovamente al fine di realizzare un coordinamento tra la vigente legislazione speciale e le disposizioni del codice, l'art. 2370 conferma nel suo terzo comma l'obbligo della società di procedere all'iscrizione nel libro dei soci di coloro che hanno depositato i titoli od hanno comunque partecipato all'assemblea.
Deve infatti osservarsi che la regola contenuta nell'art. 4, legge 1745/1962, secondo cui i titoli debbono essere depositati almeno cinque giorni prima per la partecipazione all'assemblea rappresenta un costo non indifferente per gli investitori, e soprattutto quelli istituzionali, che si vedono costretti ad un'immobilizzazione e a non poter operare sul mercato. Perciò si è ritenuto opportuno rendere facoltativo tale obbligo di preventivo deposito e, in tal modo abrogando la diversa norma della legge 1745/1962, il divieto di ritiro dei titoli prima dell'assemblea; e si è considerato che le finalità previste dalla legge speciale fossero ugualmente realizzate con l'obbligo di annotazione sul libro dei soci cui si è fatto appena cenno.
3.5. Per quanto concerne poi le ipotesi di dematerializzazione, obbligatoria oppure facoltativa, l'ultimo comma dell'art. 2355 chiarisce che il trasferimento delle azioni avviene mediante scritturazione in conto e, chiarendo il ruolo che anche per esse svolge la distinzione tra azioni nominative e al portatore, precisa che la distinzione tra le due ipotesi si caratterizza per il ruolo riconosciuto nelle prime al libro dei soci, alla circostanza quindi in definitiva che lo statuto oppure la legge speciale nel caso applicabile impedisce che il possessore dell'azione sia anonimo rispetto alla società ed agli altri soci.
3.6. La disciplina dell'art. 2355 bis, in tema di limitazioni al trasferimento delle azioni, prevede interventi particolarmente incisivi, volti da un lato ad ampliare lo spazio per l'autonomia statutaria, dell'altro a fornire le necessarie garanzie ai soci ed ai terzi.

Per il secondo aspetto sono di particolare significato il secondo ed il terzo comma della nuova disposizione. L'una, al fine di chiarire il possibile ruolo di clausole di mero gradimento, risolve un delicato problema interpretativo e ne ammette l'efficacia quando prevedono un obbligo della società o degli altri soci di acquistare le azioni del socio che intende trasferirle; il quale socio, pertanto, non può essere prigioniero del suo titoli ed è così in grado di realizzare quell'interesse all'agevole disinvestimento che costituisce uno dei motivi essenziali della scelta della società per azioni e della sua diffusione. L'altro, al fine di prevenire il pericolo di pregiudizio per l'affidamento degli acquirenti, risolve una questione ampiamente discussa in sede interpretativa e dispone che le limitazioni al trasferimento risultino dai titoli.

5. DELL'ASSEMBLEA.

Le norme regolatrici della competenza assembleare sono state modificate, in attuazione della legge delega, sotto un duplice profilo. In primo luogo si è ristretta la competenza dell'assemblea ordinaria nelle società che optino per il sistema dualistico, interponendo fra assemblea e organo amministrativo un consiglio di sorveglianza (art. 4, comma 8°, lettera d) della legge delega). In tal caso l'assemblea ordinaria si limita a nominare e revocare i consiglieri di sorveglianza, a determinare il compenso ad essi spettante ed a deliberare sulla loro responsabilità, mentre spettano al consiglio di sorveglianza materie quali la nomina e la revoca degli amministratori e l'approvazione del bilancio di esercizio.
In secondo luogo si è sviluppato il punto di cui all'art. 4, comma 8°, lettera c) della legge delega, che predica l'esclusiva responsabilità dell'organo amministrativo per la gestione dell'impresa sociale. A questi effetti si è profondamente innovato riguardo nella materia già regolata dall'art. 2364, n. 4, del codice civile, che attribuiva alla assemblea ordinaria il potere di deliberare sugli altri oggetti attinenti alla gestione della società riservati dalla sua competenza dall'atto costitutivo o sottoposti al suo esame dagli amministratori. Gli amministratori non possono, di propria iniziativa, sottoporre all'assemblea operazioni attinenti alla gestione sociale; si è solo ammesso che lo statuto possa richiedere che l'assemblea autorizzi gli amministratori al compimento di determinati operazioni, ma si è precisato che resta ferma in ogni caso la responsabilità degli amministratori per gli atti compiuti, quantunque autorizzati dall'assemblea. Si è così evitato che, come in passato poteva accadere, nessuno risponda di una data operazione: né l'assemblea che è per definizione irresponsabile, né gli amministratori che a discarico di responsabilità abbiano sottoposto l'operazione all'assemblea.
La convocazione dell'assemblea su richiesta dei soci è stata oggetto di una riforma destinata a valere anche per le società quotate e, perciò, sostitutiva dell'art. 125 del Testo unico dell'intermediazione finanziaria. Si è tenuto conto della giurisprudenza di merito che esamina i non rari casi di abuso del diritto dei soci di chiedere la convocazione; e si è precisato che il presidente del tribunale provvede sentiti i componenti degli organi amministrativi e di controllo, e ordina la convocazione dell'assemblea solo se il rifiuto dell'organo amministrativo risulti ingiustificato. In attuazione poi del già ricordato art. 4, comma 8°, lettera c) della legge delega si è precisato che per determinate materie l'iniziativa della convocazione può essere assunta solo dagli amministratori, trattandosi di argomenti sui quali essa deve deliberare, a norma di legge, su proposta degli amministratori o sulla base di un progetto o di una relazione da essi predisposta (approvazione del bilancio, fusione, scissione, aumento di capitale da liberare in natura o con esclusione del diritto di opzione ecc.). Si è espressamente prevista, nel quarto comma dell'articolo 2366, la validità dell'assemblea totalitaria anche in assenza delle formalità di convocazione, con la salvezza della facoltà per il socio di opporsi alla trattazione di argomenti sui quali non si ritenga sufficientemente informato. Corollario della nuova previsione della sufficienza della sola maggioranza dei rappresentanti degli organi amministrativi e di controllo ai fini della validità dell'assemblea è la previsione dell'ultimo comma dell'articolo 2366, che impone l'obbligo di comunicazione delle deliberazioni assunte ai membri di tali organi non repenti all'assemblea, così da garantire eguali livelli di informazione a tutti i componenti degli organi sociali.
Le norme relative ai quorum costitutivi e deliberativi dell'assemblea sono state rimaneggiate (e quelle dell'assemblea straordinaria anche con riguardo alle società con azioni quotate) alla luce di una duplice direttiva della legge delega: quella, per un verso, di favorire la formazione delle deliberazioni e quella, per altro verso, di apprestare adeguata tutela alle minoranze (art. 4, comma 7°, lettera d). I quorum ora previsti sono frutto della ricerca del giusto punto di equilibrio fra queste opposte esigenze. In questa prospettiva si è anche disposto che le azioni per le quali non può essere esercitato il diritto di voto (come, ad esempio, le azioni di coloro che non abbiano reso pubblico, nei modi di legge, il patto parasociale fra essi intercorrente) sono computate nel quorum costitutivo dell'assemblea, mentre le stesse azioni e quelle dei soci che si sono astenuti dal voto per conflitto di interessi con la società non sono computate nel quorum deliberativo. Potrà così accadere che le deliberazioni siano validamente assunte, quando è richiesta la maggioranza assoluta dei votanti, da soci che rappresentano una frazione minoritaria del capitale presente in assemblea o, per le deliberazioni di assemblea straordinaria, da soci che rappresentano una quota di capitale inferiore, a seconda dei casi, alla maggioranza del capitale sociale o alla maggioranza del capitale rappresentato in assemblea o al terzo o al quinto del capitale sociale e così via.
Sempre in attuazione dei principi espressi dalla legge delega, si è ammesso che lo statuto possa prevedere il voto per corrispondenza o l'intervento in assemblea mediante mezzi di telecomunicazione, e che possa determinare un numero di convocazione dell'assemblea ulteriore rispetto a quello legislativamente previsto.
Il diritto di intervento in assemblea è stato reso funzionale all'espressione del voto; si è perciò circoscritto il diritto di intervento ai soli azionisti cui spetta il diritto di voto, così escludendo l'intervento dei nudi proprietari delle azioni. La necessità del preventivo deposito delle azioni o della relativa certificazione è stata rimessa alla valutazione dello statuto; sicché in mancanza di disposizioni statutarie al riguardo il preventivo deposito dovrà ritenersi superfluo, ciò che vale anche a eliminare le antiche dispute sulla validità delle deliberazioni assunte dall'assemblea non preceduta da un preventivo deposito dei titoli azionari.
I poteri del presidente dell'assemblea sono stati analiticamente determinati, così superando incertezze interpretative al riguardo, per soddisfare le esigenze di funzionalità e di certezza dell'attività sociale raccomandate dalla legge delega.
Esigenze di funzionalità hanno indotto anche a rivedere la disciplina della rappresentanza dei soci in assemblea ed a chiarire i dubbi interpretativi che la preesistente disciplina aveva sollevato. La norma sul conflitto di interessi non presenta particolari innovazioni: la sua più sintetica formulazione, che prescinde dal disposto di cui al primo comma del preesistente art. 2373, si conforma all'indirizzo interpretativo formatosi in giurisprudenza. Ciò non toglie che il socio, il quale si ritenga in conflitto di interessi con la società, possa dichiarare di astenersi dal voto, come del resto risulta dal terzo comma del nuovo art. 2368.
La nuova più accurata disciplina delle modalità di redazione del verbale delle deliberazioni assembleari risolve un antico dilemma nel senso della necessaria analiticità del verbale, mentre soddisfa varie esigenze di praticità che l'esperienza pregressa aveva prospettato.
In tema di invalidità delle deliberazioni assembleari si è data attuazione al citato art. 4, comma 7°, lettera b), della legge delega sotto diversi profili.
L'individuazione legislativa delle ipotesi di invalidità, richiesta dalla legge delega, corrisponde ad una sorta di riserva di legge al riguardo, volta ad escludere ipotesi di invalidità atipiche, come l'inesistenza delle deliberazioni assembleari, della quale si è in giurisprudenza alquanto abusato, frustrando la portata dell'originario art. 2377 c.c. , che aveva inteso convertire la nullità per violazione di norme imperative, di cui al principio generale di cui all'art. 1418, in semplice annullabilità (salve solo le due ipotesi di cui all'art. 2379), e reintroducendo in tal modo, sotto le mentite spoglie dell'inesistenza, la nullità virtuale delle deliberazioni assembleari per violazione di norme imperative.
Si è perciò formulato il principio di tassatività delle ipotesi di invalidità delle deliberazioni assembleari previste dalla legge: la annullabilità per violazione di norme, anche imperative, di legge o di clausole dello statuto, e la nullità nelle ipotesi tassativamente indicate nel nuovo art. 2379. Per prevenire ogni possibile dubbio si è tenuto a precisare quali conseguenze produce sulla validità della deliberazione la mancanza di legittimazione di partecipanti all'assemblea o l'illegittimità del singolo voto o la incompletezza o inesattezza del verbale assembleare. Risulta al tempo stesso precisato che simili anomalie possono tutt'al più comportare semplice annullabilità della deliberazione. Per ovviare all'inconveniente, troppe volte manifestatosi nell'esperienza, di impugnative ispirate da intenti meramente ricattatori si è richiesto il possesso di una quota qualificata di capitale sociale per esercitare l'azione di annullamento, mentre è stato confermato il termine di tre mesi entro il quale l'annullabilità può essere fatta valere.
Il riferimento alla adozione di strumenti di tutela diversi dalla invalidità, contenuto nella parte finale delle citata norma della legge delega, è parso alludere alla tecnica sanzionatoria introdotta dall'art. 2504 quater c.c. per l'atto di fusione. Con la generalizzazione di questa tecnica si sono potute contemperare fra loro l'esigenza di limitare la legittimazione a far valere l'azione di annullamento e quella di tutelare i singoli soci danneggiati da deliberazioni invalide.
I casi tassativi di nullità delle deliberazioni assembleari sono stati accresciuti, anche al fine di confermare la superfluità della pronuncia di inesistenza: alle impossibilità o illiceità dell'oggetto si sono aggiunte la mancata convocazione dell'assemblea e la mancanza del verbale della deliberazione, pur con la analitica precisazione di quando una assemblea può dirsi non convocata e di quando un verbale può dirsi mancante.
Rilevanti innovazioni consistono nella previsione di cause sananti la nullità: di carattere generale è la sanatoria per il decorso di tre anni dall'iscrizione della deliberazione o dal suo deposito nel registro delle imprese oppure, per le deliberazioni che non vi sono soggette, dalla trascrizione nel libro delle adunanze delle assemblee (fatta salva solo l'ipotesi della modificazione dell'oggetto sociale che introduca in esso attività illecite o contrarie all'ordine pubblico).Di carattere particolare sono le sanatorie riguardanti l'invalidità di deliberazioni vertenti su specifici oggetti: l'aumento o la riduzione del capitale o la emissione di obbligazioni (analoga sanatoria, per l'art. 2500 bis, vale per la trasformazione della società). Qui l'azione di nullità è soggetta ai brevi termini di decadenza di cui all'art. 2379 ter, anche qualora possa eventualmente configurarsi una illiceità dell'oggetto. Analogo discorso vale per l'invalidità della deliberazione che approvi un bilancio falso, non più impugnabile dopo l'approvazione del bilancio successivo (art. 2434 bis), quantunque si possa in essa ravvisare una deliberazione con oggetto illecito. In questa materia potrà spiegare la propria funzione di protezione degli interessi dei soci e dei terzi eventualmente danneggiati il rimedio alternativo della azione di risarcimento.

6. DELL'AMMINISTRAZIONE E DEL CONTROLLO.

La principale innovazione consiste nella possibilità di scegliere - oltre al modello tradizionale di amministrazione e di controllo che si applica in mancanza di diversa scelta statutaria - due ulteriori modelli di amministrazione e controllo, precisamente il sistema "dualistico" e quello "monistico".

I.Il sistema dualistico

Il sistema dualistico prevede la presenza di un "consiglio di gestione", e di un "consiglio di sorveglianza".

La gestione dell'impresa spetta esclusivamente al consiglio di gestione, che è costituito da almeno due componenti anche non soci, ed è nominato dal consiglio di sorveglianza, (art. 2409-novies, primo, secondo e terzo comma): Al consiglio di gestione si applicano, in quanto compatibili, quasi tutte le norme stabilite per il modello tradizionale del consiglio di amministrazione (art. 2409-undecies).

Il consiglio di sorveglianza è costituito da almeno tre componenti, di cui almeno uno deve essere iscritto nel registro dei revisori contabili istituito presso il Ministero della giustizia e, salvo quanto previsto nell'articolo 2409-duodecies, secondo comma, è nominato dall'assemblea ordinaria. Esso ha compiti compositi, poiché gli sono attribuite sia le funzioni di vigilanza e le responsabilità del collegio sindacale (art. 2409-terdecies, terzo comma e 2409-quaterdecies, primo comma) sia larga parte delle funzioni dell'assemblea ordinaria (nomina e revoca dei componenti del consiglio di gestione, loro retribuzione, approvazione del bilancio, promozione dell'azione sociale di responsabilità: art. 2409-terdecies). In considerazione del loro rilevante ruolo, alle deliberazioni del consiglio di sorveglianza sono in generale applicabili le disposizioni in tema di voto, di validità e di impugnazione stabilite dall'art. 2388 per le deliberazioni del consiglio di amministrazione (art. 2409-quaterdecies, primo comma).

Tutte le società che adottano il sistema dualistico sono assoggettate, senza eccezione, al controllo contabile di un revisore - persona fisica o società di revisione - iscritto nel registro istituito presso il Ministero della giustizia. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, il controllo contabile è obbligatoriamente esercitato da una società di revisione.

Il sistema dualistico di amministrazione e controllo, che è largamente ispirato agli ordinamenti tedesco e francese e, soprattutto, allo Statuto della Società Europea stabilito dal Regolamento del Consiglio dell'Unione Europea dell'8 ottobre 2001, attua un modello di "governance" in cui le più importanti funzioni dell'assemblea ordinaria, che nel modello tradizionale spettavano ai soci e, quindi, alla proprietà, sono attribuite ad un organo professionale quale è il consiglio di sorveglianza. Si tratta pertanto di un sistema in cui la proprietà non nomina gli amministratori e non approva il bilancio ma decide sull'elezione del consiglio di sorveglianza, che è l'organo misto di gestione e di controllo, così indirettamente determinando le linee del programma economico della società (oggetto sociale) e le modifiche di struttura della società (operazioni sul capitale, fusione e, più in generale, delibere dell'assemblea straordinaria). Date queste caratteristiche è quindi il modello di amministrazione che più realizza la dissociazione tra proprietà (dei soci) e potere (degli organi sociali).

II.Il sistema monistico

Il sistema monistico prevede un modello di amministrazione sostanzialmente uguale a quello tradizionale: le principali differenze consistono nella impossibilità di affidare l'amministrazione ad un amministratore unico e nella eliminazione del collegio sindacale. Quest'ultimo è sostituito dal "comitato per il controllo sulla gestione", nominato dal consiglio di amministrazione al suo interno e composto da amministratori che non svolgono funzioni gestionali e che, oltre ad essere in possesso dei requisiti di indipendenza stabiliti per i sindaci, devono avere almeno un componente scelto fra gli iscritti nel registro dei revisori contabili istituito presso il Ministero della giustizia (art. 2409-octiesdecies, terzo comma). La circostanza che la vigilanza sull'amministrazione sia svolta, invece che dal collegio sindacale, da un comitato formato all'interno del consiglio di amministrazione, non determina un minor rigore dell'attività di controllo, poiché la professionalità, l'indipendenza, i doveri e i poteri di tale comitato coincidono con quelli del collegio sindacale, e possono anzi essere integrati da codici di comportamento (art. 2409-noviesdecies, che richiama l'art. 2387).

Tutte le società che adottano il sistema monistico sono assoggettate, senza eccezione, al controllo contabile di un revisore - persona fisica o società di revisione - iscritto nel registro istituito presso il Ministero della giustizia. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, il controllo contabile è obbligatoriamente esercitato da una società di revisione.

Il sistema monistico, come quello dualistico, è anch'esso largamente ispirato allo Statuto della Società Europea, e attua un modello di "governance" semplificato e più flessibile rispetto agli altri modelli alternativi. Esso tende a privilegiare la circolazione delle informazioni tra l'organo amministrativo e l'organo deputato al controllo, conseguendo risparmi di tempo e di costi e una elevata trasparenza tra gli organi di amministrazione e di controllo.

III.Il sistema tradizionale

Il sistema tradizionale di amministrazione e controllo, che, come si è detto, si applica in mancanza di diversa scelta statutaria, continua a basarsi sulla distinzione tra un organo di gestione - amministratore unico o consiglio di amministrazione - e un organo di controllo, il collegio sindacale. A quest'ultimo, però, in analogia a quanto previsto dal decreto legislativo n. 58/1998 per le società quotate, è sottratto il controllo contabile, che, con l'eccezione di cui all'art. 2409 bis, terzo comma (per il quale nelle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e che non sono tenute alla redazione del bilancio consolidato, è possibile prevedere che il controllo contabile sia esercitato dal collegio sindacale: in tal caso, però, il collegio sindacale è costituito da revisori contabili iscritti nel registro istituito presso il Ministero della giustizia), è obbligatoriamente effettuato da un revisore - persona fisica o società di revisione - iscritto nel registro istituito presso il Ministero della giustizia. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, il controllo contabile è obbligatoriamente esercitato da una società di revisione.

Varie sono le modifiche o precisazioni che sono state apportate al modello di amministrazione tradizionale. Le più significative sono le seguenti:

1. Il potere di gestione e il potere di rappresentanza

La gestione dell'impresa sociale spetta in via esclusiva agli amministratori (art. 2380 bis, primo comma), i quali hanno poteri di gestione estesi a tutti gli atti che rientrano nell'oggetto sociale (art. 2380 bis, primo comma) e una rappresentanza generale per tutti gli atti compiuti in nome della società (art. 2384, primo comma). Lo statuto o l'atto di nomina o di delega possono limitare in vario modo questi poteri di gestione o di rappresentanza, o entrambi, anche prevedendo una dissociazione tra rappresentanza generale (ad esempio attribuita al presidente) e poteri di gestione (ad esempio attribuiti al consiglio, al comitato esecutivo o ad amministratori delegati).

In tutti questi casi le limitazioni "che risultano dallo statuto o da una decisione degli organi competenti" (articolo 2384, secondo comma, nonché articolo 9.2 della direttiva n. 151 del 9 marzo 1968 del Consiglio dei Ministri della CEE), anche se pubblicate, non sono opponibili ai terzi, salvo che si provi che questi abbiano intenzionalmente agito a danno della società (art. 2384, secondo comma). Nei rapporti esterni, per tutelare l'affidamento dei terzi - e salva l'exceptio doli - sia gli atti compiuti dall'amministratore munito del potere di rappresentanza ma privo del potere di gestione (atti estranei all'oggetto sociale o casi di dissociazione del potere di rappresentanza dal potere di gestione), sia gli atti che eccedono i limiti - anche se pubblicati - ai poteri di gestione o di rappresentanza, rimangono validi e impegnativi; nei rapporti interni, invece, la mancanza o eccesso di potere o l'estraneità dell'atto all'oggetto sociale restano rilevanti quale base per un'azione di responsabilità (art. 2393 e 2393 bis), quale giusta causa di revoca (art. 2383, terzo comma), e quale motivo di denuncia al collegio sindacale o al tribunale (artt. 2408 e 2409).

2. Il consiglio di amministrazione e la circolazione delle informazioni

L'amministrazione della società continua a poter essere affidata ad un amministratore unico oppure ad un consiglio di amministrazione. In quest'ultimo caso il maggior "costo" della collegialità è compensato da un'effettiva partecipazione di tutti i consiglieri alla gestione della società. A tale fine sono state aumentate le attribuzioni non delegabili (art. 2381, terzo e quarto comma); è stato previsto un ampio e periodico obbligo informativo degli organi delegati al consiglio e al collegio sindacale sulle operazioni più rilevanti per dimensioni o caratteristiche (anche qualitative, quali ad esempio operazioni atipiche, inusuali o compiute o deliberate da amministratori interessati), ed esteso anche alla gestione delle controllate (art. 2381, quinto comma); e si è disposto che gli amministratori debbano agire in modo informato ed abbiano correlativamente un diritto individuale all'informazione cui gli organi delegati devono far fronte riferendo al consiglio (art. 2381, ultimo comma).

Si è anche precisato nell'articolo 2389 che è possibile attribuire agli amministratori, a titolo di compenso, il diritto di sottoscrivere a prezzo predeterminato azioni di futura emissione; in tal modo si è confermata la diffusa pratica delle stock-options con la cautela, però, non essendosi modificato l'ultimo comma dell'articolo 2441, che deliberazioni assembleari in tal senso richiederanno in ogni caso una congrua motivazione alla luce dell'interesse sociale richiamato dal quinto comma del medesimo articolo, e l'applicazione pertanto delle maggioranze rafforzate ivi richieste.

Un'informativa dettagliata è stata poi prevista, come si vedrà, per le operazioni relativamente alle quali un amministratore abbia - per conto proprio o di terzi - un interesse, anche se coincidente con quello della società (art. 2391, primo comma).

L'ampia circolazione delle informazioni sulla gestione, con particolare trasparenza sulle operazioni relativamente alle quali gli amministratori possano, anche per conto terzi, avere un interesse, tende da un lato a rendere efficaci ed utili le riunioni e le deliberazioni del consiglio (che può impartire direttive agli organi delegati e avocare a sé operazioni rientranti nella delega: art. 2381, terzo comma) e, d'altro lato, a definire un'articolazione interna del consiglio e del suo funzionamento in cui i rispettivi poteri e doveri del consiglio e degli organi delegati siano delineati con precisione, in modo che anche le rispettive responsabilità possano essere rigorosamente definite.

3. Il conflitto di interessi

Il conflitto di interessi è disciplinato dall'articolo 2391 con particolare rigore sotto vari profili; in primo luogo si tutela la trasparenza, imponendosi agli amministratori di dare notizia di ogni interesse che essi abbiano, anche per conto di terzi, in operazioni della società, anche se l'operazione sia nell'interesse sociale; in secondo luogo si impone agli amministratori delegati interessati di astenersi dal compiere l'operazione, investendone l'organo collegiale ed obbligando a motivare la deliberazione adottata nella situazione prevista dalla norma; in terzo luogo, si persegue la prevenzione del danno consentendo l'impugnativa della deliberazione dell'organo non solo agli amministratori assenti o dissenzienti, ma anche a quelli consenzienti ed al collegio sindacale quando non siano stati debitamente informati del conflitto; da ultimo, sotto il profilo propriamente risarcitorio si prevede che il risarcimento integrale del danno sia dovuto, oltre che nei casi di violazione dei doveri di informazione o di astensione dal voto, anche nei casi in cui un amministratore abbia utilizzato a vantaggio proprio o di terzi, o abbia comunicato a terzi, dati, notizie od opportunità di affari appresi nell'esercizio delle proprie funzioni.

Il maggior rigore di questa disciplina vuole sottolineare non solo che qualsiasi amministratore, essendo un gestore di un patrimonio altrui, non può approfittare della sua posizione per conseguirne diretti o indiretti vantaggi, ma, soprattutto, il valore della trasparenza nella gestione delle società.
Resta ovviamente salva, come da dottrina prevalente e giurisprudenza da tempo consolidata, l'applicazione della disciplina generale dell'articolo 1394 in tema di conflitti di interessi del rappresentante nell'ipotesi in cui l'attività dell'amministratore non sia preceduta da una deliberazione collegiale, come può avvenire in caso di amministratore unico o di amministratore delegato con poteri di rappresentanza.

4. Responsabilità

Nell'adempimento dei doveri imposti dalla legge o dallo statuto gli amministratori devono usare la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico: il che non significa che gli amministratori debbano necessariamente essere periti in contabilità, in materia finanziaria, e in ogni settore della gestione e dell'amministrazione dell'impresa sociale, ma significa che le loro scelte devono essere informate e meditate, basate sulle rispettive conoscenze e frutto di un rischio calcolato, e non di irresponsabile o negligente improvvisazione.

E' stata conservata la responsabilità solidale di amministratori, sindaci e revisori contabili per i danni conseguenti alle violazioni rispettivamente imputabili, salva comunque la possibilità di provare - trattandosi di responsabilità per colpa e per fatto proprio - di essere immuni da colpa (v. artt. 2392, ultimo comma; 2407, secondo comma, e 2409 sexies, primo comma). La posizione di ciascuno dei vari soggetti solidalmente responsabili va valutata distintamente, in relazione alle circostanze di ogni singolo caso e ai diversi obblighi che fanno loro capo. Così, per assicurare che la società abbia un "assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alla dimensione dell'impresa", gli organi delegati devono "curarne" l'adeguatezza (art. 2381, quinto comma); il consiglio e i deleganti devono "valutarne" l'adeguatezza sulla base delle informazioni ricevute (art. 2381, terzo comma); e il collegio sindacale deve "vigilare" sulla permanente sussistenza di tale adeguatezza e sul suo corretto concreto funzionamento (art. 2403, primo comma).

La eliminazione dal precedente secondo comma dell'art. 2392 dell'obbligo di vigilanza sul generale andamento della gestione, sostituita da specifici obblighi ben individuati (v. in particolare gli artt. 2381 e 2391), tende, pur conservando la responsabilità solidale, ad evitare sue indebite estensioni che, soprattutto nell'esperienza delle azioni esperite da procedure concorsuali, finiva per trasformarla in una responsabilità sostanzialmente oggettiva, allontanando le persone più consapevoli dall'accettare o mantenere incarichi in società o in situazioni in cui il rischio di una procedura concorsuale le esponeva a responsabilità praticamente inevitabili. Si tratta di un chiarimento interpretativo di notevole rilevanza, avuto riguardo alle incertezze dell'attuale prevalente giurisprudenza.

5. Azione sociale esercitata dalla minoranza

In conformità alle istanze formulate da quasi cinquant'anni da molti studiosi, è stata prevista la legittimazione di una minoranza di soci ad esercitare l'azione sociale di responsabilità (art. 2393 bis).

Poiché, salvo diverse percentuali previste nello statuto, la legittimazione spetta a tanti soci che rappresentino almeno il 20% del capitale sociale (o il 5% nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio), questa importante tutela spetta solo a minoranze sufficientemente significative: circostanza questa che, assieme alla previsione che ogni vantaggio conseguito anche in via transattiva spetta alla società, pare idonea ad evitare l'insorgenza di una eccessiva conflittualità tra i soci.

6. Collegio sindacale

Significative sono state le innovazioni in materia di collegio sindacale.

In primo luogo il controllo contabile è stato sottratto al collegio sindacale ed è stato attribuito ad un revisore o società di revisione (artt. 2403 e 2409 bis primo e secondo comma), con la sola eccezione, per di più facoltativa, per le società che, oltre a non fare ricorso al mercato del capitale di rischio, non siano tenute alla redazione del bilancio consolidato (artt. 2403, secondo comma, e 2409 bis, terzo comma).

I compiti del collegio sindacale sono stati pertanto limitati alla vigilanza sull'osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione e sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società (art. 2403, primo comma): pertanto, sebbene la norma relativa alla responsabilità dei sindaci abbia subito solo piccole modifiche (art. 2407), l'ambito della responsabilità risulta meglio definito e sostanzialmente ristretto.

In secondo luogo sono state meglio definite ed ampliate sia le cause d'ineleggibilità e decadenza al fine di garantire l'indipendenza e neutralità di tutti i sindaci (art. 2399), sia i requisiti di professionalità, prevedendo la possibilità che la maggioranza dei sindaci non sia iscritta nel registro dei revisori contabili istituito presso il Ministero della giustizia, anche se gli altri sindaci devono pur sempre essere iscritti in albi professionali individuati con decreto del Ministro della Giustizia, o essere professore di ruolo in materie economiche o giuridiche (art. 2397, secondo comma).

7. Denuncia al tribunale

Varie sono state le modifiche apportate alla denuncia al tribunale delle gravi irregolarità nella gestione prevista dall'art. 2409: possibilità di denunciare anche irregolarità delle società controllate; necessità che le irregolarità possano recare danno alla società; prevalenza dei rimedi endosocietari se concretamente i nuovi amministratori e sindaci si attivano per accertare e, in caso positivo, eliminare le irregolarità; possibilità per la società di partecipare al procedimento e di impugnare anche l'ordine di ispezione.

La legittimazione alla denuncia è stata estesa al collegio sindacale e, nel sistema dualistico o monistico, al consiglio di sorveglianza e al comitato per il controllo della gestione; è stata invece ristretta la legittimazione alla denuncia del pubblico ministero, che è stata limitata alle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, alle società, cioè, per le quali il notevole numero di soci può giustificare un'iniziativa di tale organo pubblico.
Nel quinto comma dell'articolo 2409 si è altresì precisato che in caso di proposizione dell'azione di responsabilità da parte dell'amministratore giudiziario, l'assemblea, cessate le funzioni dell'amministratore medesimo, può valutare l'opportunità che l'azione di responsabilità stessa sia proseguita, e ciò sulla base della disciplina generale dell'ultimo comma dell'articolo 2393.

8. Controllo contabile

Innovativa è l'intera sezione dedicata al controllo contabile. Oltre alle funzioni di controllo contabile, che nel vigore del precedente sistema spettavano ai sindaci, il revisore deve verificare, con periodicità almeno trimestrale, la corretta rilevazione nelle scritture contabili dei fatti di gestione (art. 2409 ter, primo comma, lett. a).

Come già rilevato, il revisore contabile è sempre presente, senza eccezioni, nelle società che adottano il sistema dualistico o monistico, mentre nelle società che adottano il sistema tradizionale può facoltativamente essere sostituito dal collegio sindacale nelle società che, oltre a non fare ricorso al mercato del capitale di rischio, non siano tenute alla redazione del bilancio consolidato (artt. 2403, secondo comma, 2409 bis, terzo comma).

Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio il controllo contabile è esercitato da una società di revisione, mentre nelle altre società esso può essere esercitato anche da un revisore persona fisica, purché iscritta nel registro ora indicato (articoli 2409-bis, primo e secondo comma).

Tra il soggetto incaricato del controllo contabile e gli organi di controllo contabile dei vari sistemi di governance (collegio sindacale nel sistema tradizionale, consiglio di sorveglianza nel sistema dualistico e comitato per il controllo sulla gestione nel sistema monastico) è prevista una tempestiva circolazione delle informazioni (art. 2409 septies), che si estende anche agli organi che amministrano la società (art. 2381, quinto comma, richiamato anche nei sistemi dualistico e monistico).

La responsabilità dei soggetti incaricati del controllo contabile è analoga a quella dei sindaci (articolo 2409-sexies, primo comma, che richiama l'articolo 2407); se il controllo è esercitato da una società di revisione, anche i soggetti che hanno effettuato la revisione rispondono in solido con la società di revisione (articolo 2409-sexies, secondo comma).

Sia per i soggetti incaricati del controllo contabile, sia per i sindaci e per i componenti del consiglio di sorveglianza o del comitato per il controllo della gestione, la responsabilità è - come per gli amministratori e per i componenti del consiglio di gestione - illimitata. La responsabilità ha infatti anche, e soprattutto, una funzione di deterrente, di spinta ad evitare violazioni dei rispettivi doveri. La conservazione di questa funzione deterrente se, da un lato, implica un sistema di responsabilità per colpa (non già un sistema di responsabilità oggettiva), d'altro lato può operare efficacemente solo con un sistema di responsabilità illimitata: consentire infatti una responsabilità limitata, facilmente assicurabile con premi modesti (per di più spesso a carico della stessa società amministrata o controllata), renderebbe gli amministratori, i sindaci e i revisori sostanzialmente irresponsabili e, quindi, privi di ogni tensione per porre in essere comportamenti diligenti, rispettosi della legge e senza conflitti di interesse. Si è peraltro stabilito, come si è visto, che la responsabilità consegue solo alla violazione colpevole di specifici e ben individuati doveri, diversi a seconda dei ruoli svolti, e che essa deve valutarsi in relazione a ciascuno dei vari soggetti solidalmente responsabili, in modo da evitare in radice un'indebita estensione della responsabilità solidale a soggetti che abbiano svolto con diligenza i loro specifici compiti.

7. DELLE OBBLIGAZIONI.

La delega prevede (art.4, comma 5) che la disciplina relativa all'emissione di obbligazioni sia modificata nel senso:
a) di attenuarne o rimuoverne i limiti all'emissione;
b) di consentire l'autonomia statutaria di determinare l'organo competente a decidere l'emissione.

In attuazione non solo della specifica previsione della delega, ma anche del principio generale di valorizzazione dell'autonomia statutaria, l'art. 2410 rimette in principio la decisione sull'emissione di obbligazioni all'organo amministrativo, salvo diversa previsione statutaria. E' conservata la regola della pubblicità della decisione e del deposito.
In applicazione di uno degli indirizzi generali della Riforma, l'arricchimento degli strumenti di finanziamento dell'impresa, l'art. 2411 da espresso riconoscimento alla possibilità che il prestito obbligazionario assuma profili di subordinazione, e possa partecipare, anche giuridicamente, al rischio di impresa.
Si recepisce così l'esperienza estera diffusa e consolidata, e già nota in Italia in settori specialistici, contribuendo, come è evidente, ad assottigliare la linea di confine tra capitale di rischio e capitale di credito.
Difficile problema quello del limite all'emissione di obbligazioni. Il Codice Civile del 1942, nello stabilire all'art. 2410 che: "la società può emettere obbligazioni& per somme non eccedenti il capitale versato ed esistente secondo l'ultimo bilancio approvato" si adeguava, verosimilmente, alla tesi che nel limite, e quindi nel capitale, appunto "versato ed esistente", ravvisava un principio di garanzia per gli obbligazionisti. Così interpretata, la disciplina, oltre ovviamente a condizionare e limitare pesantemente la possibilità di ricorso a tali strumenti di finanziamento tipicamente a medio-lungo termine, provocava rilevanti difficoltà applicative, soprattutto per l'accertamento dell'effettiva esistenza del capitale alla data di emissione.
L'impostazione a base della disciplina del Codice Civile del 1942 era stata fortemente criticata, ed è oggi diffusamente accettata la tesi che individua la portata del limite nel senso di attuare l'esigenza di un'equilibrata distribuzione del rischio di attività di impresa tra azionisti e obbligazionisti. In altri termini, si è in presenza di una tecnica diretta ad impedire che gli azionisti ricorrano al mercato del capitale di credito a medio-lungo termine in misura eccessiva rispetto a quanto rischiano in proprio, e dunque di un principio sistematicamente analogo al limite alla emissione di azioni di risparmio e privilegiate, anche questo determinato con riferimento al capitale.
Sulla base di questa impostazione del problema e dell'indicazione della delega, nonché di quanto già parzialmente avvenuto per effetto del d.lgs. n. 385 del 1993, che per talune società ha modificato il Codice Civile, si è delineato nell'art. 2412 un regime innovativo.
Si è ritenuto di mantenere in principio una regola di rapporto fra il ricorso al mercato fra il capitale di rischio e il capitale di credito, prendendo a base del parametro il capitale sociale come ammontare versato o che i soci si sono impegnati a versare, più, essenzialmente se non esclusivamente, le riserve da utili, tutto ciò che in sostanza rappresenta l'impegno economico dei soci nella società. E' sembrato opportuno al fine di agevolare l'accesso al mercato dei capitali considerare tale parametro nella misura del doppio della cifra risultante dagli elementi sopra indicati al fine di individuare il limite in questione. E' sembrato, altresì, opportuno ad ulteriore garanzia dei terzi chiedere ai sindaci l'attestazione del rispetto di questi limiti.
Si è poi previsto, per agevolare il ricorso a queste fonti di finanziamento, che il limite possa essere superato se l'eccedenza è sottoscritta da parte di investitori che per la loro qualifica non hanno bisogno di speciale tutela, proteggendo il principio con la responsabilità del sottoscrittore in caso di successiva circolazione. A tal fine si sono individuati tali investitori per le loro caratteristiche di professionalità e per la loro soggezione a forme di vigilanza prudenziale; con ciò avvalendosi dei criteri che per fini analoghi sono previsti nell'articolo 11 del d. lgs. N. 385 del 1993.
Per le obbligazioni garantite da ipoteca sui beni alla società si è ritenuto di doverle escludere dal limite e dal calcolo del limite.
Per le società, invece, le cui azioni sono negoziate in mercati regolamentati, esistendo il controllo del mercato, si è ritenuto di non stabilire alcun limite, a condizione, ovviamente, che destinate alla quotazione siano anche le obbligazioni.
Si è mantenuta la deroga speciale prevista nell'attuale art. 2410, 3° comma.

Alla restante disciplina delle obbligazioni si sono apportate solo le modifiche conseguenti a quelle principali.

8. DEL BILANCIO

L'art. 6 della legge delega n. 366 prevede la revisione della disciplina del bilancio per alcune importanti operazioni quali, per esempio, la locazione finanziaria, i pronti contro termine e gli strumenti finanziari derivati.

Queste operazioni sono attualmente contabilizzate secondo gli aspetti formali dei contratti sottostanti. La moderna dottrina aziendalistica e la prassi internazionale, cui spesso fa riferimento la relazione accompagnatoria alla legge delega, prevedono invece che la rappresentazione in bilancio di queste operazioni (e in generale di tutti gli accadimenti economici) sia effettuata secondo la realtà economica sottostante agli aspetti formali.

Inoltre, alcune operazioni di carattere finanziario possono comportare effetti compensativi di segno opposto sia per quanto riguarda gli aspetti patrimoniali sia per quelli economici. In questi casi, essendo la compensazione un elemento intrinseco dell'operazione, non si deve applicare il divieto di compensazione di partite. Tale divieto, previsto dal 6° comma dell'art. 2423-ter, è formulato in via assoluta.
È stata data attuazione al primo comma dell'art. 6 della legge delega, disponendo, attraverso l'eliminazione di qualsiasi riferimento a norme tributarie, che i rendiconti economici e patrimoniali siano redatti in ottemperanza delle disposizioni del codice civile in quanto uniche disposizioni in materia.
Nonostante ciò non è stato mutato in alcun modo il principio cardine introdotto con la riforma introdotta nel d.P.R. n. 597 del 1973, secondo il quale l'imponibile fiscale è determinato prendendo a base il risultato di esercizio risultante dal bilancio civilistico ed apportando al medesimo le variazioni in aumento o in diminuzione conseguenti all'applicazione dei criteri stabiliti nelle successive disposizioni dell'attuale testo unico. La separazione è stata ottenuta disponendo la predisposizione e la presentazione, con la dichiarazione dei redditi, di un apposito prospetto dal quale risultino:

  1. le variazioni in più o in meno apportate al reddito determinato secondo le disposizioni civilistiche per giungere alla determinazione dell'imponibile fiscale
  2. i valori delle voci patrimoniali riconosciute ai fini fiscali, se diversi da quelli indicati nel bilancio.

In questo modo ogni variazione apportata all'utile civilistico per giungere all'imponibile fiscale non tocca in alcun modo il bilancio e di conseguenza non ne influenza il risultato.
Nell'art. 2426 del c.c. è stata soppressa la previsione che consentiva di effettuare rettifiche di valore esclusivamente in applicazione di norme tributarie; peraltro l'art. 43 c. 1 punto 10 della IV Direttiva prescrive che la nota integrativa deve contenere la proporzione in cui il calcolo dell'utile o della perdita di esercizio è stato influenzato da una valutazione effettuata in deroga alle regole di valutazione (artt. 31, 34 e 42 della Direttiva) durante l'esercizio o nel corso di un esercizio precedente, anche per poter ottenere sgravi fiscali. L'eliminazione di qualsiasi interferenza di norme fiscali sul conto economico consente di ottemperare alla Direttiva senza necessità di indicare alcunché nella nota integrativa.
L'articolo 6 della legge delega n. 366 prevede al punto a) di "&stabilire le modalità con le quali, nel rispetto del principio di competenza, occorre tenere conto degli effetti della fiscalità differita". La relazione alla citata legge delega specifica che la lettera a) dell'art. 6 intende colmare una lacuna dell'attuale disciplina che non prevede esplicitamente la rappresentazione in bilancio delle imposte differite o anticipate. Si pone, quindi, un problema di adattamento o integrazione dei vigenti schemi di bilancio e la presente proposta intende risolvere questo problema, come sarà più oltre illustrato.

Circa i criteri per quantificare gli importi stimabili delle imposte differite o anticipate, la relazione alla legge delega fa riferimento ai principi di competenza e di prudenza citando le posizioni espresse dalla migliore prassi contabile nazionale (il principio contabile n. 25) ed internazionale (il documento IAS n. 12).

Non si è giudicato necessario introdurre variazioni all'art. 2423-bis (Principi di redazione del bilancio) perché il punto n. 3 è sufficientemente "generale" da comprendere anche la "fiscalità differita". Il punto n. 3 sancisce il principio generale della "competenza" per proventi ed oneri; le imposte non costituiscono una "categoria" separata, ma rientrano nella definizione generale di "proventi ed oneri" (imposte anticipate ed imposte differite). La tecnica contabile, ed in particolare attualmente il principio contabile nazionale n. 25, potrà fornire adeguate direttive di dettaglio in materia.

Per dare conto negli schemi di stato patrimoniale e di conto economico degli importi relativi alla contabilizzazione delle imposte differite è stato previsto quanto segue:
 

  • Due voci apposite, nell'ambito dei crediti (voce CII) denominate "crediti tributari" e "imposte anticipate".

Nell'attuale schema di Stato Patrimoniale, all'attivo, non vi è una specifica previsione di indicazione delle imposte. Si è pertanto ritenuto necessaria la introduzione di una specifica indicazione dei crediti per imposte versate in eccedenza e delle imposte anticipate (imposte differite attive).
Per le imposte versate in eccedenza si ritiene corretto utilizzare il termine "crediti tributari" (simmetrico alla previsione già esistente al passivo, voce D 11). Per le "imposte anticipate" si è ritenuta corretta una indicazione separata, rispetto ai "crediti tributari", stante la loro natura che non è esattamente quella di un credito riscuotibile, quanto piuttosto di minori imposte da pagare in futuro. Di qui la indicazione "imposte anticipate", non preceduta dal termine "crediti" né dalla preposizione "per" (imposte anticipate).

Al passivo dello stato patrimoniale si è ritenuto sufficiente integrare la dizione della voce B(2): fondi per imposte con la precisazione "anche differite". Infatti, le imposte differite (passive), vanno indicate al passivo; la voce più corretta è il "Fondo Imposte" e non la voce "debiti tributari" (D 11), non trattandosi di debiti effettivi da pagare, quanto di maggiori imposte da pagare in futuro.

Per il conto economico si è ritenuto sufficiente integrare la dizione della voce 22 - imposte sul reddito con la precisazione "correnti, differite e anticipate"; il relativo dettaglio sarà fornito nella Nota Integrativa.

Per la Nota Integrativa (art. 2427 C.C.) si è prevista una nuova scrittura del punto 14 il quale, nella attuale formulazione, prevede un'informativa di dettaglio delle rettifiche di valore e degli accantonamenti di valore operati esclusivamente in applicazione di norme tributarie. A seguito dell'eliminazione delle interferenze fiscali, in ossequio alla lettera a) dell'articolo 6 della legge delega, l'attuale formulazione del punto 14 dell'art. 2427 C.C. è soppressa e viene sostituita dalla previsione di utili informazioni circa le modalità di calcolo delle imposte differite.

L'attuale disciplina dettata dagli artt. 2424 e 2427 c.c. prevede l'obbligo di fornire indicazioni che non soddisfano adeguatamente l'informativa in merito all'origine ed all'utilizzabilità delle voci di patrimonio netto riportate nella voce A) del passivo.
Si è previsto pertanto di intervenire sul contenuto della sola Nota Integrativa, prescrivendo appositi prospetti nei quali le poste del patrimonio netto devono essere distinte secondo l'origine, la distribuibilità e la disponibilità.
Non si è ritenuto di prescrivere l'utilizzo di prospetti a schema rigido, lasciando forma e struttura alla libera scelta del redattore del bilancio. Tuttavia, è parso opportuno allegare alla presente una esemplificazione (all. 1 e all. 2).
Per quanto attiene invece ai finanziamenti dei soci con obbligo di restituzione, si è creduto di intervenire direttamente sull'art. 2424 c.c..
In conclusione le modifiche proposte agli artt. 2424 e 2427 c.c. sono le seguenti:
 

  • Art. 2424 passivo A) VII: è stata soppressa l'indicazione "distintamente indicate" in merito alle "altre riserve" perchè tale dettaglio deve essere fornito nella Nota Integrativa. Si ritiene così di agevolare la lettura dello schema di bilancio.
  • Art. 2424 passivo D) 3): viene inserita la nuova voce "debiti verso soci per finanziamenti" che accoglie i finanziamenti con obbligo di restituzione concessi da soci.
  • Art. 2427 4): anche per le voci di patrimonio netto vengono richieste le variazioni intervenute nella consistenza.
  • Art. 2427 7 bis): si prescrive l'indicazione analitica delle voci di patrimonio con specificazione in appositi prospetti della loro origine, disponibilità e distribuibilità

A completamento delle prescrizioni in tema di patrimonio, si è integrato l'art. 2431 cc specificando che anche le maggiori somme percepite nell'ambito della conversione di obbligazioni non possono essere distribuite fino a quando la riserva legale non ha raggiunto i limiti di cui all'art. 2430 cc.

L'attuale disciplina di bilancio non prevede specifiche indicazioni relative alle operazioni in valuta. Posto che il bilancio è redatto in euro, si debbono fissare regole di conversione e di valutazione di dette operazioni.
Si è prevista una disciplina diversa a seconda che le operazioni in valuta riguardino le immobilizzazioni o l'attivo circolante.
Sono state previste, quindi, le seguenti modifiche:
 

  • Art. 2425 17 bis): si è prevista una voce che riporti l'effetto (utile o perdita) delle variazioni dei cambi rispetto a quelli adottati alle date di effettuazione dell'operazione.
  • Art. 2425 bis : i ricavi ed i costi delle operazioni in valuta sono rilevati nel Conto Economico al cambio del giorno in cui si effettua l'operazione posto che i relativi crediti e debiti in moneta estera (di qualsiasi natura e scadenza) sono rilevati in contabilità nella moneta di conto al cambio della predetta data.
  • Art. 2426 8 bis): si prescrive che le attività e passività in valuta, già iscritte ai cambi della data di effettuazione dell'operazione, devono essere valutate al cambio in vigore alla data di chiusura dell'esercizio imputando la variazione al Conto Economico. Per le attività immobilizzate, stante la loro natura, è fatto obbligo di mantenere il cambio "storico" cioè quello corrente alla data di effettuazione dell'operazione.

L'eventuale differenziale positivo su cambi non può essere distribuito fino a quando non sarà realizzato con l' estinzione dell'attività o passività che l'ha generato.

 

  • Art. 2427 6 bis): considerata l'incidenza sul Conto Economico che deriva dalla valutazione delle poste in divisa, così come prescritto dall'art. 2426 8 bis) c.c., viene richiesta una specifica indicazione circa gli effetti che possono derivare da variazioni dei cambi rispetto a quelli espressi alla data di chiusura dell'esercizio.

Inoltre, tenuto conto che nella valutazione dei crediti la capacità di rimborso da parte del debitore può essere anche condizionata dal servizio di rimborso del paese estero e non solo dalla valuta di regolamento, si è prevista la seguente modifica:

 

  • Art. 2427 6): tenuto conto che la valutazione dei crediti (c.d. rischio paese) è fortemente condizionata non solo dalle valute di regolamento, ma anche dal paese della controparte, è stata introdotta una specifica indicazione di tali poste suddivise per aree geografiche.

L'articolo 6 della legge delega prevede alla lettera c) che il legislatore delegato debba "dettare una specifica disciplina in relazione al trattamento delle operazioni denominate in valuta, degli strumenti finanziari derivati, dei pronti contro termine, delle operazioni di locazione finanziaria e delle altre operazioni finanziarie"

Tale disposizione si propone il superamento di alcune carenze presenti nell'attuale quadro normativo, apportando gli aggiustamenti necessari per recepire nell'ordinamento contabile fattispecie contrattuali innovative generate dai processi di evoluzione finanziaria. Vengono in particolare richiamati gli strumenti valutari, i contratti derivati, gli strumenti di copertura dei rischi, i pronti contro termine e le locazioni finanziarie.

Si precisa che il regime applicabile a tali operazioni "non potrà che ispirarsi ai principi di redazione del bilancio che la delega stessa non intende affatto modificare". Con particolare riferimento ai contratti derivati viene ipotizzato uno schema valutativo fondato sulla loro destinazione economica da parte dell'impresa, "sicché le relative regole di valutazione dovrebbero conformarsi, pur con gli opportuni adattamenti tecnici, ai canoni sanciti in generale dall'art. 2426 c.c. per gli elementi immobilizzati e quelli non immobilizzati". Per le operazioni di copertura viene escluso l'impiego in bilancio di approcci valutativi asimmetrici, "risultando più appropriato adoperare parametri omogenei (coerenza valutativa) con quelli applicati alle posizioni protette".

La disciplina degli strumenti finanziari ha formato oggetto di approfondito dibattito in sede internazionale da parte degli organismi preposti all'emanazione dei principi contabili. Tale dibattito ha comportato lo sviluppato di modelli di valutazione che si orientano verso l'abbandono del modello del costo storico a favore di un modello basato sul fair value, definito come il "corrispettivo al quale un'attività può essere scambiata, o una passività estinta, tra parti consapevoli e disponibili, in un'operazione tra terzi".

In particolare l'International Accounting Standards Board nel 1999 ha emanato l'International Accounting Standard n. 39 ("Financial Instruments: Recognition and Measurement") che fissa i criteri per la rilevazione, la valutazione e l'informativa di bilancio relativi agli strumenti finanziari e alle operazioni di copertura.

Tale principio contabile, entrato in vigore a partire dal 1.1.2001, dispone che gli strumenti finanziari devono essere contabilizzati inizialmente al costo di acquisto, ossia al fair value del corrispettivo dato o ricevuto.

Successivamente all'acquisto i criteri di valutazione variano a seconda della destinazione degli strumenti finanziari.

Per quanto concerne in particolare la categoria degli strumenti destinati alla negoziazione, non di copertura, il principio contabile dispone che questi devono essere valutati al fair value. Le variazioni del fair value devono essere imputate a conto economico.

I criteri di valutazione stabiliti dal principio contabile internazionale per la valutazione degli strumenti finanziari destinati alla vendita si discostano pertanto notevolmente da quelli stabiliti dal codice civile, che recepiscono le norme comunitarie in materia contabile. In particolare l'art. 2426, punto 9) dispone che le attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni sono iscritte al costo di acquisto, ovvero al valore di realizzazione desumibile dall'andamento del mercato, se minore. Non è pertanto consentito iscrivere il maggior valore derivante dalla valutazione degli strumenti finanziari destinati alla vendita al fair value, così come invece richiesto dal principio contabile internazionale.

Il Parlamento Europeo, al fine di garantire la coerenza tra le direttive contabili comunitarie e gli sviluppi della normazione contabile internazionale (ed in particolare quella sviluppata dall'International Accounting Standards Board), in data 27 settembre 2001, ha emanato la direttiva 2001/65/CE volta ad introdurre modifiche sostanziali alla disciplina dettata dalle direttive contabili. Tali modifiche consentono in particolare l'applicazione del principio contabile internazionale n. 39 per quanto concerne la rilevazione e la valutazione degli strumenti finanziari.

In particolare la direttiva introduce una deroga all'articolo 32 della IV direttiva comunitaria in materia di conti annuali (direttiva 78/660/CEE), che richiede di valutare le voci dell'attivo e del passivo sulla base del prezzo di acquisizione o del costo di produzione, raccomandando agli Stati membri che autorizzino, o impongano, per tutte o talune società, la valutazione al fair value degli strumenti finanziari, compresi i derivati.

Gli Stati membri dovranno adottare le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla suddetta direttiva anteriormente al 1 gennaio 2004. La Legge 1 marzo 2002, n. 39, "Legge comunitaria 2001", ha delegato il governo ad emanare entro il 10.4.2003 i Decreti Legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alla Direttiva 2001/65/CE.

 

Negli ultimi anni, le operazioni di investimento finanziario hanno assunto forme contrattuali diversificate, tra cui è particolarmente rilevante quella del contratto c.d. "pronti contro termine".
Sotto il profilo giuridico questo assume il contenuto di una vendita di titoli "a pronto", con patto di retrovendita dei medesimi "a termine" e ha funzione economica di investimento - finanziamento con durata prefissata.
Come precisato dalla relazione alla legge delega invece, l'"essenza economica" della operazione è quella di una forma "di raccolta e di investimento temporaneo di liquidità" e non di"transazione in titoli".
Perciò in applicazione del principio generale di prevalenza della sostanza sulla forma e in attuazione del cirterio direttivo dell'art. 6 lettera c) si è prescritto che le attività relative al "pronti contro termine" rimangano iscritte nel bilancio del cedente "a pronti" e che nel bilancio del cessionario "a pronti" sia iscritto il credito corrispondente.
La ragion d'essere della norma sta nel fatto che la prestazione caratteristica del contratto risiede nella obbligazione del cessionario "a pronti" a rivendere "a termine".
 

  • Art. 2424 bis , quarto comma: viene disposto che le attività oggetto di contratti di compravendita con obbligo di retrocessione a termine devono permanere nello stato patrimoniale del cedente.
  • Art. 2425 bis : viene disposta l'iscrizione pro rata temporis dei proventi ed oneri connessi alle attività, integrati, in aumento o diminuzione, dai differenziali tra il prezzo di cessione a pronti e quello di riacquisto a termine.
  • Art. 2427 6 ter): viene disposto di evidenziare distintamente, nella Nota Integrativa, i debiti e i crediti derivanti da contratti di compravendita, compresi quelli Pronti contro Termine, che comportano l'obbligo di retrocessione a termine.

L'articolo 6 della legge delega n.366 prevede al punto c) una specifica disciplina, fra l'altro, delle operazioni di locazione finanziaria. La relazione alla citata legge delega chiarisce sul punto che "per&..le locazioni finanziarie andrebbe codificato il trattamento contabile in grado di meglio rispecchiarne l'essenza economica" e che "&parrebbe corretto prevederne la contabilizzazione secondo il c.d metodo finanziario in luogo del metodo patrimoniale". Il condizionale utilizzato nella relazione indica una possibilità ma non una prescrizione.

Per inquadrare il problema, è utile riferirsi al documento 17 dello IASB che così si esprime:

"Per locazione finanziaria (leasing) s'intende un contratto con cui un concedente mette a disposizione di un utilizzatore un bene a quest'ultimo strumentale, per un tempo determinato e contro un corrispettivo periodico (canone).Il bene dato in locazione finanziaria può essere stato acquistato o realizzato dal concedente su scelta o indicazione dell'utilizzatore, ovvero potrebbe essere stato originariamente di proprietà di quest'ultimo, come nel caso di retrolocazione finanziaria (sale and lease back)."

Secondo il metodo contabile c.d. "patrimoniale", i contratti di locazione finanziaria sono contabilizzati in base alla forma giuridica negoziale; e pertanto i beni oggetto di locazione sono rilevati come attività patrimoniali da parte del concedente e dallo stesso ammortizzati, mentre sono contabilizzati a conto economico i canoni corrisposti dall'utilizzatore. Quest'ultimo, invece, contabilizza periodicamente, in funzione della loro competenza economica, come costi d'esercizio, i canoni contrattualmente dovuti. In altri termini, il metodo patrimoniale considera la locazione finanziaria come un contratto pluriennale di locazione e concedente e utilizzatore contabilizzano di conseguenza gli effetti del contratto.

Tuttavia, spesso i contratti di locazione finanziaria non rappresentano un puro e semplice contratto di locazione, in particolare (ma non solo) in tutti quei casi in cui i contratti contengano una clausola di riscatto che consente all'utilizzatore al termine del contratto di acquisire la proprietà del bene locato ad un prezzo particolarmente vantaggioso. In pratica, l'utilizzatore ottiene la effettiva disponibilità economica del bene sopportandone tutti i rischi (ad esempio quello del deperimento fisico ed economico), ma ottenendo tutti i benefici derivanti dall'uso del bene stesso.

Secondo il c.d. metodo "finanziario", nel bilancio dell'utilizzatore il bene locato è iscritto fra le proprie immobilizzazioni ed assoggettato ad ammortamento in funzione della sua vita utile economica, rilevando il debito per la parte relativa al capitale e registrando per competenza la componente finanziaria del canone e gli oneri accessori. Specularmente, il concedente iscrive in bilancio un credito per la parte relativa al capitale, registrando per competenza la parte finanziaria del canone e gli oneri accessori.

In questi casi parrebbe corretto, come rilevato dalla relazione accompagnatoria alla legge delega, che il bilancio fornisca gli effetti dell'applicazione del c.d. metodo finanziario che riflette la sostanza economica dell'operazione. Si ricorda, inoltre, che i principi contabili internazionali prevedono la contabilizzazione del leasing secondo il metodo finanziario, per i contratti aventi le caratteristiche sopra descritte.

Si impone quindi una scelta fra la contabilizzazione dei contratti di locazione finanziaria secondo il metodo patrimoniale (attualmente seguito) e quello finanziario.

Appare coerente prevedere un analogo trattamento anche per il bilancio dell'utilizzatore. In tal modo si continuerebbe a contabilizzare in bilancio la locazione finanziaria come contratto (atipico di godimento) in ottemperanza alla forma contrattuale e, nel contempo, tramite la nota integrativa, il lettore del bilancio sarebbe informato degli effetti derivanti dalla contabilizzazione secondo il metodo finanziario delle operazioni di leasing. Fra questi effetti si segnala, per la sua importanza, l'incremento della esposizione debitoria (non rilevata dal metodo patrimoniale), che è di particolare rilievo per gli investitori. A tal fine, si è aggiunto il punto 21 all'art. 2427 del codice civile, specificando quali siano le informazioni che l'utilizzatore di beni in locazione finanziaria deve fornire.

L'articolo 6 della legge delega prevede, al punto e) di "ampliare le ipotesi in cui è ammesso il ricorso ad uno schema abbreviato di bilancio e la redazione di un conto economico semplificato".

Tale ampliamento discende dal fatto che, nell'introdurre nel nostro ordinamento la IV Direttiva Comunitaria nel D.Lgs. n. 127 del 1991, il legislatore ha adottato molte delle facoltà di semplificazione previste dalla Direttiva per le imprese cosiddette di "piccole dimensioni" ma ha rinunciato alla facoltà di adottare le semplificazioni per il conto economico delle imprese cosiddette "medie" (cioè quelle che non superino due dei seguenti parametri : totale attivo ¬ 12,5 milioni, ricavi ¬ 25 milioni, numero medio dipendenti 250).

Si è pertanto provveduto a un esame delle semplificazioni previste dalla Direttiva per le piccole imprese e si sono introdotte le poche semplificazioni per lo stato patrimoniale delle piccole imprese che non furono recepite dal legislatore del 1991.

Si sono poi esaminate le semplificazioni del conto economico delle medie imprese previste dalla Direttiva. Molte di tali semplificazioni sono state accolte e alcune non accolte in quanto ritenute incompatibili con una rappresentazione dei risultati di bilancio che fosse intelligibile e sufficientemente informativa, ancorché semplificata.

Inoltre è apparso ovvio che le semplificazioni disposte in via facoltativa per le medie imprese fossero estese anche alle piccole imprese. Si è invece esclusa ogni facoltà di semplificazione per quelle imprese che, pur rientrando nei parametri dimensionali, abbiano emesso titoli negoziati sui mercati regolamentati perché, in questo caso, il livello informativo del bilancio deve essere quello "ordinario" a causa degli interessi pubblici coinvolti.

Le semplificazioni riguardano i seguenti aspetti dello stato patrimoniale delle piccole imprese, con conseguenti modifiche all'articolo 2435-bis del Codice Civile:
 

  • Possibilità di includere i crediti verso soci versamenti ancora dovuti e i ratei e risconti attivi nella voce "Crediti" (cioè le voci A e D dell'attivo possono essere comprese nella voce CII dell'attivo)
  • Possibilità di includere i ratei e risconti passivi nella voce "Debiti" (cioè la voce E del passivo può essere compresa nella voce D del passivo)

Le semplificazioni previste per il conto economico delle imprese piccole e medie, con conseguenti integrazioni all'articolo 2435-bis del Codice Civile consistono nei seguenti raggruppamenti:

 

  • Variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti con le Variazioni dei lavori in corso su ordinazione (voci A2 e A3);
  • Indicazione degli altri costi per il personale in totale, senza le distinzioni dei suoi componenti (sottovoci da B9(c) a B9(e));
  • Indicazione degli ammortamenti e svalutazioni delle immobilizzazioni per totale, senza le distinzioni fra ammortamenti di beni materiali o immateriali e le svalutazioni (sottovoci da b10(a) a B10(c));
  • Accorpamento dei proventi finanziari da crediti immobilizzati e da titoli immobilizzati (voci C16(b) e C16 (c));
  • Indicazione delle rivalutazioni di partecipazioni, immobilizzazioni finanziarie e titoli per totale (voci da D18(a) a D18(c));
  • Indicazione delle svalutazioni di partecipazioni, immobilizzazioni finanziarie e titoli per totale (voci da D19(a) a D19(c));
  • Eliminazione dell'obbligo di indicare separatamente le plusvalenze, minusvalenze e imposte di esercizi precedenti incluse nei proventi ed oneri straordinari (voci E20 e E21).

E' stata altresì prevista la possibile omissione, nella nota integrativa, dell'indicazione della ripartizione dei ricavi per categorie di attività ed aree geografiche.
Non si è ritenuto di poter accogliere ulteriori semplificazioni, possibili secondo la IV Direttiva, che porterebbero alla redazione di un conto economico che esponesse come prima voce "l'utile o perdita operativa" senza cioè evidenziare ricavi, variazioni di rimanenze, costi di materie prime, servizi e godimento beni di terzi. Questo eccesso di semplificazione conduce ad una rappresentazione del conto economico del tutto oscura, criticata dalla dottrina e da diversi anni non più praticata. Inoltre, i dettagli che si sarebbero eventualmente omessi devono essere presenti in contabilità sia per motivi di un'ordinata gestione sia per motivi fiscali (ad es. ai fini IVA) talché la semplificazione comporterebbe un'opera di elaborazione e dunque una complicazione piuttosto che una facilitazione.
L'art. 6 della legge 3 ottobre 2001 n. 366, contenente delega al Governo per la riforma del diritto societario, assegna al legislatore delegato l'obiettivo di provvedere alla "revisione della disciplina del bilancio" imponendo, fra i principi e criteri direttivi, nella lett. d) di "prevedere le condizioni in presenza delle quali le società in considerazione della loro vocazione internazionale e del carattere finanziario, possono utilizzare per il bilancio consolidato principi contabili riconosciuti internazionalmente".
La relazione al progetto "Mirone", presentato nella passata legislatura e contenente una norma di contenuto identico, chiarisce che "tale disposizione costituisce la prima risposta elaborata dal legislatore nazionale per corrispondere alle istanze di competitività delle maggior imprese multinazionali italiane e per avviare il processo di ammodernamento della disciplina legale del bilancio".
Dopo l'emanazione della legge-delega e nelle more dell'elaborazione della normativa delegata è sopravvenuta l'adozione formale in data 6 giugno 2002 da parte del Consiglio europeo del regolamento, di cui alla proposta pubblicata in GUCE n. C.154E del 29 maggio 2001, relativo all'applicazione dei principi contabili internazionali. Questi principi, che saranno adottati dalla Commissione economica europea seguendo una dettagliata procedura e previo parere di un Comitato di regolamentazione contabile composto dai rappresentanti degli Stati membri, saranno applicati ai conti consolidati delle società soggette al diritto di uno Stato membro, i cui titoli sono ammessi alla quotazione in un mercato regolamentato, a partire dall'esercizio avente inizio il 1° gennaio 2005.
L'obiettivo, dichiarato nei "considerando" e precettivamente stabilito nell'art. 1, è quello di "armonizzare l'informazione finanziaria pubblicata dalle società di cui all'art. 4 (i cui titoli sono negoziati, come si è appena detto), al fine di garantire un elevato grado di trasparenza e di comparabilità dei bilanci e, di conseguenza, un efficiente funzionamento del mercato dei capitali dell'UE e del mercato interno".
Ben si comprende allora perché la scelta dello strumento normativo sia stata nel senso del regolamento e non della direttiva, cioè per fare sì che le norme siano identiche in tutti i paesi comunitari.
I principi che saranno adottati sono quelli che sono stati e che saranno elaborati - destinati a valere su scala mondiale - dall'Organizzazione ora denominata International Accounting Standards Board (IASB): tali principi a loro volta sono denominati dall'art. 2 del regolamento International Accounting Standards (IAS) e International Financial Reporting Standards (IFRS).
Occorre ora porre in rilievo che, se da un lato la regolamentazione contabile si imporrà per i conti consolidati a tutte le società di cui all'art. 4, tuttavia l'art. 5 stabilisce che "gli Stati possono consentire o prescrivere che essa si applichi anche: a) ai bilanci di esercizio (conti annuali); b) a tutte le società diverse da quelle di cui al richiamato art. 4".
Ci si avvia dunque verso una regolamentazione mondiale applicabile sia ai bilanci consolidati sia ai bilanci di esercizio, ed a tutti i soggetti tenuti alla redazione di essi.
Si deve, dunque dettare subito una normativa, sia pure solo per il bilancio consolidato, che si adegui ai "principi contabili riconosciuti internazionalmente".
Ma sta di fatto che la disciplina attualmente vigente del bilancio consolidato, contenuta negli artt. 25 ss. del d.lgs. 9 aprile 1991 n. 127, costituisce attuazione della VII Direttiva comunitaria. Da ciò consegue che il legislatore si trova di fronte a un vincolo ineludibile, stretto com'è, da una parte, dalla necessità di introdurre norme conformi ai principi contabili internazionali e, dall'altra, dalla impossibilità di modificare la disciplina attuale fino a quando la nuova disciplina europea travolgerà la VII Direttiva e, per ciò stesso, quella del d.lgs. n. 127 del 1991.
Il problema è di notevole gravità non solo sotto il profilo formale ora segnalato, ma anche sotto un profilo sostanziale.
Si assiste oggi, infatti, ad un profondo cambiamento del modo di fare impresa che non può non esercitare la sua influenza nella direzione di una diversa struttura della rappresentazione contabile e, più in generale, della informazione societaria.
E' da rammentare che la tradizione aziendalistica, prima ancora che quella giuridica, affidava al criterio del costo storico (di acquisizione nel mercato o di autoproduzione) la valutazione degli assets nello stato patrimoniale e delle quote per lo più costanti degli ammortamenti, in funzione del deperimento o consumo dei beni.
Oggi l'orientamento è radicalmente mutato. L'evoluzione ha come risvolto, di portata anch'essa rivoluzionaria, la sopravvenuta inadeguatezza della radicata filosofia di bilancio fondata sull'appostazione del valore storico delle immobilizzazioni: si è oggi inclini a ritenere infatti che il valore corrente, soprattutto per i c.d. intangibili, rettificato con quote di ammortamento non necessariamente costanti, sia più espressivo della realtà economico-finanziaria d'impresa e più idoneo a rappresentare il concorso che hanno avuto questi assets nella produzione del reddito.
Questa evoluzione doveva essere nella mens legis in sede di legge-delega se è vero che i principi contabili internazionalmente accettati sono già oggi orientati in questo senso.
Posto che le norme attuali non possono essere soppresse, modificate o sostituite, non per questa ragione è vietata una informazione aggiuntiva: si lasci invece com'è la disciplina attuale. La Nota Integrativa ai bilanci, sia di esercizio sia consolidato, potrà essere caricata di un'ulteriore funzione informativa, accogliendo in forma sia letteraria che numerica le notizie su quale sarebbe la "rappresentazione veritiera e corretta" se si seguissero nuovi criteri.
Il lettore avrà, almeno fino ai bilanci di chiusura del 2004, l'informazione sulla base degli attuali criteri legali e, in più, quella sulla base dei principi contabili internazionali che il legislatore delegato riterrà di recepire.
Le modifiche proposte alle norme del Codice Civile in tema di bilancio post-fusione (e scissione) e di ammortamento degli Intangibili - rispondono a scopi di sostanziale rilevanza. La proposta, in attesa dell'operatività del Regolamento europeo sulle fusioni e in generale dei nuovi principi contabili internazionali dello IASB, si limita a tradurre i valori correnti derivanti dalle Business Combinations e l'ammortamento con criteri economici degli Intangibili in informazioni comprese nella Nota Integrativa al bilancio e al bilancio consolidato.
Le prescrizioni della Nota Integrativa al bilancio e al bilancio consolidato riguardano tutte le informazioni considerate rilevanti; esse applicano - in sostanza - lo spirito e le regole fondamentali dei principi contabili internazionali.

4. Il problema dell'ammortamento sistematico dell'avviamento è già attenuato, nel nostro ordinamento (art. 2426, n. 6) dalla facoltà consentita alle società di andare oltre il termine dei 5 anni, purché il maggior termine "non superi la durata per l'utilizzazione di questo attivo e ne sia data adeguata motivazione nella Nota integrativa" (la stessa regola vale, nel bilancio consolidato, per le "differenze positive" da consolidamento).
Ciò può essere inteso nel senso che, essendo oggi la vita utile dell'"avviamento" di solito (nelle aziende non affette da declino) ben superiore a 5 anni, una durata superiore è la regola. L'effettiva durata, purché adeguatamente motivata nella Nota integrativa, viene pertanto rimessa alla discrezionalità degli amministratori (secondo lo IAS 39 la vita utile di un Intangibile non può superare i 20 anni, ma si concede anche di superare questo termine, quando ciò sia ragionevole, a condizione che l'impresa stimi almeno annualmente l'ammontare recuperabile, cioè il valore corrente, e fornisca l'informazione integrativa delle ragioni che l'hanno indotta a superare i 20 anni).

5. In ogni caso, dato che le norme europee (IVa Direttiva) obbligano all'ammortamento sistematico, occorre trasferire nella Nota Integrativa le informazioni essenziali legate all'applicazione di tale verifica annuale dei valori, cioè dell'Impairment Test.
Da ciò le variazioni proposte all'art. 2427 del codice.
Le aggiunte consentono, solo appunto in Nota integrativa (e quindi senza effetto sui numeri di bilancio e sui loro risultati), di stimare e di comunicare gli effetti dell'ammortamento economico (deperimento) secondo le regole dell'Impairment, rispetto all'ammortamento contabile sistematico prescritto dalle norme in vigore (art. 2426, n. 6, sia pure interpretato in senso estensivo).
Le verifiche sull'Impairment test in Nota integrativa fornirebbero anche le motivazioni per spiegare, ai fini del bilancio, durate dell'ammortamento superiori ai 5 anni (e 20 anni).
Si tratta di un'informazione rilevante, spesso essenziale, per l'espressione dei "veri" risultati d'esercizio rispetto a quelli derivanti da regole ormai obsolete (e in via di correzione in sede europea).

6. La misura dell'ammortamento economico (deperimento) è rimesso al prudente giudizio degli amministratori; esso terrà conto del concorso di tali beni alla futura produzione di risultati economici, della durata di tale concorso; e, per quanto possibile, dei valori di mercato dei beni interessati all'ammortamento.
Ciò si traduce, appunto, nelle regole dell'Impairment test.
Si ricorda i due recenti principi contabili americani (FAS 141 e 142) hanno introdotto le seguenti regole:
 

  1. il goodwill e gli Intangibili in genere non sono più soggetti ad ammortamento sistematico nel conto economico;
  2. essi sono soggetti ad una stima, almeno annuale, ai fini dell'identificazione di un'eventuale perdita di valore (impairment test);
  3. gli elementi da considerare nell'ambito dell'impairment test sono (i) i moltiplicatori (P/E, P/EBIT, P/V, ecc.), (ii) i valori attuali dei flussi reddituali (e di cassa) futuri, il discounted cash flow), (iii) i valori di borsa dell'entità acquisita; ed, infine, (iv) eventuali perizie di valore.

Le regole americane sull'Impairment test (punto c) possono essere riformulate in questi termini:
 

  1. moltiplicatori "causali" di larga diffusione e per i quali si disponga di ampie e sicure basi informative;
  2. criteri di valutazione analitica di larga accettazione (metodi reddituali e finanziari, metodo misto patrimoniale-reddituale);
  3. quotazione di Borsa;
  4. prezzi di transazioni di società comparabili, o moltiplicatori da questi derivati.

7. La legge delega al punto b) dell'articolo 6 prevede "una regolamentazione delle poste del patrimonio netto che ne assicuri una chiara e precisa disciplina in ordine alla loro formazione e al loro utilizzo". L'articolo non distingue fra bilancio d'esercizio e bilancio consolidato. E' da supporre pertanto che la delega esplichi la propria efficacia anche in relazione al bilancio consolidato.
Si è colta dunque l'occasione per meglio disciplinare il trattamento della differenza (posta di patrimonio netto) che emerge, nel bilancio consolidato, dalla compensazione fra i valori di carico delle imprese incluse nel consolidamento e la frazione di patrimonio netto di tali imprese.
L'attuale 3° comma dell'articolo 33 del D.Lgs. n. 127 del 1991 dispone che, se dalla compensazione di cui sopra, emerge una differenza negativa non dovuta a prevedibili futuri risultati economici sfavorevoli della partecipata, essa sia iscritta a una voce di patrimonio netto denominata "riserva di consolidamento. Tale riserva può inoltre essere portata a compensazione, fino a concorrenza, di altre differenze positive.
Occorre considerare che la compensazione di cui sopra è una facoltà, ma non un obbligo, prevista dalla VIIa Direttiva Comunitaria (art. 30). La stessa direttiva (art. 31) dispone che la differenza negativa può essere imputata a conto economico in funzione della previsione di futuri risultati economici sfavorevoli della partecipata, oppure a conto economico in un'unica soluzione come plusvalenza, se realizzata.
Il principio contabile internazionale sul consolidamento (IAS 22) si esprime in modo analogo, con l'unica differenza che il trattamento contabile previsto dalla Direttiva come facoltativo è, invece, obbligatorio.
Pertanto, al fine di allineamento ai principi contabili internazionali, nei limiti consentiti dalla Legge Delega e dalla VIIa Direttiva, si è modificato l'attuale 3° comma dell'articolo 33 del Dlgs. 127/1991, disponendo che la differenza negativa di consolidamento non può essere imputata a patrimonio netto; e dunque non può essere compensata con differenze positive di consolidamento. Tale differenza negativa sarà imputata a conto economico, se deriva da una plusvalenza realizzata; ovvero ad un fondo del passivo, se dipende da prevedibili futuri risultati economici sfavorevoli della partecipata.
Alla differenza positiva, iscritta tra le attività (come "differenza da consolidamento") si applicano norme sull'ammortamento in linea con quelle applicabili per l'avviamento (si veda ai punti precedenti).

9. DELLA DISCIPLINA DEL RECESSO

La delega prevede che la disciplina del recesso sia rivista nel senso di consentire allo statuto di ampliare le cause di recesso, e di individuare criteri di determinazione del valore della partecipazione del recedente che contemperino i suoi interessi e l'esigenza di tutelare l'integrità del capitale sociale e gli interessi dei creditori, il tutto nel quadro di una concezione del recesso come estremo, ma efficace mezzo di tutela del socio avverso cambiamenti sostanziali dell'operazione cui partecipa.
All'art. 2437 le cause di recesso, aumentate come numero, vengono divise in tre categorie;
 

  1. cause di recesso necessarie, ineliminabili; aumentate rispetto all'attuale, anche in dipendenza della nuova disciplina complessiva;
  2. cause di recesso previste in principio, ma eliminabili in sede di statuto;
  3. altre cause di recesso determinabili dallo statuto; libertà questa limitata alle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, in considerazione della turbativa che in società con diffusa platea azionaria porterebbero facili, diffusi recessi.

Posto che la nuova disciplina delle s.p.a. tende a porre al suo centro l'azione, piuttosto che la persona del socio, si è ritenuto di consentire il recesso per una parte della partecipazione, ritenendo coerente che, mutato il quadro dell'operazione, il socio voglia rischiare di meno, ma continuare ad essere socio.
All'art. 2437-bis le modalità del recesso chiariscono i profili procedurali, senza indicare nulla di particolare.
All'art. 2437-ter le modalità di determinazione del valore della quota del recedente, fortemente penalizzanti nell'attuale disciplina, costituiscono grave problema, trattandosi di conciliare un atto, ed un intento, liquidatorio, quale quello del socio, con i caratteri di una società, di un'impresa, in esercizio, e le due prospettive: liquidazione e continuità sono in contrasto.
Per l'ipotesi che nulla lo statuto preveda si è fatto riferimento alla "consistenza patrimoniale", volendo così indicare la non vincolatività dei dati contabili, ed alle "prospettive reddituali", come elemento correttivo della situazione patrimoniale; il riferimento ad un valore di mercato è eventuale.
Si è però previsto che lo statuto, allora a seconda il diverso assetto delle varie società, possa dare indicazioni analitiche di quali poste rettificare, e sui criteri di rettifica. In questo caso potrà tenersi conto, se statutariamente indicato, anche, ad esempio, dell'avviamento.
All'art. 2437-quater il procedimento di liquidazione è stato arricchito di varie ipotesi graduate in successione, prevedendo l'opzione di altri soci, la vendita a terzi. Per la necessaria tutela dei creditori sociali s'è previsto che, dovendo ricorrere al rimborso diretto, soltanto in mancanza di riserve disponibili si possa diminuire il capitale, lasciando però in tal caso alla società facoltà di deliberare lo scioglimento.
Alla deliberazione di diminuzione del capitale sociale si applica la disciplina della diminuzione volontaria, con la logica conseguenza che se l'opposizione dei soci è accolta la società si scioglie.

10. DEI PATRIMONI DESTINATI AD UNO SPECIFICO AFFARE.

La delega ha previsto un istituto del tutto nuovo nell'ambito della disciplina delle società per azioni; il testo della delega ne ha consentito una attuazione secondo due modelli che, pur uniti al vertice da un fenomeno di separazione nell'ambito di un patrimonio facente capo ad un unico soggetto, si differenziano notevolmente tra loro per quanto attiene al contenuto della disciplina e la funzionalità pratica.
In una prima ipotesi (art. 2447 bis, comma 1, lett. a) siamo essenzialmente in presenza della individuazione, all'interno del patrimonio della società, di una parte di questo, la sua separazione giuridica dall'intero, e la sua destinazione ad uno specifico affare, una particolare operazione economica. Nella sostanza l'ipotesi è operativamente equivalente alla costituzione di una nuova società, col vantaggio della eliminazione dei costi di costituzione, mantenimento ed estinzione della stessa.
Coerente la disciplina che prevede: all'art. 2447-ter la deliberazione costitutiva, contenente tutti i dati necessari alla identificazione dell'operazione; all'art. 2447-quater il necessario regime di pubblicità, connesso alla efficacia reale della separazione; all'art. 2447-quater, secondo comma e 2447-quinquies un regime di tutela dei creditori sociali preesistenti alla separazione, e il principio generale che disciplina tutto il fenomeno: l'esclusiva responsabilità del patrimonio separato in ordine alle obbligazioni contratte per la sua realizzazione; all'art. 2447-sexies la necessaria contabilizzazione separata del patrimonio; all'art. 2447-septies i principi di bilancio.
La costituzione di un patrimonio separato non è necessariamente collegata ad ipotesi di finanziamenti di terzi destinati all'affare stesso; ciò però è possibile. Trattasi allora di finanziamenti a carattere "partecipativo", in ordine ai quali è prevista un'ampia possibilità di articolazione dei diritti patrimoniali ed un principio di organizzazione, all'art. 2447-octies, a tutela di questi.
Radicalmente diversa nei presupposti e nella funzione l'ipotesi di patrimonio dedicato previsto dall'art. 2447, ipotesi più attenta ai profili finanziari dell'esercizio dell'impresa, profili, del resto, certamente di attualità.
Si ipotizza infatti un finanziamento, e quindi l'ingresso di nuovi mezzi finanziari nella società, ovviamente provenienti da terzi a servizio del rimborso del quale siano principalmente destinati i ricavi dell'affare stesso.
Relativamente semplice e lineare è la disciplina in quanto il contratto deve prevedere elementi essenziali dell'operazione, ed in particolare, evidentemente, il piano finanziario dell'operazione da parte dei proventi destinati al rimborso del finanziamento le garanzie che la società offre non già per il rimborso del finanziamento, ma per la corretta e tempestiva realizzazione dell'operazione, nonché evidentemente le garanzie che la società può prestare soltanto però per una parte del rimborso.
In questo schema ovviamente una separazione patrimoniale sussiste esclusivamente a livello dei proventi nella fase di incasso, e di eventuali giacenze presso la società prima del versamento al finanziatore devono essere e restare distinti dall'intero suo patrimonio. A tal fine sono evidentemente necessari sistemi di incasso e contabilizzazione idonei ad individuare in ogni momento questi proventi.
Distinta è altresì, ovviamente, la tutela dei creditori generali della società, ai quali vengono sottratti soltanto i profili del finanziamento mentre sui beni strumentali destinati all'operazione si prevede che possano esercitare solo le azioni conservative a tutela dei loro diritti non potendo invece distoglierli dall'operazione stessa limitata all'ipotesi di cartolarizzazione è la possibilità di emissione di titoli destinati alla circolazione.

11. DELLA SOCIETA' A RESPONSABILITÀ LIMITATA.

La riforma in materia di società a responsabilità limitata, secondo quanto indicato dall'art. 3 della legge di delega, si muove nella direzione di una integrale revisione di tale modello societario. Essa, parallelamente ad un processo rilevabile sul piano internazionale, sia in Europa sia al di fuori di essa, intende offrire agli operatori economici uno strumento caratterizzato da una significativa ed accentuata elasticità e che, imperniato fondamentalmente su una considerazione delle persone dei soci e dei loro rapporti personali, si volge a soddisfare esigenze particolarmente presenti nell'ambito del settore delle piccole e medie imprese.
In questo senso, come già avvenuto in altri ordinamenti, la società a responsabilità limitata cessa di presentarsi come una piccola società per azioni ed abbandona la tradizione del nostro ordinamento che ne faceva risalire il più immediato antecedente storico alla anonima per quote. Essa si caratterizza invece come una società personale la quale perciò, pur godendo del beneficio della responsabilità limitata (che del resto, dopo la generale ammissibilità della società unipersonale a responsabilità limitata, non può più ritenersi necessariamente presupporre una rigida struttura organizzativa di tipo corporativo), può essere sottratta alle rigidità di disciplina richieste per la società per azioni.
Sulla base di questa scelta politica di ordine generale, i profili più significativi della riforma sono i seguenti:
In materia di conferimenti, in attuazione delle lettere c) e i) del secondo comma, art. 3 della legge di delega, e tenendo conto che la seconda direttiva europea in materia di società non è direttamente applicabile alla società a responsabilità limitata, si è espressamente precisato, nel secondo comma dell'art. 2464, che possibile oggetto di conferimento sono tutti gli elementi dell'attivo suscettibili di valutazione economica. In tal modo sarà possibile all'interprete superare dubbi riguardo alla conferibilità di valori che, sicuramente utili per lo svolgimento dell'attività sociale, non si prestano a svolgere direttamente un ruolo per la tutela dei creditori.
Si è ritenuto inoltre, avvalendosi del modello normativo rappresentato dall'art. 6, legge 18 ottobre 2001, n. 383, di consentire la costituzione della società pur nell'attuale mancanza di valori oggettivamente accertabili. In tal senso il versamento dei decimi previsto dal quarto comma dell'art. 2464 può essere sostituito dalla prestazione di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria che ne garantisca l'esecuzione; e soprattutto è espressamente ammesso nel sesto comma della stessa disposizione che in tal modo si possa garantire il conferimento d'opera o di servizi: il quale diviene perciò, rispettando tali cautele a tutela dei terzi, possibile.
Deve del resto segnalarsi che questa soluzione corrisponde pienamente ad una prospettiva volta ad accentuare la caratterizzazione personalistica del tipo societario in discorso: nella quale pertanto il contributo del socio molto spesso si qualifica per le sue qualità personali e professionali, piuttosto che per il valore oggettivo di beni apportati.
Sempre in materia di conferimenti assume particolare rilievo la semplificazione adottata con il nuovo art. 2465. Esso, con riferimento ai conferimenti in natura, snellisce il procedimento di valutazione e non richiede più la nomina del perito da parte del presidente del tribunale: si è ritenuto infatti sufficiente garanzia, adeguata alle nuove caratteristiche del tipo societario, che il perito medesimo sia prescelto tra soggetti iscritti nell'albo dei revisori contabili.
Di rilievo è ancora, riguardo alla disciplina degli apporti dei soci, la nuova regola dell'art. 2467. Con la quale si affronta un tema da tempo noto sul piano comparatistico, ma che nel nostro sistema non aveva fin qui trovato un esplicito inquadramento legislativo: il tema cioè dei finanziamenti effettuati dai soci a favore della società che formalmente si presentato come capitale di credito, ma nella sostanza economica costituiscono parte del capitale proprio. La soluzione è stata quella, comune alla maggior parte degli ordinamenti e sostanzialmente già affermata in giurisprudenza, di una postergazione dei relativi crediti rispetto a quelli degli altri creditori.
In proposito, il problema più difficile è senza dubbio quello di individuare criteri idonei a distinguere tale forma di apporto rispetto ai rapporti finanziari tra soci e società che non meritano di essere distinti da quelli con un qualsiasi terzo. E la soluzione indicata dal secondo comma dell'art. 2467, non potendosi in via generale individuare parametri quantitativi, è stata quella di un approccio tipologico con il quale, dovendosi ricercare se la causa del finanziamento è da individuare nel rapporto sociale (e non in un generico rapporto di credito): in tal senso l'interprete è invitato ad adottare un criterio di ragionevolezza, con il quale si tenga conto della situazione della società e la si confronti con i comportamenti che nel mercato sarebbe appunto ragionevole aspettarsi.
Per quanto concerne la disciplina della partecipazione sociale, adottata con il secondo comma dell'art. 2468 la soluzione indicata nella legge di delega che consente una sua attribuzione al socio non necessariamente proporzionale al conferimento, si è ritenuto coerente con la caratteristiche personali del tipo societario della società a responsabilità limitata da un lato non prevedere la possibilità di categorie di quote, che implicherebbe una loro oggettivizzazione e quindi una perdita del collegamento con la persona del socio richiesta dal primo comma, lettera a), art. 3 della legge di delega, dall'altro consentire con il quarto comma dell'art. 2468 che l'atto costitutivo preveda l'attribuzione a singoli soci, quindi in considerazione della loro posizione personale, particolari diritti concernenti sia i poteri nella società sia la partecipazione agli utili.
Significativa è inoltre la nuova disciplina del trasferimento delle partecipazioni in società a responsabilità limitata. Di essa meritano soprattutto di venire segnalati i seguenti aspetti:
Nel secondo comma dell'art. 2469 si è espressamente previsto, in attuazione del secondo comma, lettera f), art. 3 della legge di delega, che nel caso in cui l'atto costitutivo prevede la intrasferibilità della partecipazione o lo assoggetti senza alcuna condizione o limite al gradimento di organi sociali, degli altri soci o di terzi spetta inderogabilmente al socio il diritto di recesso. È solo possibile, a tutela della buona fede contrattuale, porre limiti temporali per l'esercizio di tale diritto ed impedire così comportamenti che pregiudichino l'interesse delle altre parti di un rapporto come quello societario: perciò si è ammessa la possibilità che l'atto costitutivo impedisca per i primi due anni dalla costituzione della società o dall'adesione ad essa l'esercizio del diritto di recesso.
Nell'art. 2470, oltre ad affrontare alcuni aspetti tecnici, ci si è posto il problema se e quale tutela debba riconoscersi all'acquirente della partecipazione sociale. Al riguardo si è ritenuto che, pur essendo la loro circolazione sottoposta ad un regime di pubblicità presso il registro delle imprese, non si potesse adottare la soluzione tradizionale per la pubblicità immobiliare. Si è osservato infatti, al di là di ogni problema dogmatico che sarà compito della dottrina e giurisprudenza affrontare, che siffatta soluzione avrebbe condotto al risultato paradossale secondo cui l'acquirente di una partecipazione in società a responsabilità limitata verrebbe a godere di una tutela persino maggiore rispetto a quella di cui gode chi acquista un titolo di credito o uno strumento finanziario dematerializzato: il risultato paradossale, cioè, di tutelare maggiormente chi acquista una posizione giuridica non tipicamente destinata alla circolazione, come la partecipazione in società a responsabilità limitata, rispetto a chi acquista un titolo azionario che invece si caratterizza per quella tipica destinazione.
Perciò, nel terzo comma dell'art. 2470 si è adottata una soluzione che appare equilibrata sul piano di una valutazione degli interessi e che viene sostanzialmente a riprodurre quella dell'art. 1155 per la circolazione dei beni mobili: nel caso di conflitto tra acquirenti della partecipazione la prevalenza di colui che per primo ottiene l'iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese non consegue semplicemente alla sua priorità temporale, ma richiede inoltre il requisito soggettivo della buona fede.
Altro significativo aspetto della riforma in tema di partecipazione a società a responsabilità limitata è quello concernente la disciplina del recesso nell'art. 2473. Essa comporta infatti un rilevante ampliamento delle ipotesi attualmente previste ed amplia così quello che in questi tipi di società risulta concretamente lo strumento più efficace di tutela per il socio.
Si è considerato infatti che in società come quella a responsabilità limitata la partecipazione del socio è ben difficilmente negoziabile sul mercato e che quindi, in caso di sua oppressione da parte della maggioranza, ridotta portata concreta possono assumere rimedi di tipo risarcitorio o invalidante. Perciò la possibilità offerta dalla legge di uscire dalla società da un lato gli consente di sottrarsi a scelte della società che contraddicono i suoi interessi, dall'altro, comportando un impegno economico per la società e per coloro che in essa rimangono, gli offre uno strumento di contrattazione con gli altri soci e con la maggioranza della società: in sostanza, la necessità di questo impegno economico comporta che nel calcolo tra costi e benefici concernenti una decisione che vede contrapposti diversi soci anche di esso si dovrà tener conto.
Perciò è di particolare rilievo la disciplina dettata dal terzo comma dell'art. 2473, che tende ad assicurare che la misura della liquidazione della partecipazione avvenga nel modo più aderente possibile al suo valore di mercato; ed introduce un procedimento volto a superare le soluzioni penalizzanti tuttora adottate dal diritto vigente.
Deve anche sottolinearsi che l'ultimo comma dell'art. 2473 trae la logica conseguenza dalla constatazione che nel caso concreto gli altri soci non intendono acquistare la partecipazione del socio receduto per il corrispettivo così determinato, non sono in grado di reperire un terzo a ciò disposto e neppure il rimborso è possibile utilizzando risorse disponibili della società. In tal caso, se vi è una giustificata opposizione dei creditori, ne risulta una situazione in cui né all'interno della società né nel mercato si valuta conveniente fornire la società di mezzi finanziari idonei a consentirne la sana sopravvivenza: in cui cioè il mercato stesso la giudica inefficiente e ritiene che la sua messa in liquidazione non rappresenta una perdita per il sistema economico nel suo complesso.
In attuazione del secondo comma, lettera e), art. 3 della legge di delega, si sono adottati interventi particolarmente incisivi in materia di amministrazione e procedimenti decisionali della società. Essi riguardano i seguenti aspetti principali:
Per quanto concerne l'amministrazione propriamente detta, l'art. 2475 consente all'autonomia contrattuale gli spazi più ampi. Esso infatti lascia sia libertà di scelta per quanto concerne l'individuazione delle persone cui l'amministrazione medesima è affidata sia con riferimento al metodo secondo il quale dovranno agire: permette così, con il terzo comma, forme di amministrazione disgiuntiva oppure congiuntiva, cui allora si applicheranno le regole previste in tema di società di persone, e permette inoltre che, anche in caso di amministrazione di tipo collegiale, la decisione sia adottata sulla base del consenso espresso per iscritto dagli amministratori, quindi senza la necessità di una riunione.
Particolarmente significativa è inoltre la disciplina della responsabilità degli amministratori e la tutela in proposito riconosciuta dai soci nell'art. 2476. essa s'impernia sul principio secondo il quale, sulla base della struttura contrattuale della società, ad ogni socio è riconosciuto il diritto di ottenere notizie dagli amministratori in merito allo svolgimento degli affari sociali e di procedere ad una diretta ispezione dei libri sociali e dei documenti concernenti l'amministrazione della società.
Da questa soluzione consegue coerentemente il potere di ciascun socio di promuovere l'azione sociale di responsabilità e di chiedere con essa la provvisoria revoca giudiziale dell'amministratore in caso di gravi irregolarità (art. 2476, terzo comma). Si tratta anche qui di una disciplina che corrisponde alla prospettiva secondo cui viene accentuato il significato contrattuale dei rapporti sociali.
D'altra parte, è sembrato logico che sulla base di questa soluzione divenisse sostanzialmente superflua ed in buona parte contraddittoria con il sistema la previsione di forme di intervento del giudice quali quelle ora previste dall'art. 2409. Esse infatti sono sostanzialmente assorbite dalla legittimazione alla proposizione dell'azione sociale di responsabilità da parte di ogni socio e dalla possibilità di ottenere in quella sede provvedimenti cautelari come la revoca degli amministratori. La prospettiva è in sostanza quella di fornire ai soci uno strumento in grado di consentire ad essi di risolvere i conflitti interni alla società.
Naturalmente la soluzione adottata non esclude che pur sempre si tratta di un'azione sociale di responsabilità esperita dal socio nel suo interesse. Perciò da un lato si è ritenuto di lasciare alla società stessa, sulla base di maggioranze particolarmente qualificate, una disponibilità dell'azione (art. 2476, quinto comma), e dall'altro di precisare che con siffatta disciplina non si pregiudica il diritto del socio o di un terzo a chiedere il risarcimento dei danni direttamente subiti per effetto di comportamenti illeciti degli amministratori.
Importante è infine la disposizione del penultimo comma dell'art. 2476, ove si afferma la responsabilità solidale con gli amministratori dei soci che intenzionalmente hanno contribuito al compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi. Si tiene in tal modo conto delle caratteristiche del tipo societario in questione e della circostanza che nella concreta realtà in esso molto spesso l'effettivo potere di amministrazione non corrisponde all'assunzione della relativa veste formale e che, pertanto, la mancata assunzione della prima non può divenire un facile strumento per eludere la responsabilità che deve incombere su chi la società effettivamente gestisce.
Sarà naturalmente compito soprattutto dell'interprete individuare, con riferimento alle specifiche circostanze del caso concreto, individuare le caratteristiche che dovrà assumere il comportamento del socio per comportare l'assunzione della responsabilità prevista dalla disposizione.
Con riferimento ai controlli sui conti è sembrato corretto conservare con l'art. 2477 la soluzione ora prevista dall'art. 2488 del codice civile, secondo la quale è obbligatoria la nomina del collegio sindacale quando il capitale sociale non è inferiore a quello minimo previsto per le società per azioni oppure vengono superati i limiti dimensionali dell'impresa individuati dall'art. 2435 bis del codice civile. Si è ritenuto infatti che l'utilizzazione di altri parametri, come per esempio quelli relativi alle dimensioni del patrimonio netto o dell'indebitamento, potesse introdurre gravi elementi di incertezza in una materia che richiede invece sicurezza di disciplina e, risultando in buona parte disponibili da parte dei soci, non fosse in grado di conseguire l'obiettivo di assicurare una effettiva tutela agli interessi che si vogliono salvaguardare.
Particolarmente significativi sono inoltre gli interventi sul tema del ruolo assegnato ai soci ed alle loro decisioni nell'attività sociale. In proposito, ancora considerando la struttura fondamentalmente personalistica del tipo societario, la regola di principio è che spetta al contratto sociale determinare quali materie siano di loro competenza e che, d'altra parte, qualsiasi materia può essere sottoposta alla loro valutazione quando richiesto dagli amministratori o da un numero qualificato dei soci: così il primo comma dell'art. 2479.
In sostanza spetta al contratto sociale distribuire le competenze tra soci ed amministratori. Si sono soltanto individuate con il secondo comma dell'art. 2479 alcune materie che data la loro particolare rilevanza non possono essere statutariamente sottratte alla competenza dei soci.
D'altra parte, anche quando la competenza dei soci è inderogabile non necessariamente le caratteristiche del tipo societario richiedono l'adozione del metodo assembleare. Pure qui la scelta è rimessa all'autonomia contrattuale, la quale può quindi prevedere che le decisioni dei soci siano adottati con tecniche diverse: solo limite in proposito è rappresentato dall'esigenza, insopprimibile per ragioni di certezza, che siffatte decisioni risultino da atto scritto. Ma anche a questo proposito è apparso opportuno porre un limite, richiedendo allora una riunione assembleare, per le decisioni che significativamente alterano la struttura della società e la posizione dei soci.
Per l'ipotesi in cui, a seguito di scelta statutaria oppure per disposizione derogabile o inderogabile di legge, il metodo da seguire è quello assembleare l'art. 2479 bis provvede ad una sostanziale semplificazione delle sue modalità. È così rimesso all'atto costitutivo la determinazione dei modi di convocazione, con la necessaria precisazione che essi devono comunque essere in grado di assicurare la tempestiva informazione in merito agli argomenti da trattare.
Dal sistema delineato delle decisioni dei soci è conseguita la necessità di un adattamento del sistema della invalidità alle loro specifiche caratteristiche. A ciò provvede l'art. 2479 ter.
In proposito innovazione particolarmente significativa è quella che individua il termine di decorrenza per l'impugnativa dalla trascrizione della decisione nel relativo libro sociale. Ciò si spiega sulla base di un duplice ordine di motivi: da un lato, non essendo più necessaria in ogni caso una riunione e non essendo quindi sempre individuabile il momento di una deliberazione, evidenti ragioni di certezza richiedono che si faccia riferimento al momento in cui la decisione viene formalizzata; dall'altro il tipo societario della società a responsabilità limitata, in quanto caratterizzato dalla partecipazione personale dei soci, presuppone una loro presenza attiva nella vita della società: sicché, a differenza di quanto avverrebbe nell'ipotesi di un mero investitore estraneo all'attività sociale, maggior rilievo assume una sorta di pubblicità interna come quella rappresentata dai libri sociali rispetto ad altre forme di pubblicità esterna quale per esempio quella realizzata con l'iscrizione nel registro delle imprese.
Si è anche considerato, a quest'ultimo proposito, che il termine di decorrenza del periodo in cui la decisione è impugnabile debba essere unico e non sia possibile individuarlo alternativamente nella sua trascrizione nel libro dei soci oppure, quando prevista, nell'iscrizione nel registro delle imprese. Il metodo possibile per l'adozione delle decisioni non esclude infatti l'eventualità che, seppur a seguito di comportamenti scorretti, la sequenza dei due momenti non corrisponda a quella che dovrebbe essere: sicché fare riferimento ad entrambi, come avviene nelle società per azioni, introdurrebbe qui elementi di incertezza e la possibilità di frodi (per esempio nel caso in cui abusivamente si proceda all'iscrizione nel registro delle imprese, in un momento in cui la decisione non è ancora trascritta nel relativo libro e nel quale pertanto non si è ancora realizzata la pubblicità interna che soprattutto rileva in questo tipo di società).
Con riferimento alle modificazioni dell'atto costitutivo, l'intervento legislativo si risolve in una serie limitata di adattamenti tecnici. Tra essi deve considerarsi soprattutto significativa la nuova disciplina del diritto di opzione prevista dall'art. 2481 bis.
Essa fondamentalmente tende ad assicurare anche in questo caso il carattere personalistico della società. Si spiegano così una serie di importanti soluzioni: che la possibilità di escludere il diritto di opzione presuppone un'apposita previsione dell'atto costitutivo e che in tal caso è riconosciuto al socio il diritto di recesso di fronte all'eventualità di veder modificato contro la propria volontà il suo ruolo nella società; che la possibilità di offrire la partecipazioni inoptate ad altri soci o a terzi presuppone pur essa una specifica decisione della società e non consegue naturalmente a quella di aumento del capitale; e che, al fine di impedire prassi non commendevoli che la pratica ha a volte elaborato per ridurre sostanzialmente o addirittura eliminare la partecipazione della minoranza, l'esclusione del diritto di opzione non sia comunque consentita nell'ipotesi di aumento del capitale resosi necessario a seguito di una sua diminuzione per perdite.
Importante è infine la disciplina, dettata in attuazione della lettera g), secondo comma, art. 3 della legge di delega, in merito alla emissione di titoli di debito da parte di società a responsabilità limitata. In proposito si è ricercato un equilibrio tra l'esigenza di rendere praticabile ed utile per le società a responsabilità limitata l'accesso a queste forme di finanziamento e quella di assicurare la necessaria salvaguardia degli interessi dei risparmiatori.
La soluzione elaborata al riguardo dall'art. 2483, sulla base delle indicazioni della legge di delega, è stata quella di consentire la sottoscrizione di tali titoli di debito esclusivamente ad investitori particolarmente qualificati ed in grado quindi di valutare effettivamente il merito del rischio; e di imporre, nel caso in cui i titoli vengono successivamente trasferiti, come può risultare economicamente necessario al fine di procacciarsi la provvista, a carico dei sottoscrittori stessi una garanzia ex lege per la solvenza della società sostanzialmente coincidente con quella prevista in materia di cessione del credito. In tal modo si è dettata sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo una soluzione analoga a quella prevista dall'articolo 2412, comma secondo, per l'emissione di obbligazioni da parte di società per azioni.

12. DELLO SCIOGLIMENTO E DELLA LIQUIDAZIONE.

Le direttive della delega in tema di scioglimento e liquidazione fondamentalmente prevedevano:
 

  1. una accelerazione e semplificazione del procedimento, disciplinandone e chiarendone l'inizio, lo svolgimento ed il termine;
  2. una disciplina attenta alla possibilità di conservare l'eventuale valore residuo dell'impresa;
  3. una disciplina che chiarisse la redazione dei bilanci in fase di liquidazione.

L'innovazione fondamentale rispetto al sistema vigente consiste nella netta separazione tra il verificarsi di una causa di scioglimento, e la determinazione del momento in cui ha effetto.
Le cause di scioglimento previste all'art. 2484 sono rimaste sostanzialmente invariate.
Il momento in cui la causa di scioglimento prende effetto si è in ogni caso fissato all'iscrizione nel registro della deliberazione del consiglio che l'accerta, ovvero, ovviamente, all'iscrizione della deliberazione assembleare che dispone lo scioglimento.
Ciò al fine essenziale di eliminare l'incertezza, per tutti, sul momento in cui lo scioglimento si determina.
In coerenza con la nuova disciplina sull'efficacia della causa di scioglimento all'art. 2484 si è precisato l'obbligo degli amministratori di accertarla e di effettuare la relativa iscrizione.
Sempre in questa impostazione, si è ritenuto di stabilire, in caso di ritardo od omissione, una responsabilità dell'organo amministrativo per danni conseguenti.
In ordine ai poteri degli amministratori all'art. 2486 si è ritenuto di porre una limitazione non basata sul concetto, ambiguo, di "nuova operazione", ma sulla strumentalità, o meno, alla conservazione del valore dell'impresa sociale.
Conseguentemente la responsabilità in caso di violazione non investe più l'operazione in sé, ma l'eventuale danno conseguente.
Conservata l'attuale competenza sulla nomina dei liquidatori, all'art. 2487 si è ritenuto di demandare all'assemblea la determinazione dei relativi poteri, prevedendo la possibilità di un, limitato, esercizio dell'impresa sociale, al fine di evitare i danni che una repentina cessazione può apportare al valore di essa.
Nel nuovo sistema, all'art. 2487-bis si è chiarita la successione tra amministratori e liquidatori.
Si è altresì previsto per gli amministratori uscenti, unitamente alla consegna dei libri sociali, la consegna di una "situazione dei conti" alla data di effetto dello scioglimento, per consentire, sostanzialmente, la possibilità di individuare quanto posto in essere prima e dopo.
La revoca dello stato di liquidazione, richiesta dalla delega, è stata consentita all'art. 2487-ter alla condizione che non sia iniziata la distribuzione dell'attivo, distribuzione inconcepibile, come atto liquidatorio, con la continuazione dell'impresa.
Naturale e coerente la tutela dei creditori.
Sul piano generale, la modifica di base alla disciplina della liquidazione consegue al cambiamento di impostazione già segnalato in premessa relativamente alla disciplina dell'efficacia del verificarsi di una causa di scioglimento. In effetti, l'impianto del codice del 1942 sostanzialmente partiva dal principio che il verificarsi della causa di scioglimento sciogliesse il contratto sociale, e a ciò conseguiva la permanenza di una struttura organizzativa limitata alla funzione di gestire una liquidazione modellata sulla disciplina della liquidazione di società di persone.
Si è ritenuto che la delega, anche in funzione dell'esigenza di conservazione del valore dell'impresa, imponesse di valorizzare la permanenza di una organizzazione sociale.
Ovvio il richiamo all'art. 2489 per individuare i poteri dei liquidatori agli atti "utili", ancorché in via strumentale, per la realizzazione della liquidazione; altrettanto ovvio il richiamo al regime di diligenza e responsabilità degli amministratori.
La carenza di una disciplina dei bilanci in fase di liquidazione è fortemente sentita, e del resto, seppure a effetti fiscali, bilanci sono richiesti; si è perciò ritenuto all'art. 2490 di affermare espressamente l'esigenza di formazione del bilancio, richiamando in principio le disposizioni vigenti per la società in ordinario funzionamento, con l'ovvio limite della compatibilità con la natura, finalità e stato della liquidazione.
Posto che l'intervenuto stato di liquidazione modifica i criteri di valutazione dei beni, si è imposto ai liquidatori di illustrare nella nota integrativa i criteri adottati, criteri in ordine ai quali non si è ritenuto di individuare principi specifici, ritenendo necessario il rinvio ai principi contabili, anche poi diversi da caso a caso.
Completa le informazioni che i liquidatori devono offrire, l'esigenza che in relazione essi individuino non solo i criteri adottati, ma anche le prospettive temporali della liquidazione stessa.
La nuova impostazione generale, e l'espressa previsione dei bilanci in fase di liquidazione, ha richiesto, nell'art. 2490, al comma 4, che si prevedesse nel primo bilancio (che pressoché fatalmente comprende un periodo di gestione ordinaria), l'indicazione delle variazioni che lo stato di liquidazione ha imposto ai criteri di valutazione fino allora adottati.
La possibilità di continuare sia pure parzialmente l'esercizio dell'impresa, al fine esclusivo di non disperderne il valore, ha imposto che le poste di bilancio relative all'azienda o al ramo d'azienda continuato, poste che ovviamente potranno avere un criterio di valutazione diverso, abbiano una indicazione separata.
Per la residua disciplina (artt. 2491-2496) si è ritenuto di poter riprodurre sostanzialmente la disciplina esistente, salvo la possibilità, con le opportune cautele, di distribuire acconti durante la liquidazione.

13. DELLA DIREZIONE E DEL COORDINAMENTO DI SOCIETÀ.

La delega richiede una disciplina di trasparenza con regole tali da assicurare che l'attività di direzione e coordinamento contemperi l'interesse del gruppo, delle società controllate e dei soci di minoranza. In questo panorama generale si richiede altresì la motivazione delle decisioni conseguenti ad una valutazione dell'interesse del gruppo; adeguate forme di pubblicità dell'appartenenza al gruppo e adeguate forme di tutela per il socio all'ingresso e all'uscita della società dal gruppo.
Come noto, la vigente disciplina del Codice Civile poco o nulla considera il fenomeno del gruppo, fenomeno, d'altro canto, estremamente importante e attuale, nonché oggetto di un vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale.
Nell'attuare la delega, all'art. 2497 si è innanzi tutto ritenuto non opportuno dare o richiamare una qualunque nozione di gruppo o di controllo, e per due ragioni: è chiaro da un lato che le innumerevoli definizioni di gruppo esistenti nella normativa di ogni livello sono funzionali a problemi specifici; ed è altrettanto chiaro che qualunque nuova nozione si sarebbe dimostrata inadeguata all'incessante evoluzione della realtà sociale, economica e giuridica.
Sotto altro aspetto si è ritenuto che il problema centrale del fenomeno del gruppo fosse quello della responsabilità, in sostanza della controllante, nei confronti dei soci e dei creditori sociali della controllata.
Per dare corretta impostazione e soluzione a questi problemi di responsabilità occorreva porre a base della disciplina il "fatto" dell'esercizio di attività di direzione e coordinamento di una società da parte di un diverso soggetto, sia esso una società o un ente, e la circostanza che l'azione fosse comunque riconducibile al perseguimento di un interesse imprenditoriale proprio o altrui, sebbene svolto in violazione dei corretti principi di gestione societaria.
Si è altresì ritenuto che l'esercizio di una tale attività sia del tutto naturale e fisiologico da parte di chi è in condizioni di farlo e che non implica, né richiede, il riconoscimento o l'attribuzione di particolari poteri. Sotto altro aspetto, però, l'esercizio di questa attività solleva delicati problemi quando chi la esercita sia portatore di interessi non omogenei con gli interessi tipicamente "societari" degli altri soci della controllata.
In questo panorama, il limite all'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento, limite che ne riconosce la legittimità di base e tiene presente e non penalizza i legittimi interessi di chi la esercita, è apparso dovesse essere costituito dal rispetto dei valori essenziali del "bene" partecipazione sociale, bene che la legge individua nella partecipazione al: "esercizio in comune di una attività economica al fine di dividerne gli utili" (art. 2247, c.c.). Questi valori da proteggere e tutelare possono dunque individuarsi nei principi di continuità dell'impresa sociale, redditività e valorizzazione della partecipazione sociale.
Spetterà a dottrina e giurisprudenza individuare e costituire i principi di corretta gestione imprenditoriale e societaria posti nel nuovo testo a tutela del bene "partecipazione", e ovviamente, in concreto, dottrina e giurisprudenza non potranno non tener conto delle infinite variabili e dell'incessante evoluzione economica ed operativa.
Nell'indicare questi principi si è doverosamente tenuto presente che il richiamo a formule generali è ineliminabile nella legislazione commercialistica e basti adesso ricordare l'art. 2598, comma 1, n. 3, c.c. per il riferimento ai: "principi della correttezza professionale".
La responsabilità dettata da questa impostazione normativa è apparsa fondamentalmente di stampo "aquiliano", e necessariamente della controllante direttamente verso i danneggiati. Trattasi di una disciplina che non si sostituisce ad una disciplina attuale, in sé in realtà inesistente, ma che alla disciplina attuale si aggiunge posto che i numerosi tentativi di tutelare gli interessi dei creditori e dei soci della controllata non sembrano essere riusciti a dare ad oggi tutela adeguata. Risulta così chiaro che non viene alterata la tutela del socio verso la società, in generale, ed, in particolare quella offerta dall'art. 2395, né, per i creditori sociali la tutela offerta dall'art. 2394; in effetti diverse, e non certo alternative, sono le due azioni, trattandosi, nella nuova disciplina di azione diretta verso la controllante.
Per evitare che il margine di iniziativa della società soggetta all'attività di direzione e coordinamento sia eccessivamente ridotto come conseguenza della possibilità di azione diretta da parte dei suoi soci o dei suoi creditori contro la società controllante, il terzo comma dell'articolo 2497 prevede che l'azione sia esperibile solo se essi non siano stati soddisfatti dalla società controllata.
Sotto altro aspetto si è ritenuto opportuno precisare che il danno a base dell'azione in esame (e quindi la responsabilità) è il danno derivante dal risultato complessivo dell'attività della controllante e non il danno risultante da un atto isolatamente considerato, onde è eliminabile anche a seguito di specifiche operazioni a tal fine dirette.
Nell'impostazione accolta la pubblicità prevista dall'art. 2497 - bis appare una logica necessità.
La ragione dell'analitica motivazione delle decisioni di chi esercita attività di direzione e coordinamento, art. 2497-ter, oltre che rispondere ad una precisa indicazione della delega, è altresì coerente all'impianto generale della normativa attenta a prevedere regole di trasparenza, del resto solo la conoscenza delle ragioni economiche ed imprenditoriali di un'operazione può consentire un giudizio sulla correttezza di questa, può cioè consentire di valutare se la apparente diseconomicità di un atto, isolatamente considerato, trova giustificazione nel quadro generale dei costi e benefici derivanti dall'integrazione di un gruppo oppure no.

Nel quadro di una concezione generale del recesso che vi riconosce l'attribuzione al socio di un potere di negoziare la sua permanenza in società davanti ad alterazioni rilevanti del quadro originario, all'art. 2497-quater, si è ritenuto di riconoscere il diritto al socio della società soggetta all'attività di direzione e coordinamento di recesso, innanzi tutto se cambia lo scopo del controllante, come può avvenire se si riconoscono le trasformazioni eterogenee; se muta l'oggetto della controllante, in modo da alterare in modo sensibile e diretto le condizioni economiche e patrimoniali della società soggetta al controllo, così da ridondare in un'alterazione del profilo di rischio, che è ciò che interessa il socio non controllante.
Le due ipotesi, discendono evidentemente dal riconoscimento che l'attività del controllante può, in sé legittimamente, esercitare il controllo in modo da alterare il profilo di rischio dell'investimento del socio, quale accettato entrando in società.
La seconda causa di recesso è di evidente giustificazione.
L'ultima causa di recesso si ricollega alla stessa ragione di fondo delle prime, al riconoscimento cioè che l'entrata e l'uscita dal gruppo cambia le condizioni di esercizio dell'impresa, delle quali, ancora una volta, viene valorizzato il profilo di rischio.

14. DELLA TRASFORMAZIONE, DELLA FUSIONE E DELLA SCISSIONE

 

  • Della trasformazione.

L'art. 7 della Legge Delega detta alcuni principi fondamentali, quali : " semplificare e precisare il procedimento...; disciplinare possibilità, condizioni e limiti delle trasformazioni... eterogenee...; introdurre disposizioni dirette a semplificare e favorire la trasformazione delle società di persone in società di capitali".
Si è quindi voluto tradurre in pratica i principi dettati dalla delega, il che ha reso necessario ampliare il numero degli articoli, che nel codice del 1942 erano solo tre.

Si ribadisce pertanto, dandovi risalto, la norma sulla continuità dei rapporti giuridici (art. 2498, terzo comma, ultima parte, c.c.), intesa appunto come segno di una prospettiva di modificazione e non novativa-successoria, chiarendo altresì che la continuazione riguarda anche i rapporti processuali.
Si è ritenuto disporre che la condizione di sottoposizione a procedura concorsuale sia compatibile, salve le ipotesi in cui concretamente tale compatibilità con le finalità o lo stato della procedura non sussista. La trasformazione, anzi, può realizzare un vantaggio per l'impresa sociale: si pensi alla trasformazione di s.p.a. in s.r.l. al fine di ridurre gli oneri di procedura.
Le disposizioni sul contenuto, pubblicità ed efficacia dell'atto di trasformazione richiedono che vi siano tutte le forme ed i contenuti richiesti per il tipo societario o non societario adottato. L'efficacia decorre, per consentire la corretta informazione dei terzi, dall'ultimo degli adempimenti pubblicitari.
Una innovazione fondamentale viene introdotta dall'art. 2500 bis, laddove si è inteso privilegiare la certezza nei confronti dei terzi e si è introdotta una norma che ben ha funzionato in tema di fusione : eseguita la pubblicità, l'invalidità dell'atto di trasformazione non può essere più pronunciata. Resta salvo il risarcimento del danno eventualmente spettante.
In funzione della semplificazione e del favore per la trasformazione di società personali in società di capitali, si è ritenuto non soltanto di consentire la previsione di una decisione maggioritaria, il cui fondamento risiederebbe comunque in una decisione unanime di modica in tal senso del contratto sociale (cfr. l'art. 2252 c.c.), ma nel silenzio dell'atto costitutivo di rendere comunque valido un quorum maggioritario. Si è ritenuto di aderire alla tesi per cui non tutto il netto da patrimonio sia da imputare a capitale, in tal caso essendo opportuno fissare come tetto massimo del capitale sociale il suddetto valore.
Per quanto riguarda la ripartizione del capitale, si è riprodotta la disposizione dell'art. 2500 c.c., ma si è voluto anche disciplinare l'assegnazione a favore del socio d'opera, che in ogni caso provoca la riduzione proporzionale delle partecipazioni degli altri soci. Sempre nelle disposizioni che riguardano la trasformazione di società di persone in società di capitali, si è ritenuto opportuno riprodurre, sempre per l'esigenza di favorire la trasformazione, la norma dell'art. 2499.
Nella trasformazione di società di capitali in società di persone, si è considerata preferibile la trasformazione a maggioranza (del resto plausibile anche sotto l'attuale ordinamento), dato che comunque il socio sarebbe tutelato dalla valvola del diritto di recesso. Resta salva sempre la possibilità di diversa disposizione dello statuto.
La possibilità che la delibera maggioritaria si presti ad abusi contro qualcuno dei soci rende opportuno richiedere il consenso di quelli che potrebbero assumere una responsabilità illimitata a fronte di altri che non la assumerebbero (si pensi ad una trasformazione in società in accomandita per azioni). Si è voluto richiedere agli amministratori di predisporre una relazione apposita e ciò perché abbiamo ritenuto necessario che i soci possano avere piena contezza dell'operazione, anche nelle sue ragioni tecniche, in modo da poter deliberare con maggiore ponderazione ed eventualmente decidere di recedere. La norma trova del resto riscontro in altri ordinamenti, come quello tedesco.
Per quanto riguarda la trasformazione eterogenea (di scopo e di ente) si tratta di norma molto innovativa, applicabile comunque soltanto laddove si trasformi o risulti dalla trasformazione una società di capitali. Nell'esecuzione della delega, sono stati disciplinati possibilità, condizioni e limiti della trasformazione eterogenea, provvedendo a tutelare la pubblica fede con una previsione transitoria, che consente la trasformazione in società di capitali alle associazioni e fondazioni costituite prima dell'entrata in vigore delle nuove disposizioni, solo quando non comporti distrazione dalle originarie finalità di fondi o valori creati con contributi di terzi o in virtù di particolari regimi fiscali di agevolazione (salvo in quest'ultimo caso che siano preventivamente versate le relative imposte). Esigenze di economia degli atti negoziali rendono opportuno consentire tali operazioni e cioè un unico procedimento di trasformazione con un unico passaggio e la conservazione in capo all'ente risultante dei diritti e obblighi dell'ente trasformato; ciò anche in aderenza a recenti orientamenti, anche giurisprudenziali, che hanno affermato sostanzialmente la trasformazione come strumento generale di risoluzione dei conflitti nelle operazioni di cambiamento della forma giuridica delle imprese. Si sono previste maggioranze qualificate per le deliberazioni di trasformazione eterogenea e si è ritenuto lasciare la possibilità ai creditori di presentare opposizione, in conformità a quanto disposto in tema di fusione.
In ogni caso, per consentire la tutela dei terzi, in questo tipo di trasformazione si è preferito prevedere un termine di efficacia che decorre dal sessantesimo giorno dall'ultimo degli adempimenti.

 

  • Della fusione e della scissione.

Per quel che riguarda il tema delle fusioni, l'indicazione contenuta nella legge-delega di "semplificare e precisare il procedimento" doveva coniugarsi con l'esigenza di rispettare i vincoli di derivazione comunitaria (e, in particolare, quelli imposti dalla direttiva 78/855/CEE del 9.10.1978, cui - nel nostro Paese - è stata data attuazione in forza del d. lgs 16.1.1991, n. 22).
Si è così ritenuto di operare su due piani:
 

  1. da un lato - per quanto riguarda le fusioni cui partecipano società il cui capitale è rappresentato da azioni (alle quali si applicano le previsioni della sopramenzionata direttiva comunitaria) - sfruttando, al fine di "semplificare e precisare il procedimento", taluni margini consentiti dalla direttiva stessa e non "sfruttati" dal d. lgs. n. 22/1991;
  2. da altro lato - per quanto riguarda le fusioni cui, invece, non partecipano società il cui capitale è rappresentato da azioni (alle quali non trovano applicazione le previsioni della sopramenzionata direttiva comunitaria) - derogando altresì, sempre al fine di "semplificare e precisare il procedimento", a talune indicazioni previste come tassative dalla direttiva stessa.

Così:
Dal primo punto di vista, si è utilizzato il margine di discrezionalità consentito agli Stati membri dall'art. 1, comma 3°, della direttiva per eliminare l'attuale previsione secondo cui "la partecipazione alla fusione non è consentita alle società sottoposte a procedure concorsuali" (art. 2501, comma 2°); si è espressamente consentita una (seppure estremamente limitata) possibilità di modifica del progetto di fusione in sede di approvazione della fusione stessa (art. 2502, comma 2°); si è cercato di trovare un miglior contemperamento tra l'esigenza di celerità del procedimento di fusione e quella di tutela dei creditori sociali (art. 2503, commi 1°, 2° e 3°); si è sfruttato il margine di discrezionalità concesso agli Stati membri dagli artt. 25 e 27 della direttiva per consentire, in ipotesi di fusione per incorporazione di una o più società in un'altra che possiede almeno il 90% di tutte le loro azioni o quote, che l'approvazione della fusione stessa venga effettuata dall'organo amministrativo (art. 2505, comma 2°; art. 2505-bis, comma 2°), ecc.;
Dal secondo punto di vista - con riferimento alle fusioni cui non partecipano società il cui capitale è rappresentato da azioni - si è prevista (all'art. 2505 quater), proprio al fine di ulteriormente semplificare ed accelerare il procedimento di fusione, tutta una serie di deroghe al modello di derivazione comunitaria.
Per quel che concerne le operazioni di leveraged buyout - relativamente alle quali la legge-delega (art. 7, comma 1°, lett. d) demandava al legislatore delegato di "prevedere che le fusioni tra società, una delle quali abbia contratto debiti per acquisire il controllo dell'altra, non comportano violazione del divieto di acquisto e di sottoscrizione di azioni proprie, di cui, rispettivamente, agli articoli 2357 e 2357 quater del codice civile, e del divieto di accordare prestiti e di fornire garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie, di cui all'articolo 2358 del codice civile" - si sono indicate le condizioni cui dette fusioni devono sottostare (art. 2501-bis).
Infine, si sono introdotte specifiche previsioni per dare attuazione, da un alto, all'indicazione della legge-delega (art. 7, comma 1, lett. c) che impone al legislatore delegato di "disciplinare i criteri di formazione del primo bilancio successive alle operazioni di fusione" (cfr. art. 2504-bis, comma 4°) e, da altro lato, a quelle (art. 7, comma 1, lett. b) di "disciplinare possibilità, condizioni e limiti delle (&) fusioni eterogenee" (cfr. art. 2502, comma 2°; art. 2504-bis, comma 5°).
 

Anche per quel che riguarda le scissioni, è stato necessario contemperare le indicazioni contenute nella legge delega con l'esigenza di rispettare i vincoli di derivazione comunitaria (e, in particolare, quelli imposti dalla direttiva 82/891/CEE del 17.12.1982, cui - nel nostro Paese - è stata data attuazione in forza del d. lgs. 16.11.1991, n. 22).
Si è così provveduto - come già in tema di fusione - a sfruttare taluni margini consentiti dalla direttiva e non "sfruttati" dal d. lgs. n. 22/1991).
Il che è stato fatto, da un lato, facendo ampio ricorso alla tecnica del rinvio alle nuove norme in tema di fusione e, da latro lato, a previsioni specifiche, quale quella (art. 2506, comma 2°) che consente "un conguaglio in denaro, purché non superiore al dieci per cento del valore nominale della azioni o quote attribuite" ai soci della società scissa, ovvio quello (art. 2506, comma 2°) che consente "che, per consenso unanime, ad alcuni soci non vengano distribuite azioni di una delle società beneficiarie della scissione, ma azioni della società scissa"; o, ancora, quella (art. 2506-bis, comma 3°) che contempla che, per gli "elementi del passivo, la cui destinazione non è desumibile dal progetto", "la responsabilità solidale è limitata all'attivo netto attribuito in ciascuna società beneficiaria", o, infine, quello (art. 2506-bis, comma 4°) che preveda che, "nell'ipotesi in cui le azioni delle società beneficiarie sono attribuite agli azionisti della società scissa non proporzionalmente ai loro diritti sul capitale di tale società, gli azionisti minoritari possono esercitare il diritto di far acquistare le proprie azioni al valore corrente concordemente determinato, ovvero a quello che, in mancanza di accordo, sarà determinato dal giudice".
Da un punto di vista terminologico si è ritenuto opportuno in tema di scissine caratterizzare i suoi riflessi sui beni in termini di "assegnazione" e non di "trasferimento". Ciò anche la fine di chiarire, come riconosciuto da giurisprudenza consolidata, che nell'ipotesi di scissione medesima non si applicano le regole peculiari dei trasferimenti dei singoli beni (ad esempio relative alla situazione edilizia degli immobili).

15. DELLE SOCIETA' COOPERATIVE

I principi che riguardano specificamente la riforma delle cooperative sono contenuti nell'art. 5 della legge delega 3 ottobre 2001, n. 366.
La riforma dovrà tenere conto anche dei principi contenuti nell'art. 2, "in quanto compatibili".
Dei principi stabiliti dall'art. 2 della legge delega sono sicuramente compatibili con la disciplina delle cooperative quelli che impongono di:
 

  1. favorire la nascita la crescita e la competitività delle imprese, anche attraverso il loro accesso ai mercati ( art. 2 co. 1° lett a )
  2. valorizzare il carattere imprenditoriale delle società ( art. 2 co.1 lett. b )
  3. semplificare la disciplina delle società ( lett. c )
  4. ampliare gli ambiti della autonomia statutaria ( lett.d )

Essa dovrà, infine, rispettare uno dei criteri generali previsti dall'art. 1 della legge delega, e cioè la coerenza con la normativa comunitaria (nell'ambito della quale assume particolare rilevanza il progetto di statuto di Società Cooperativa Europea, che si trova in fase di avanzata elaborazione in sede comunitaria).

L'art.5 co 1° lett. a, con una previsione di carattere generale, afferma che la riforma dovrà assicurare il perseguimento della funzione sociale delle cooperative e dello scopo mutualistico dei soci cooperatori.
Questa norma di esordio, importante per la sua collocazione e quindi per il suo valore programmatico , distingue tra funzione sociale delle cooperative e scopo mutualistico dei cooperatori. Essa sembra voler frantumare la unitarietà della cd. causa mutualistica, tradizionalmente propria sia della società sia dei soci , facendo dello scopo mutualistico un elemento funzionale della sola partecipazione sociale e non anche un connotato dell'attività della società. L'aderenza della riforma alla lettera della delega avrebbe potuto perciò comportare una definizione di società cooperativa priva del tradizionale riferimento oggettivo allo scopo mutualistico.
Tuttavia, la norma, riprendendo la previsione dell'art. 45 della Costituzione, riconosce alle cooperative la prerogativa della "funzione sociale". Funzione sociale è un valore particolare che la cooperazione possiede proprio per il suo particolare scopo, e, in misura minore, per la sua particolare organizzazione. Si è, pertanto, ritenuto che il riconoscimento della funzione sociale delle cooperative dipenda dal loro scopo mutualistico, dalla assenza in esse di fini di speculazione e dalla loro organizzazione democratica.
La riforma pertanto tende ad assicurare che le cooperative perseguano una funzione sociale; ma non una funzione sociale qualunque, connessa volta per volta ai meriti particolari delle varie iniziative economiche in forma mutualistica, ma la funzione sociale che ad esse è storicamente propria.
La funzione sociale (realizzata attraverso lo strumento della mutualità) è un requisito dell'intero fenomeno, e ciò vale con riferimento alla distinzione - su cui si tornerà tra poco e che costituisce l'aspetto più appariscente della riforma - tra cooperazione costituzionalmente riconosciuta e cooperazione diversa dalla costituzionalmente riconosciuta. Anche le cooperative diverse da costituzionalmente riconosciute, se conformi alle regole e al modello legale, posseggono (anzi debbono possedere) una funzione sociale, un valore intrinseco, una meritevolezza particolare, che le distingue dalle imprese ordinarie lucrative.
L'art. 5 della delega, nonostante le apparenze, è dunque ispirato ad una visione fondamentalmente unitaria del fenomeno; e ciò impone una riforma che non ignori e non trascuri questa importante premessa.

L'art.5, comma 1 lettere b) e c) prevede che la riforma debba definire la cooperazione costituzionalmente riconosciuta, renderla riconoscibile da parte dei terzi, disciplinare la cooperazione costituzionalmente riconosciuta, conformemente ai principi della disciplina vigente, favorendo il perseguimento dello scopo mutualistico e valorizzandone i relativi istituti.
L'individuazione e la definizione legislativa della cooperazione costituzionalmente riconosciuta costituisce una novità del nostro sistema e pone una serie di problemi sistematici di non facile soluzione. Si è posta innanzitutto la questione se la riforma debba riproporre fedelmente la definizione usata dalla legge delega, che appare per molti versi opinabile, oppure se, nel rispetto delle previsioni sostanziali della legge stessa , sia possibile individuare la cooperazione costituzionalmente riconosciuta con altri termini più adeguati ed omogenei con il lessico del codice civile vigente.
A tale proposito si è ritenuto che l'espressione della legge delega "cooperative costituzionalmente riconosciute" potesse essere tradotta in altra equivalente e più compatibile con lo stile espressivo classico del codice civile: quella di "cooperative a mutualità prevalente". Tale ultima espressione nel testo della riforma deve pertanto intendersi come sinonimo di quella usata nella legge delega.
La norma in oggetto propone essa stessa una serie di requisiti necessari (e sufficienti) per la definizione della cooperazione costituzionalmente riconosciuta.
Tali requisiti sono il possesso dei requisiti richiamati dall'art. 14 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.601 e la cd. prevalenza della attività svolta con i soci .
Il requisito della "prevalenza" ha costituito, e costituirà, argomento di discussioni ampie e approfondite. Sul piano della tecnica legislativa è comunque emersa la possibilità di una duplice opzione: quella di prevedere nel testo della riforma solamente il criterio generale della prevalenza, lasciandone la determinazione concreta a leggi speciali; ovvero quella di fornire, già nel decreto delegato, una disciplina analitica del requisito voluto dalla legge delega. E' stata prevista una disciplina analitica immediata della prevalenza, non disgiunta da necessarie integrazioni di diritto transitorio; e pone una disciplina della prevalenza in termini per così dire tradizionali, prevedendo un raffronto numerico tra vari indici di riferimento che in buona sostanza conduce a ritenere che sia rispettato questo requisito quando l'attività mutualistica con i soci sia superiore alla metà dell'intera attività svolta dalla società.
Si è, inoltre, ritenuto oltremodo importante stabilire con certezza quale debba essere la collocazione sistematica delle cooperative costituzionalmente riconosciute e quali sono i rapporti tra queste ultime e quelle che lo stesso legislatore definisce cooperative "diverse" da quelle costituzionalmente riconosciute.
La legge delega, correttamente interpretata, lascia trasparire con sufficiente attendibilità che anche le cooperative diverse appartengano al genus della cooperazione; e che quindi la alternativa non sia tra cooperative riconosciute e non cooperative; ma tra due sottocategorie di imprese mutualistiche ascrivibili allo stesso genere. La correttezza di questa lettura dell'art. 5 della legge delega è suffragata da molti argomenti sistematici e letterali. I principali sono i seguenti:
 

  1. la distinzione tra cooperative riconosciute e diverse si basa - in conformità ad un orientamento tradizionale del nostro sistema - su una opzione statutaria (la introduzione di clausole di non lucratività) e su una opzione gestionale (la prevalenza), che presuppongono la esistenza e persistenza di un modello base, o di un tipo residuale che può essere o non può essere contrattualmente arricchito, ma che costituisce l'ossatura del sistema. La cooperativa che non preveda le clausole del D.p.r. n. 601 del 1973 o che non rispetti la prevalenza non è una non-cooperativa, non è una società - non mutualistica, ma una cooperativa diversa da quella costituzionalmente riconosciuta. Questa lettura dell'art. 5 della legge delega è conforme alle interpretazioni più accreditate del sistema previgente.
  2. La legge delega definisce le cooperative prive dei requisiti per il riconoscimento costituzionale cooperative diverse. La percezione delle diversità è una caratteristica degli ordinamenti moderni ed ha sempre, ad ogni livello, carattere inclusivo e non esclusivo.
  3. La legge delega impone che la legge riservi alle cooperative costituzionalmente riconosciute il godimento delle agevolazioni "di carattere tributario". Il riferimento della legge delega è apparso estremamente significativo. Come è noto, nel sistema attuale le società cooperative sono destinatarie di una serie di incentivi, agevolazioni ed esenzioni riconducibili ad uno statuto complessivamente privilegiato ma non costituzionalmente disparitario, in quanto riconducibile ad un sistema di imprese caratterizzato da funzione sociale. Le agevolazioni e i privilegi delle cooperative sono di vario genere e vanno dal campo tributario, a quello finanziario , previdenziale e così via. Vi sono attività riservate, privilegi sostanziali e processuali, prelazioni, incentivi di vaia natura ecc. Le agevolazioni di carattere tributario non esauriscono dunque l'argomento delle agevolazioni; ne sono solo un parte. Ciò significa che le agevolazioni diverse da quelle tributarie, non rimosse dalla legge di delega, continueranno ad applicarsi a tutte le cooperative, anche a quelle diverse dalle riconosciute; e che quindi il fatto che le cooperative diverse possano continuare a fruire sia pure in parte, dello statuto privilegiato dell'impresa cooperativa, denota il permanere anche nella legge delega di una concezione sostanzialmente unitaria della cooperazione, con diversificazioni interne al fenomeno in termini di maggiore o minore meritevolezza; ma mai di inclusione o espulsione dalla fattispecie.
  4. La stessa disciplina della trasformazione, ammessa dal legislatore per le sole società cooperative diverse da quelle riconosciute e previa devoluzione ai fondi mutualistici di una parte del patrimonio sociale, dimostra che la cooperativa a mutualità non prevalente resta una società mutualistica che per divenire lucrativa deve adottare il procedimento previsto per tutte le società che vogliano cambiare la propria natura.

Sul piano sostanziale la unitarietà ha ulteriori argomenti di sostegno. Indubbiamente, le cooperative c. riconosciute, per la loro palese non lucratività, soggettiva (evidenziata dalla presenza delle clausole dell' art.14 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 601) e oggettiva (evidenziata dall' l'obbligo della prevalenza) contengono elementi di particolare meritevolezza, rispetto alle cooperative "diverse"; con la conseguenza di essere - per espressa volontà del legislatore - le uniche beneficiarie delle agevolazioni di carattere tributario fino ad oggi destinate, in linea di principio, a tutte le cooperative. Tuttavia si è ritenuto che questo espresso riconoscimento non esclude che anche le cooperative "diverse" siano collocabili all'interno del fenomeno mutualistico e non fuori di esso.
Intanto, va precisato che i criteri prescelti dal legislatore per identificare la cooperazione costituzionalmente riconosciuta (in breve: le clausole statutarie previste dal d.P.R. 73/601 e il criterio della prevalenza) sono rilevanti sul piano della non lucratività dell'attività, ma non esprimono forse per intero il reale valore dell'impresa mutualistica (appunto: la sua funzione sociale); valore che va cercato sul piano dei bisogni che la cooperativa soddisfa (casa, lavoro ecc.) su quello della categoria sociale al cui servizio la cooperativa si pone; ed infine, anche su alcune regole strutturali (voto pro capite, porta aperta) estranee alla organizzazione delle società ordinarie. Pertanto , anche le cooperative diverse dalle riconosciute si prestano a realizzare i valori fondamentali della cooperazione mutualistica; mentre dal canto suo la non lucratività, soggettiva e oggettiva, esprime uno solo degli aspetti del fenomeno, essendo un dato tipologico di carattere negativo (si dice che cosa la cooperativa e i soci non debbono fare). Come tale, è un dato inespressivo sul piano dei valori, che si presta a caratterizzare anche un fenomeno formalmente mutualistico come quello dei consorzi, abbastanza distante dalla previsione costituzionale dell'art.45.
Le conseguenze che si sono tratte da questa premessa sono molteplici. Quelle che incidono su una corretta e coerente attuazione della delega vanno subito poste in evidenza:
 

  • anche le cooperative "diverse" posseggono funzione sociale;
  • anche le cooperative "diverse" possono fruire delle agevolazioni e degli incentivi diversi da quelli di natura tributaria che l'ordinamento concede alle cooperative in genere;
  • le cooperative "diverse" debbono possedere e mantenere i requisiti strutturali e funzionali caratteristici del fenomeno ( voto pro capite, porta aperta, ecc. ) con le sole attenuazioni o deroghe espressamente consentite dalla legge;
  • anche per le cooperative diverse deve essere posta una disciplina che in qualche modo attenui la lucratività incondizionata che caratterizza le società senza scopo mutualistico.

Si è perciò stabilita una disciplina comune di base, valevole per tutte le cooperative e nel contempo, con la giusta evidenza postulata dalla legge delega, la disciplina specifica e caratterizzante delle cooperative a mutualità prevalente. In tal senso va interpretata la collocazione di una sezione prima titolo primo contenente la disciplina generale e nel contempo la disciplina più specifica delle cooperative costituzionalmente riconosciute.
Venendo poi alla distinzione tra i due sottotipi di società cooperativa, si osserva che la struttura formale dell'art.5 della legge delega potrebbe indurre a ritenere che le disposizioni contenute nel primo comma della norma siano destinate alle cooperative costituzionalmente riconosciute, mentre le disposizioni contenute nel secondo comma siano valevoli per le cooperative "diverse" da queste.
In realtà, la corretta interpretazione della legge delega porta ad affermare che nel primo comma dell'art. 5 sono contenute sia disposizioni di carattere generale - quelle contenute nella lett. a), lett. d) lett. f) lett. g) - sia disposizioni relative alle sole cooperative costituzionalmente riconosciute.
Più complessa è la interpretazione del secondo comma dell'art. 5, il quale esordisce con una formulazione che sul piano letterale lascerebbe trasparire che le previsioni di questa parte della norma riguardino solo le cooperative "diverse".
Tuttavia, non pochi dubbi aleggiano attorno ad alcuni istituti o ad alcune previsioni del secondo comma che fanno riferimento a elementi tradizionali della disciplina cooperativa e che si è ritenuto incongruo prendere in considerazione e disciplinare solo in occasione della riforma della cooperative diverse da quelle costituzionalmente riconosciute.
Il problema di cui si discute riguarda per esempio la disciplina dei ristorni (previsti espressamente solo nel comma secondo, lett. a) dell'art. 5), la sorte dei titoli previsti, per tutte le cooperative, dalla legge 31 gennaio 1992, n. 59 (art. 4: azioni di sovvenzione; articoli 5 e 6: azioni di partecipazione cooperativa), nonché dei titoli obbligazionari; la disciplina di favore per l'apertura della compagine sociale, la partecipazione dei soci alle deliberazioni e la valorizzazione delle assemblee separate (art. 5 comma secondo, lett. c).
Si tratta di aspetti della disciplina giuridica delle imprese mutualistiche che hanno avuto un ruolo qualificante anche nella tradizionale e risalente disputa tra vera e falsa cooperazione, tra cooperative pure e spurie; e ciò nel senso che ristorni, apertura della compagine sociale, partecipazione dei soci alle deliberazioni, hanno sempre costituito un indice apprezzabile della natura mutualistica e democratica della organizzazione sociale. D'altro canto, sovventori e azionisti di partecipazione, obbligazionisti (anche se hanno elevato il "tasso" di lucratività della cooperazione già fisiologicamente insito nelle pieghe della disciplina vigente) sono figure create dal legislatore per impedire che le cooperative, per problemi di sottocapitalizzazione, non riescano sul mercato a svolgere adeguatamente la loro stessa funzione mutualistica .
E così in particolare, per quanto riguarda i ristorni, si è ritenuto che il fatto che l'istituto sia menzionato solo nel secondo comma dell'art. 5 non significhi che alle cooperative costituzionalmente riconosciute sia precluso il ricorso a questo nobile e tradizionale strumento di attuazione della mutualità (la disciplina dei ristorni può infatti ritenersi implicitamente prevista dalla lett. c del primo comma dell'art. 5); quanto piuttosto che il legislatore ha ravvisato la necessità di richiamare l'attenzione sul fatto che anche nell'ambito delle cooperative diverse la riforma dovrà disciplinare , oltre agli utili dei soci cooperatori e dei finanziatori, il ristorno mutualistico a favore dei soci cooperatori.

Analogamente per quanto riguarda i criteri dettati dalla lettera c) del secondo comma dell'art. 5 (prevedere norme che favoriscano l'apertura della compagine sociale e la partecipazione dei soci alle deliberazioni assembleari, anche attraverso la valorizzazione delle assemblee separate) è evidente che la previsione non esclude che di apertura della compagine sociale, partecipazione dei soci alle assemblee e assemblee separate possa discutersi anche nell'ambito di una buona riforma della cooperazione in genere (l'art. 5, comma 1, lett. d) prevede che la riforma debba favorire la partecipazione dei soci cooperatori alle deliberazioni assembleari); e che il secondo comma dell'art. 5 non faccia altro che estendere espressamente alle cooperative "diverse" una parte della disciplina generale valevole per tutte le cooperative.

Sulla vigilanza, che è un capitolo importante della storia legislativa della cooperazione italiana il testo mantiene sostanzialmente inalterato l'impianto del codice civile. Il coordinamento con la delega di cui all'art 7 della legge 3 aprile 2001 n.142 comporta che la riforma generale delle cooperative debba continuare a prevedere la cd. gestione commissariale, la liquidazione coatta amministrativa (e, se diverso da questa, lo scioglimento per atto della autorità) e l'istituto della sostituzione dei liquidatori, mentre in attuazione della delega contenuta nella legge n. 142 del 2001, sono stati disciplinati le specificità e i dettagli procedimentali della vigilanza. Il nuovo sistema, da questo punto di vista, conferma quello previgente (dove la materia della vigilanza era ripartita tra codice civile e leggi speciali - in particolare, la c.d. legge Basevi di cui al D.L.C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577).
Si è ritenuto che la vigilanza, tradizionalmente definita come "governativa " debba riferirsi a tutte le cooperative, e quindi anche a quelle diverse dalle costituzionalmente riconosciute. La filosofia della riforma, sul punto, si basa non tanto sul dato formale della mancanza di una previsione limitativa nella legge di delega, quanto piuttosto sulla interpretazione "unitaria " della stessa: vale a dire, sulla premessa che la riforma presuppone, pur nelle distinzioni in essa introdotte, un fenomeno ancora oggi giuridicamente unitario, diversificato o diversificabile solo dall'interno del fenomeno, sulla base di eventuali e non necessarie opzioni statutarie e gestionali, di cui sopra si è fatto cenno. La unitarietà della struttura dell'art. 5 comporta, tra le tante, la conseguenza che anche le cooperative diverse hanno funzione sociale; e che anche le cooperative diverse, avendo funzione sociale, hanno o conservano lo statuto privilegiato e i benefici (tranne quelli tributari) che l'ordinamento collega alla società cooperativa in quanto tale, senza ulteriori aggettivi o specificazioni. Vale la pena di ripetere a questo proposito che il fatto che la legge delega abbia menzionato espressamente solo i benefici tributari per le cooperative riconosciute non può non significare che tutti gli altri benefici di indole diversa sparsi disordinatamente nel nostro ordinamento continueranno ad applicarsi a tutte le cooperative, anche a quelle diverse dalle riconosciute. Questa premessa ha indotto ad una coerente conclusione: se è vero che tutte le cooperative sono destinatarie di un trattamento privilegiato (non disparitario costituzionalmente perché mirato a incentivare e premiare imprese con un valore in più di quelle ordinarie, quello della funzione sociale) tutte le cooperative, e non solo quelle riconosciute, dovranno essere sottoposte a quel tipo di vigilanza che mira a verificare che i soggetti destinatari dello statuto privilegiato posseggano e mantengano nel tempo i requisiti e i presupposti dai quali la legge fa discendere il trattamento privilegiato.
Ciò premesso, il problema si sposta sulla parte della legge delega che prevede la "introduzione" nell'ambito della disciplina cooperativa del controllo giudiziario previsto dall'art. 2409 c.c.
E' opportuno ricordare che nel sistema sino ad oggi vigente il legislatore non ha preso alcuna posizione sul tema in discussione. Mancando un richiamo esplicito, e alla luce del rinvio contenuto nell'art. 2516 c.c., si erano manifestate essenzialmente due tendenze interpretative, una favorevole e una contraria alla applicazione dell'art. 2409 c.c. alle cooperative. La tesi contraria aveva finito per prevalere. La ragione fondamentale che sorreggeva questa tendenza era che sarebbe stato incongrua la coesistenza di due sistemi di controllo facenti capo all'autorità giudiziaria ed alla pubblica amministrazione; e che dovesse attribuirsi prevalenza al controllo governativo, ispirato a finalità pubbliche più profonde e ampie di quelle sottostanti al controllo giudiziario (la gestione commissariale delle cooperative differisce dalla sostituzione degli amministratori nelle società ordinarie ex art. 2409 perché nel primo caso potrebbe esservi un patrimonio costituito con risorse pubbliche ancora suscettibile di perseguire, a giudizio della pubblica amministrazione, una funzione sociale).
Oggi, di fronte alla previsione contenuta nelle legge delega, si è optato per la estensione del controllo giudiziario a tutte le cooperative, anche a quelle costituzionalmente riconosciute, portando in questo modo a coerente compimento la premessa interpretativa della riferibilità delle previsioni del secondo comma dell'art. 5 anche alle cooperative protette.
In ogni caso, quando il controllo governativo concorra con quello giudiziario, al primo viene riconosciuta una evidente preminenza: è previsto, infatti, che il tribunale non possa adottare i provvedimenti previsti dalla norma, quando risulti già avviato il procedimento di controllo governativo con la nomina di un ispettore o del commissario.

Sulle singole norme che compongono l'articolato deve osservarsi.
Art. 2511. Scopo mutualistico. La definizione proposta è di tipo tradizionale, con la novità di un riferimento esplicito alla variabilità del capitale. Essa attribuisce il connotato funzionale dello scopo mutualistico alla società (e quindi ai soci), anche se, come si è accennato, la legge delega sembra distinguere tra scopo mutualistico - dei soci - e funzione sociale - della società.
Si è ritenuto preferibile omettere il riferimento al requisito della "organizzazione democratica". E' parso preferibile inoltre espungere dalla definizione il riferimento alle " condizioni di favore della prestazione mutualistica " soprattutto perché si tratterebbe di un dato prevalentemente economico; ed inoltre perché la codificazione delle condizioni di favore potrebbe dar vita ad inammissibili pretese dei soci in termini di diritto soggettivo al vantaggio della prestazione, la cui offerta in concreto dipende da variabili collegate alla aleatorietà della attività d'impresa.

Art. 2512. Cooperativa a mutualità prevalente.

Sulla individuazione della nozione di cooperativa a mutualità prevalente si è già discusso nella premessa di questa relazione. L'articolato si muove nell'alveo delle prescrizioni della legge delega, distinguendo la prevalenza sia con riferimento alle cooperative di consumo o di servizi, sia con riferimento alle cooperative di produzione e lavoro.
La previsione di un Albo tenuto a cura del Ministero delle Attività Produttive vuole soddisfare la esigenza di riconoscibilità delle cooperative protette, così come espressamente richiesto dalla legge delega.

Art. 2513. Criteri per la definizione della prevalenza.

Il criterio seguito è stato quella di legare la prevalenza alla soglia quantitativa del cd. cinquanta per cento, (desumibile dalla nota integrativa al bilancio), e a rifiutare una definizione della prevalenza che si basi su percentuali più ampie, con opportune distinzioni ancora una volta tra cooperative di consumo e cooperative di produzione e lavoro, e con aperture a ragionevoli possibilità di deroga indicate nelle norme transitorie. Ciò per molte ragioni: in particolare, per non contrastare la aspirazione delle imprese mutualistiche ad assetti aziendali moderni e competitivi e per non introdurre nella riforma tendenze palesemente e immotivatamente recessive rispetto all'attuale situazione delle imprese mutualistiche, essendo ben noti i limiti e la opinabilità che la scienza giuridica - per non dire quella economica - assegna al criterio oggi prescelto dalla legge delega per individuare il settore della mutualità riconosciuta.

Art. 2514. Requisiti delle cooperative a mutualità prevalente.

In questa norma sono previsti i requisiti di non lucratività imposti dalla legge delega con riferimento al d.p.r. n. 601 del 1973, che a sua volta rinvia alle previsioni della la c.d. legge Basevi di cui al D.L.C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577).
In aderenza allo spirito della legge delega, si è ritenuto di introdurre anche un limite alla remunerazione degli strumenti finanziari offerti ai soci cooperatori, per completare, con questo riferimento, il quadro di riferimento delle possibili "aspettative" lucrative coltivabili all'interno della cooperazione protetta.

Art. 2515. Denominazione sociale.

La norma ripropone il contenuto dell'attuale art. 2515 del codice con i necessari adattamenti alla modifica del regime di responsabilità e con la previsione di un terzo comma relativo alle cooperative a mutualità prevalente che dovranno indicare la propria iscrizione all'Albo previsto dall'art. 2.

Art. 2516. Rapporti con i soci.

Questa norma vuole dare concreta attuazione alle previsioni della legge delega che auspicano la introduzione di una disciplina protettiva dello scopo mutualistico del cooperatore, e va completata con un collegamento alla norma dell' art. 11 che prevede la necessità di una disciplina statutaria o regolamentare del rapporto mutualistico con i soci (inteso come rapporto contrattuale distinto da quello societario). Con essa si introduce espressamente la clausola generale della parità di trattamento nello svolgimento della attività mutualistica. La codificazione del principio di parità di trattamento, che comunque si ritiene vigente anche in mancanza di espresse previsioni, potrà avere un grande ruolo nella corretta determinazione del prezzo della prestazione mutualistica (si pensi alle cooperative di consumo in senso ampio, alle cooperative edilizie) o nella remunerazione delle prestazioni dei soci (nelle cooperative di produzione e lavoro) e potrà consentire alla giurisprudenza di sanzionare i casi di mancata attuazione della mutualità riconducibili alla violazione della regola della uguaglianza.
Non è stato ritenuto opportuno, viceversa , introdurre la clausola generale di correttezza, anche per una esigenza di simmetria con la disciplina delle società di capitali.

Art. 2517. Enti mutualistici.

La norma è sostanzialmente analoga all'attuale art. 2512 c.c.

Art. 2518. Responsabilità per le obbligazioni sociali.

E' stata eliminata senza esitazioni la responsabilità dei soci sussidiaria multipla (limitata e illimitata) che ha risalenti e non più attuali origini storiche.

Art. 2519. Norme applicabili.

In conformità alle previsioni della legge delega si è fatto della disciplina della s.p.a. il riferimento normale o naturale dal punto di vista organizzativo, circoscrivendo il richiamo della disciplina della s.r.l. alle ipotesi di espressa volontà statutaria ed a condizione che esistano requisiti di "piccolezza", o, se si preferisce, di "non grandezza" desumibili dal numero dei soci o dall'attivo dello stato patrimoniale.

Art. 2520. Leggi speciali.

In conformità al sistema sino ad oggi vigente, si è riaffermato il sistema della prevalenza delle leggi speciali rispetto alla disciplina del codice (pur con la doverosa sottolineatura della centralità concettuale delle norme del codice).
Il secondo comma della norma si propone di mantenere la natura mutualistica e il connesso trattamento alle cooperative previste da leggi speciali che formalmente non operino con i propri soci destinando i propri servizi a soggetti appartenenti a categorie sociali svantaggiate o meritevoli di protezione. La legge-delega infatti, ancorando la mutualità (prevalente o non) al rapporto con i soci, rischierebbe di espungere dall'area della mutualità, e aggiungiamo, della mutualità protetta, proprio quelle cooperative che operano a favore di soggetti che non possono assumere per ragioni varie lo status di partecipi al contratto di società . L'esempio più evidente è quello delle cooperative sociali che, quando non siano cooperative di lavoro, si traducono in imprese che erogano servizi di assistenza in favore di categorie sociali svantaggiate. Queste sono cooperative dotate, più delle altre, del requisito della "funzione sociale" molto caro alla legge delega, anche se in esse a prima vista non sembra ricorrere la cd. gestione di servizio a favore dei soci.

Art. 2521. Atto costitutivo.

La norma rispetto a quella previgente subisce poche, ma importanti modifiche, quali la previsione che l'atto costitutivo debba stabilire le regole per lo svolgimento della attività mutualistica, la previsione che l'atto costitutivo debba espressamente indicare se la cooperativa intenda agire con i terzi, con la importante conseguenza che - se lo statuto nulla prevede - questo tipo di attività deve ritenersi non consentito e la previsione dei regolamenti interni (istituto già apparso nella legge sul socio cooperatore) come estensione-appendice dello statuto o come documento sociale autonomo, con una sufficiente disciplina di base sia per quanto riguarda il loro contenuto e la loro introduzione.

Art. 2522. Numero dei soci.

 

La riforma prevede di generalizzare il numero minimo dei soci a nove unità, eliminando tutti i riferimenti normativi che per i vari tipi di società prevedano numeri diversi. Si fa riferimento, innanzitutto, ai numeri pretesi non per la costituzione della società, ma ad esempio per la iscrizione nei registri prefettizi. E' fatta salva la possibilità di deroghe stabilite da leggi speciali.
Il secondo comma si riferisce alla piccola società cooperativa, figura che data la sua diffusione nella pratica, merita di essere mantenuta in vita autonomamente.

Art. 2523. Deposito dell'atto costitutivo e iscrizione della società.

La norma è analoga a quella prevista per le società di capitali.

Art. 2524. Variabilità del capitale.

La norma sul principio della cd. porta aperta è di stampo tradizionale e va integrata con successive previsioni della riforma sulla ammissione dei soci e sul trasferimento della partecipazione sociale.
Si è ritenuto di introdurre anche la possibilità di un aumento del capitale a pagamento analogo a quello delle società di capitali, che è già previsto e praticato in alcuni settori. Il principio della porta aperta, infatti, affidato alla iniziativa dei terzi aspiranti soci, non soddisfa le esigenze finanziarie della società che potrebbe avere interesse ad aumentare il proprio capitale per specifiche necessità di impresa. Naturalmente, l'aumento di capitale ordinario a pagamento va coordinato con i principi generali della mutualità (limiti al possesso azionario, requisiti dei soci, gradimento, ecc.)

Art. 2525. Quote e azioni.

In linea di massima la disposizione conferma la tendenza della disciplina vigente che prevede in tutte le cooperative limiti quantitativi al conferimento, valori minimi e massimi delle azioni, contenuto particolare delle stesse, ecc.; con alcuni ritocchi non essenziali.
Si propone di fissare come limite massimo della partecipazione il valore di ottantamila euro.

Art. 2526. Soci finanziatori e sottoscrittori di titoli di debito.

Si è ritenuto che la legge delega consentisse l'emissione di strumenti finanziari a tutte le cooperative, non solamente a quelle diverse dalle riconosciute. Si è però pensato di introdurre una disciplina diversificata per la remunerazione degli strumenti emessi dalle riconosciute. Resta in vigore la disciplina previgente relativa ai titoli previsti dalla legge del n. 59 del 1992 e quella relativa ai titoli obbligazionari. Per evitare che la presenza di finanziatori possa snaturare l'indole mutualistica della società è stato previsto un limite invalicabile al totale dei voti attribuibili a questa categoria. Per le stesse ragioni sono stati previsti altresì limiti alla collocazione dei titoli emessi da cooperative in forma di società a responsabilità limitata.

Art. 2527. Requisiti dei soci.

Si è avvertita l'esigenza di semplificare la odierna e intricata disciplina dei requisiti personali dei soci facendone materia di disposizioni statutarie, con l'espresso divieto di partecipazione per coloro che esercitano attività concorrenti con quella della cooperativa.
Al terzo comma si prevede una categoria speciale di soci, nella quale dovrebbero confluire coloro che necessitano di un periodo di formazione.

Art. 2528. Procedura di ammissione e carattere aperto della società.

Con la disciplina che compare in questo articolo si vuole rafforzare il principio della porta aperta, come pretende la legge delega, trattandosi di principio fondamentale sia della cooperazione riconosciuta sia della c. diversa dalla riconosciuta. Ciò essenzialmente con la previsione di un obbligo di motivazione del rigetto della domanda del terzo, con la previsione di una specie di appello all'assemblea da parte del terzo non ammesso (cosi come è oggi previsto nella migliore prassi statutaria) e con l'imposizione a carico degli amministratori di un onere di relazione sul rispetto della porta aperta.
E' stato mantenuto l'istituto del soprapprezzo; ma si è sottolineato che la determinazione di tale versamento spetti all'assemblea su proposta degli amministratori.

Art. 2529. Acquisto delle proprie quote o azioni.

Per procedere a tale operazione, che nelle cooperative ha finalità particolari, è stato previsto che il rapporto tra il patrimonio netto e il complessivo indebitamento della società della essere superiore ad un quarto.
Inoltre, è stato confermato che l'acquisto o il rimborso debba avvenire nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili.

Art. 2530. Trasferibilità della quota o delle azioni.

L'articolo che si propone rafforza la posizione del socio che intenda cedere la partecipazione, rispetto ad un atteggiamento contrario della società, riconoscendo valore di assenso alla mancata espressione del placet entro il termine stabilito; e riconoscendo al socio una pretesa che può essere fatta valere in termini reali e non obbligatori innanzi l'autorità giudiziaria. Si è ritenuto, inoltre, di dare maggiori prerogative al socio che intenda cedere rispetto al terzo che intenda entrare per la ragione che la società ha obblighi verso il socio scaturenti dal contratto di società.

Art. 2531. Mancato pagamento delle quote o delle azioni.

La disciplina dell'art. 21 ripropone quella dell'art. 2524 c.c.

Art. 2532. Recesso del socio.

La disciplina del recesso è sostanzialmente immutata (nuove disposizioni si propongono per la liquidazione della quota). Data la maggiore ampiezza del recesso nelle cooperative rispetto alle altre società, si è pensato di introdurre una sorta di "accettazione" da parte dell'organo competente, il quale dovrà valutare se la dichiarazione del socio è conforme alla legge e allo statuto.
Si è introdotta una distinzione tra gli effetti del recesso sul rapporto sociale in senso stretto (decorrenti dalla comunicazione) e sui rapporti mutualistici in corso (con disciplina diversificata a seconda che la comunicazione sia fatta o meno tre mesi prima della chiusura dell'esercizio).

Art. 2533. Esclusione del socio.

La nuova disciplina è più analitica di quella precedente (si noti la proposta di collegare l'esclusione anche all'inadempimento delle obbligazioni derivanti dai rapporti mutualistici) ma rispetta le linee tradizionali dell'istituto nell'ambito delle imprese mutualistiche. E' stato previsto che, dal momento che l'esclusione sancisce la rottura di un rapporto di collaborazione e di fiducia reciproca salva diversa disposizione statutaria, l'esclusione determini anche la risoluzione dei rapporti mutualistici in corso.

Art. 2534. Morte del socio.

La disciplina degli effetti della morte del socio è analoga a quella oggi prevista dall'art. 2528 del codice, con una opportuna precisazione relativa alla continuazione del rapporto, che può aversi solo quando gli eredi posseggano i requisiti per partecipare alla società; e con una precisazione relativa alla continuazione con pluralità di eredi.

Art. 2535. Liquidazione della quota o rimborso delle azioni del socio uscente.

E'opportuno precisare che la disposizione in commento, avendo carattere generale, in pratica è destinata essenzialmente alle cooperative diverse dalle riconosciute. Per le cooperative riconosciute infatti per effetto della previsione dell'art. 4, continuerà ad applicarsi la disposizione dell'art. 26 lett. b) della la c.d. legge Basevi, di cui al D.L.C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577, e del d.P.R. n. 601 del 1973, che prevede l'assoluto divieto di computo delle riserve in caso di scioglimento del rapporto sociale. Ora, sulla scia di orientamento scientifico consolidato, secondo cui anche per la cd. cooperazione codicistica o neutra occorre prevedere e osservare limiti congrui alla lucratività soggettiva, la riforma prevede che in ogni caso lo statuto - anche e soprattutto delle cooperative non riconosciute - debba prevedere appositi "criteri" che serviranno a differenziare la liquidazione della quota nelle cooperative dalla liquidazione della quota nelle altre società. E' stata espressamente prevista la possibilità di rimborso del soprapprezzo.

Art. 2536. Responsabilità del socio uscente e dei suoi eredi.

Si è ridotta ad un anno la responsabilità di due anni prevista dall'art. 2530 c.c.
Il secondo comma prevede che se la società cade in insolvenza entro un anno dal pagamento al socio della quota di liquidazione (e quindi, se il pagamento è avvenuto presumibilmente quando già la società non era in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni) l'ex socio debba restituire alla società (o agli organi della procedura di insolvenza) l'importo ricevuto a titolo di liquidazione della quota.

Art. 2537. Creditore particolare del socio.

Si è ritenuto opportuno eliminare il diritto del creditore particolare del socio ad opporsi alla proroga della società, rimedio che appare eccessivo rispetto agli interessi in gioco quando una cooperativa decida di continuare una attività che potrebbe avere funzione sociale.

Art. 2538. Assemblea.

La nuova disciplina riafferma la centralità del voto pro capite ed introduce alcune eccezioni che non dovrebbero scalfire il principio.
Il problema del voto plurimo riguarda i titolari di strumenti finanziari, per i quali valgono le previsioni statutarie, le persone giuridiche socie (cinque voti) e i soci imprenditori, ai quali l'atto costitutivo può attribuire voto plurimo in relazione alla intensità degli scambi mutualistici. Più precisamente a ciascuno non oltre il decimo dei voti in assemblea e complessivamente non più di un terzo dei voti in assemblea.
Per facilitare la partecipazione (indiretta) del socio alle decisioni sociali è stato mantenuto il voto per corrispondenza.

Art. 2539. Rappresentanza nell'assemblea.

La norma vuole ridurre i limiti della rappresentanza del socio in assemblea, prevedendo la possibilità, per le cooperative che rinviano alla società per azioni, per il delegato di votare per dieci soci e la possibilità per il socio imprenditore di farsi rappresentare da parenti e affini collaboratori (così come è già previsto per talune cooperative agricole).

Art. 2540. Assemblee separate.

Si è ritenuto che le assemblee separate, nonostante la formulazione letterale della legge delega, possano essere previste e disciplinate anche per le cooperative riconosciute. La disciplina proposta è quindi di carattere generale e rappresenta un tentativo di razionalizzazione di quella vigente.

Art. 2541. Assemblee speciali dei possessori di strumenti finanziari.

La norma costituisce un completamento della disciplina generale degli strumenti finanziari. Essa prevede una articolata organizzazione delle varie categorie in assemblee speciali e la nomina di un rappresentante comune.

Art. 2542. Consiglio di amministrazione.

Si propone comunque di prevedere che solo la maggioranza degli amministratori siano soci cooperatori e che nelle cooperative modellate sulla s.p.a. siano stabiliti limiti (tre mandati) alla rieleggibilità degli amministratori. Si prevede altresì che i possessori di strumenti finanziari partecipativi possano eleggere fino ad un terzo degli amministratori.

Art. 2543. Organo di controllo.

Si prevede la possibilità, fortemente innovativa, di attribuire il diritto di voto per la elezione dell'organo di controllo in relazione al capitale o agli scambi mutualistici.
Si riserva la nomina di un terzo dei membri ai possessori di strumenti finanziari, anche non partecipativi.

Art. 2544. Modelli di amministrazione.

La norma prevede, qualunque sia il modello di amministrazione adottato, che le più importanti decisioni relative alla ammissione ed esclusione dei soci e quelle relative ai rapporti mutualistici non possano essere oggetto di delega.
Sono poi previste disposizioni particolari per la ipotesi di amministrazione c.d. dualistica per regolamentare i poteri di elezione spettanti ai possessori di strumenti finanziari; e per la ipotesi di amministrazione cd. monista, circa la elezione ed i poteri degli amministratori nominati dai possessori di strumenti finanziari.

Art. 2545. Relazione annuale sul carattere mutualistico della cooperativa.

La norma ripropone con qualche ritocco la analoga disposizione della legge n. 59 del 1992. Vale la pena di precisare che essa riguarda tutte le cooperative non solo quelle a mutualità prevalente.

Art. 2545-bis. Diritti dei soci.

Per le sole cooperative cui si applica la disciplina delle società per azioni (nelle cooperative s.r.l. i poteri dei soci sono quelli piuttosto ampi previsti per tale tipo di società) è previsto un diritto di esame del libro adunanze amministratori, spettante ai soci che rappresentino un decimo del capitale ed esercitabile da un rappresentante anche eventualmente tramite professionisti di fiducia.

Art. 2545-ter. Riserve indivisibili.

Si è previsto un meccanismo di garanzia sull'utilizzazione delle riserve indivisibili, che opera attraverso la tassativa elencazione dei casi in cui esse possono essere utilizzate per la copertura di perdite di esercizio, esplicitando la natura solo sussidiaria dell'utilizzazione, una volta imputate eventuali altre e diverse riserve costituite per gli aumenti di capitale o vincolate sino allo scioglimento della società.

Art. 2545-quater. Riserva legali statutarie e volontarie.

Per comprendere il senso di questa norma occorre premettere che per le cooperative riconosciute continueranno a valere le regole tradizionali della non lucratività consistenti nel divieto di distribuzione di dividendi superiori ai limiti di legge e in quello di distribuzione di tutte le riserve delle tra i soci.
Ciò premesso si pone la necessità di una disciplina generale valevole quindi soprattutto per le cooperative diverse dalle riconosciute come nel sistema vigente accade per le cooperative c.d. "neutre" del codice civile.
Si è stabilito innanzitutto di prevedere (soprattutto per le cooperative diverse da quelle riconosciute) un obbligo di accantonamento a riserva legale pari al trenta per cento degli utili netti annuali, e un limite alla ripartibilità fra i soci per la riserva legale e per le riserve statutariamente indivisibili.
E' stato mantenuto l'obbligo di devoluzione ai Fondi mutualistici della quota di utili di esercizio determinata dalle leggi speciali.
Accantonate le quote destinate a riserva legale e ai Fondi, l'assemblea determinerà la destinazione degli utili nel rispetto del successivo art. 38.
E' affidata a previsioni statutarie la destinazione degli utili eccedenti le destinazioni obbligatorie (riserva legale e fondi).

Art. 2545-quinquies. Diritto agli utili e alle riserve dei soci cooperatori.

Per le cooperative diverse dalle riconosciute si è voluto innanzitutto stabilire - in conformità ad un orientamento interpretativo oggi esistente fondato sulla lettura sistematica dell'art. 2518, secondo comma, n. 9 - che l'atto costitutivo determina le modalità e le percentuali massime della ripartizione dei dividendi tra i cooperatori.
Si è poi introdotto un limite sostanziale alla distribuzione degli utili e alla divisione delle riserve in relazione a particolari situazioni finanziarie della società, per evitare che, soprattutto nelle cooperative diverse dalle riconosciute, il principio della porta aperta "in uscita" accompagnato alla rimozione dei principali limiti alla lucratività soggettiva possa determinare esodi in massa nelle situazioni di prosperità o nella imminenza di situazioni di crisi.

Sono state poi previste diverse tecniche di "distribuzione " delle riserve divisibili ai soci (nei casi in cui ciò possa accadere) essenzialmente attraverso la attribuzione ai soci di strumenti di finanziamento o attraverso l'aumento (gratuito) della partecipazione sociale.
E' stata infine introdotta la regola che in caso di liquidazione della quota al socio le riserve divisibili possano essere attribuite ai soci mediante strumenti finanziari trasferibili.

Art. 2545-sexies. Ristorni.

Si è scelta una versione sintetica della norma, con un rinvio a disciplina statutaria e con la esclusione di previsioni di legge che configurassero il ristorno come una pretesa assoluta o un diritto soggettivo dei cooperatori. Invero, un ipotetico diritto a condizioni di favore (risparmio di spesa o aumento di retribuzione) potrebbe porsi in contrasto con la protezione dell'interesse sociale e potrebbe indurre i soci a porsi in posizione di alterità o di antagonismo rispetto alla cooperativa. Per una corretta attuazione della politica del ristorno è stato previsto un minimo di distinzione contabile tra dati relativi alla attività con i soci e dati afferenti alla attività con i terzi. Infine, è stata consentita la corresponsione di ristorni mediante aumento di capitale o attribuzione di strumenti finanziari.

Art. 2545-septies. Gruppo cooperativo paritetico.

E' stato espressamente previsto che la singola cooperativa possa recedere dal contratto di gruppo quando l'adesione ad esso influisca negativamente sugli scambi mutualistici.

Art. 2545-octies. Perdita della qualifica di cooperativa a mutualità prevalente.

Si è introdotta una disposizione che prendesse in considerazione la vicenda della perdita della qualifica di cooperativa a mutualità prevalente, che può essere volontaria o involontaria, e che non sempre è riconducibile ad una vera e propria modifica statutaria Si è previsto che per quanto riguarda il requisito della prevalenza, la perdita debba derivare dal mancato rispetto dei criteri di legge per due esercizi consecutivi. La perdita può poi derivare dalla modifica delle previsioni statutarie sulla distribuzione di utili e riserve.
In caso di perdita della qualifica si pone immediatamente il problema di determinare il valore effettivo dell'attivo patrimoniale, da imputare alle riserve indivisibili.

Art. 2545-novies. Modificazioni dell'atto costitutivo.

La norma unifica il testo degli artt. 2537 e 2538 c.c. ed elimina il riferimento alle modifiche che riguardino il regime di responsabilità dei soci, che nella riforma risulterà unificato in quello della responsabilità limitata.

Art. 2545-decies. Trasformazione.

Si è ritenuto che la legge delega non possa non presupporre che la trasformazione anche se riguardi cooperative non riconosciute resti pur sempre "eterogenea"; e che pertanto la previsione di forme semplificate non equivale ad una scelta di politica legislativa tendente addirittura ad incoraggiare la scelta della trasformazione di in società lucrative. In tal senso si è a lungo discusso se tra le misure previste per la trasformazione la legge delega non preveda anche un aiuto nella formazione del capitale della società risultante dalla trasformazione; e alla fine ha prevalso l'opinione contraria, anche per ragioni relative alla applicazione della normativa comunitaria sugli aiuti.
Si è, dunque, previsto che la società risultante dalla trasformazione possa essere una qualunque società lucrativa e quindi anche una società di persone. Infine, si è ritenuto che la disciplina stabilita per la trasformazione in società lucrativa sia applicabile anche alla trasformazione di cooperativa in consorzio.

Sono state previste, per le ragioni sopra esposte, maggioranze semplificate ma pur sempre tali da richiamare l'attenzione sulla importanza deliberazione da adottare: voto favorevole della metà dei soci; due terzi quando i soci sono meno di cinquanta; una soluzione particolare per le cooperative con più di diecimila soci (se sono presenti soci pari al venti per cento basta il voto favorevole dei due terzi dei votanti).

Art. 2545-undecies. Devoluzione del patrimonio e bilancio di trasformazione.

La norma intende affrontare il problema dell'obbligo di devoluzione ai fondi del valore effettivo del patrimonio, come determinato ai sensi dell'articolo 2545-octies eccedente il capitale versato e rivalutato, ed i dividendi non ancora distribuiti, aumentato eventualmente sino alla concorrenza dell'ammontare minimo del capitale di costituzione della nuova società. Il valore effettivo dovrà essere determinato da un esperto nominato dal presidente del tribunale.

Art. 2545-duodecies. Scioglimento.

Con disposizione valevole per tutte le cooperative è previsto che il patrimonio residuo sia devoluto ai fondi mutualistici.

Art. 2545-terdecies. Insolvenza.

La norma prevede un concorso tra fallimento e liquidazione coatta amministrativa. Il fallimento si applica quando la cooperativa svolge attività commerciale; la liquidazione coatta quando le leggi speciali la prevedano.

Art. 2545-quaterdecies. Controllo sulle società cooperative.

La norma prevede il controllo governativo per tutte le cooperative, secondo modalità e procedimenti previsti da leggi speciali.

Art. 2545-quinquiesdecies. Controllo giudiziario.

Il controllo giudiziario previsto dall'art. 2409 c.c. viene esteso a tutte le cooperative, anche a quelle costituzionalmente riconosciute. E' stata comunque riservata posizione prevalente al controllo amministrativo; e ciò nel senso che il tribunale investito di un ricorso ai sensi dell'art. 2409 nei confronti di amministratori e sindaci di società cooperativa non può adottare alcun provvedimento se risulti avviato il procedimento di controllo amministrativo con la nomina di una ispettore o di un commissario.

Art. 2545-sexiesdecies. Gestione commissariale.

La norma ripropone la cosiddetta gestione commissariale delle cooperative. La procedura è espressamente estesa alle irregolarità nella ammissione di nuovi soci.

Art. 2545-septiesdecies. Scioglimento per atto dell'autorità.

La norma prevede una procedura di scioglimento di autorità con possibile ma non necessaria liquidazione quando evidentemente vi siano attività da liquidare.

Art. 2545-octiesdecies. Sostituzione dei liquidatori.

Si prevede la cancellazione dal registro delle imprese delle cooperative in liquidazione che non hanno depositato i bilanci relativi agli ultimi cinque anni, con facoltà per i creditori di chiedere la prosecuzione della liquidazione.

16 DELLA DISCIPLINA DI ATTUAZIONE E TRANSITORIA.

L'articolo 9 prevede la disciplina delle norme di attuazione e transitorie e prevede, all'uopo, la modifica delle relative disposizioni introdotte dal regio decreto 30 marzo 1942, n. 318.
In particolare:
Comma 1, lettere a),b),c),d), ed e): le norme prevedono l'adeguamento del procedimento ex articolo 2409 del coincide alla nuova struttura delle società, introdotta dalla riforma.
Comma 1, lettera f):
 

  • articolo 111-bis: la previsione precisa il riferimento legale contenuto nell'articolo 2325-bis del codice.
  • articolo 111-ter: la previsione garantisce la completa identificabilità della società che chiede l'iscrizione nel registro delle imprese ed il costante aggiornamento dei relativi dati.
  • articolo 111-quater: La norma precisa il riferimento contenuto nell'articolo 2447-ter del codice.
  • articolo 111-quinquies: La norma adegua alla previsione della non necessaria nominatività delle azioni l'articolo 2632 del codice, come modificato dal decreto legislativo 11 aprile 2002, n. 61.
  • articolo 111-sexies: La norma prevede l'abrogazione di disposizioni di transitorie ormai non più in vigore.
  • articolo 111-septies: Le cooperative sociali rappresentano una componente molto importante della cooperazione a carattere di mutualità, senza fini di speculazione privata e diretta a perseguire una funzione sociale. Ferma restando la necessità che esse prevedano e rispettino le clusole statutarie di non lucratività rislenti alla legge Basevi, la loro struttura potrebbe discostarsi però dal modello protetto soprattutto per il modo in cui si atteggia in esse il requisito della prevalenza, perchè per esempio le cooperative sociali che prestano servizi a favore di categorie svantaggiate quasi sempre non annoverano i destinatari della attività tra i propri soci, con la paradossale conseguenza che si avrebbe in questo caso una ipotesi di cooperativa a mutualità non prevalente e quindi non protetta. La norma individua altresì l'oggetto delle cooperative agricole di cui al terzo comma dell'articolo 2513, nonchè prevede la trasformazione della piccole società cooperative.
  • articolo 111-octies: Si è ritenuto opportuno precisare che investitori istituzionali destinati alle società cooperative possono essere i soggetti che istituzionalmente svolgono attività di investimento a favore degli enti cooperativi.
  • articolo 111-novies: Si è ritenuto opportuno individuare società di revisione abilitate alla certificazione del bilancio delle società cooperative.
  • articolo 111-decies: La previsione disciplina, con riguardo alle cooperative attualmente esistenti che abbiano adottato le clausole c.d. "Basevi", l'ipotesi in cui la cooperativa non abbia i requisiti per essere considerata cooperativa a mutualità prevalente.
  • articolo 111-undecies: In alcuni casi le cooperative genuinamente mutualistiche non riescono a rispettare il criterio della prevalenza per fattori indipendenti dalla volontà della società e dei suoi amministratori. Vi sono poi ipotesi specifiche di cooperative che, come le cooperative sociali, non possono del tutto rispettare il modello base della cooperazione protetta stabilito nella riforma. Si è quindi previsto che il Ministero delle Attività Produttive di concerto con quello dell'Economia possa introdurre regimi derogatori; e ciò nel senso di facilitare la inclusione nella categoria della cooperazione protetta anche di imprese che apparentemente o momentaneamente non posseggano i requisiti di base. E' escluso viceversa che i regimi derogatori di cui si discute possano portare a soluzioni che rendano più onerosa la inclusione nella categoria protetta.

Comma 2, lettera b):
 

  • articolo 218: La previsione adegua la precedente disciplina transitoria per la liquidazione delle società alle nuove disposizioni introdotte.
  • articolo 223-bis: la norma regola le modalità ed i tempi di adeguamento degli atti costitutivi e degli statuti delle società di capitali alle nuove disposizioni inderogabili introdotte dal presente decreto, lasciando alla volontà sociale l'opportunità di adeguarsi anche alle altre disposizioni di carattere non imperativo. Si è ritenuto di fissare un congruo lasso temporale per l'adeguamento al 30 settembre 2003 e di facilitare il procedimento attraverso la previsione di maggioranze più limitate per le relative deliberazioni dell'assemblea straordinaria. Dal carattere inderogabile nuove disposizioni deriva la logica conseguenza che, in caso di mancato adeguamento, le società non possano ulteriormente operare, sì che si è previsto una causa di scioglimento ope legis. Si è stabilito che le società già costituite, ma non ancora iscritte nel registro delle imprese alla data di entrata in vigore del presente decreto, non possano farlo se non hanno adeguato l'atto costitutivo e lo statuto alle nuove disposizioni inderogabili, così da evitare l'immediata necessità dell'adeguamento entro il termine generale fissato dal primo comma.
  • articolo 223-ter: Si è stabilito che le società per azioni possano conservare il capitale sociale precedente al di sotto del nuovo limite minimo per tutta la durata prevista antecedentemente all'entrata in vigore del decreto.
  • articolo 223-quater: Si è precisato che i termini introdotti dalle disposizioni relative alle condizioni per la costituzione delle società o per la modifica dell'atto costituivo decorrano dalla data di rilascio delle autorizzazioni eventualmente previste; qualora l'iscrizione sia avvenuta nonostante la mancanza delle autorizzazioni, si è previsto che l'autorità cui ne compete il rilascio possa, rilevatane la mancanza, agire per la cancellazione della società, cui - peraltro - è data facoltà di sanare l'omissione durante il procedimento camerale.
  • articolo 223-quinquies: La norma identifica il dies a quo per i termini previsti nelle leggi speciali con riferimento alla superata disciplina dell'omologazione delle società.
  • articolo 223-sexies: La previsione identifica la disciplina transitoria applicabile ai procedimenti di impugnazione delle deliberazioni assembleari e delle azioni di responsabilità contro organi di amministrazione nella fase di entrata in vigore del decreto.
  • articolo 223-septies: La norma adegua le disposizioni codicistiche previgenti alle nuove figure di organi sociali introdotte dal decreto. Nel capoverso si è precisato che il regime previsto si applica anche in tutti quei casi in cui le leggi speciali demandano ad organismi pubblici (ad. esempio la CONSOB) il controllo sulle società.
  • articolo 223-octies: La norma precisa limiti e condizioni per la trasformazione eterogenea in società di capitali, prevedendo disposizioni che evitino elusioni fiscali come conseguenza della deliberazione di trasformazione; è stato, inoltre, introdotto il divieto di trasformazione per le fondazioni bancarie.
  • articolo 223-novies: La norma detta una disciplina transitoria che regola la legge applicabile ai procedimenti ex art. 2409 c.c.; si è stabilito che quelli pendenti debbano proseguire secondo la normativa anteriore, stante la concerta impossibilità di applicare le nuove norma a situazioni già esistenti e determinate dalle disposizioni previgenti.

In relazione alla società a responsabilità limitata, per le quali la novellazione esclude l'assoggettamento alla procedura ex articolo 2409 c.c., si è ritenuto che nei procedimenti pendenti alla data di scadenza del termine di adeguamento alle norme imperative di cui alla disposizione transitoria I, il tribunale competente, debba valutare se le irregolarità denunciate ancora persistono, ovvero debbono ritenersi sanate dall'adeguamento, caso in cui dovrà dichiarare cessata la materia del contendere.
 

  • articolo 223-decies: La norma precisa che la nuova disciplina delle assemblee degli obbligazionisti se delle relative deliberazioni - compreso il procedimenti di impugnazione, si applicano anche alle obbligazioni già emesse al momento di entrata in vigore del decreto.
  • articolo 223-undecies: La previsione detta una disciplina transitoria per i criteri di redazione dei bilanci nella fase di entrata in vigore delle nuove norme.
  • articolo 223-duodecies: La norma, al primo comma, ripropone una fondamentale previsione della legge delega sulle cooperative costituzionalmente riconosciute, che per il suo esclusivo riferimento tributario non poteva essere collocata nel testo del codice civile.

Il secondo comma prevede che l'adeguamento alla nuova normativa caratterizzante la mutualità protetta (e quindi la fruizione delle agevolazioni fiscali) possa avvenire , e ciò senza modificazioni dello status vigente, sino al 31 dicembre 2003. La Commissione a questo proposito è consapevole che l'adeguamento sarà particolarmente laborioso e delicato soprattutto per le cooperative che oggi non rispettino il criterio della prevalenza e che intendano restare nell'area della cooperazione protetta. Il passaggio dalla non prevalenza alla prevalenza importa non solo e non tanto modifiche formali dello statuto, ma nuove definizioni dell'assetto della attività economica dell'impresa, in parte già oggi giuridicamente esistenti e vincolanti.
 

  • articolo 223-terdecies: La norma ripropone il contenuto del terzo comma dell'art. 5 della legge delega. Per le banche di credito cooperativo, alle quali la legge bancaria e la normativa di vigilanza impone già da circa un decennio una prevalenza calibrata alle esigenze e caratteristiche della attività creditizia, si è ritenuto opportuno precisare che quando rispettino rigorosamente la loro normativa specifica esse possano conservare il riconoscimento di cooperative protette; e ciò anche se per avventura la disciplina della legge bancaria dovesse in qualche modo discostarsi da quella prevista dalla riforma per la cooperazione agevolata in genere.
  • articolo 223-quaterdecies: La norma prevede quella devoluzione del patrimonio ai fondi che la legge delega impone alle cooperative diverse da quelle riconosciute in occasione della trasformazione in società lucrative. L'istituto della devoluzione, già previsto dalla legislazione vigente, si colora oggi di connotati peculiari. Mentre infatti la devoluzione prevista dalle leggi vigenti presuppone lo scioglimento della società e la cessazione della attività di impresa da parte delle cooperative, oggi la devoluzione accompagna una società che non cessa di esistere e di operare ma che cambia solamente la propria natura.
  • articolo 223-quinquiesdecies: Le cooperative " non Basevi " che abbiano eventualmente accumulato un patrimonio senza fruire di agevolazioni fiscali non possono essere tenute a devolverlo ai fondi in caso di trasformazione.
  • articolo 223-sexiesdecies: Questa disposizione contiene la disciplina dell'istituendo Albo delle cooperative a mutualità prevalente.
  • articolo 223-septiesdecies: La disposizione intende facilitare lo scioglimento e la estinzione delle cooperative che da oltre cinque anni non abbiano depositato bilanci di esercizio e che con ciò dimostrino di non aver operato.
  • articolo 223-octiesdecies: La norma detta la disciplina transitoria applicabile alla disciplina della redazione del bilancio.
  • articolo 223-noviesdecies: La norma detta la disciplina transitoria applicabile alla disciplina della liquidazione delle cooperative.
  • articolo 223-vicies: La norma detta la disciplina transitoria applicabile alla disciplina dell'articolo 2409 c.c. applicabile alle cooperative.

Ritenuto, in relazione ai pareri espressi dalle competenti Commissioni parlamentari:
 

  • di non accogliere la condizione n. 3 posta dalla Camera, in quanto contenente previsioni non oggetto della legge di delegazione;
  • di non accogliere la condizione n. 7 posta dalla Camera, poiché il divieto di circolazione per le azioni nel caso di azioni nominative ed in caso di mancata emissione dei titoli azionari corrisponde all'esigenza che può non di rado manifestarsi di assicurare per un breve periodo iniziale dell'attività imprenditoriale della società una stabilità ella compagine azionaria, nel contempo assicurando la serietà dell'impegno assunto con la stipulazione dell'atto costitutivo; del resto l'ordinamento già conosce analoghe ipotesi in presenza di particolari esigenze come quando prevede l'obbligo di formazione di "nuclei stabili" al momento della privatizzazione di imprese di rilevante interesse;
  • di non accogliere la seconda parte della condizione n. 8 posta dalla Camera, posto che il mancato diritto all'impugnazione è compensato dal diritto al risarcimento del danno patito in esito alla deliberazione, il ché in concreto pare fornire una tutela maggiore rispetto a quella di carattere meramente negativo quale quella che si può ottenere rispetto all'annullamento di una deliberazione;
  • di non accogliere la condizione n. 9 posta dalla Camera, poiché la fissazione di un limite massimo della remunerazione degli amministratori è un interesse che l'assemblea può ritenere di dover perseguire, senza necessariamente fissare anche i singoli livelli remunerativi per i singoli amministratori;
  • di non accogliere la condizione n. 11 posta dalla Camera, poiché per un verso in contrasto con il carattere di potenziale terzietà dell'organo di controllo, per un altro verso riguarda essenzialmente le società quotate, che sono disciplinate da norme che si rinvengono in fonti diverse ed estranee in quanto tali alla legge di delegazione;
  • di non accogliere la condizione n. 12, giacché la posizione dei sindaci è nel nuovo sistema del tutto diversa da quella precedente, intendendo la riforma enfatizzare il controllo precisato dall'articolo 2409 come attinente ai soli fatti di gestione della società, mentre la riforma puntualizza gli interessi tutelati dall'articolo 2409 come concernenti i soli fatti di gestione della società: sicché non è neppure logicamente pensabile un'ipotesi di irregolarità dei sindaci che abbia una sua autonomia rispetto alle irregolarità degli amministratori;
  • di non accogliere la condizione n. 13 posta dalla Camera, poiché generica e comunque già pienamente risultante dal sistema; si osserva peraltro che un'esplicita previsione come quella richiesta creerebbe problemi sistematici per tutte le altre organizzazioni collettive in cui tale revisione non venga ripetuta;
  • di non accogliere la condizione n. 14 posta dalla Camera, poiché non in linea con la ricostruzione sistematica della nuova suddivisione dei poteri gestionali e con la stessa indicazione della legge di delegazione che vuole che i problemi relativi allo svolgimento dell'attività imprenditoriale (tra cui non vi è ragione di escludere quelli finanziari) siano di esclusiva responsabilità degli amministratori e che del resto corrisponde alla più diffusa prassi a livello internazionale;
  • di non accogliere la condizione n. 19 posta dalla Camera, poiché la diversità dei modelli cooperativo e delle società a responsabilità limitata rende incongrua la relazione di presunta compatibilità;
  • di aver accolto le osservazioni poste dalle Camere, ad eccezione di quelle attinenti a suggerimenti di politica legislativa o a questioni meramente formali.

L'attuazione delle previsioni contenute nel presente provvedimento non comporta nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.