Schema di D.Lgs. - Attuazione della direttiva 2011/36/UE, relativa alla prevenzione e alla repressione della tratta di esseri umani - Re

Esame definitivo - Consiglio dei ministri 28 febbraio 2014

Schema di decreto legislativo recante: “Attuazione della direttiva 2011/36/UE, relativa alla prevenzione e alla repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, che sostituisce la decisione quadro 2002/629/GAI”- Relazione

 

Articolato

La direttiva 2011/36/UE, che sostituisce la Decisione quadro del Consiglio 2002/229/GAI, stabilendo norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni nell’ambito della tratta di esseri umani nonché introducendo disposizioni comuni per i vari Stati membri dell’Unione europea, mira a rafforzare la prevenzione e la repressione di tale reato e la protezione delle vittime.

A livello internazionale diversi organismi (Consiglio d’Europa, ONU, OSCE) hanno da tempo promosso la stipula di Convenzioni e Protocolli in tale materia (si pensi alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale, aperta alla firma a Palermo nel dicembre 2000, e ai suoi due Protocolli addizionali) offrendo così l’indispensabile base giuridica per la penalizzazione delle condotte e per le procedure di cooperazione giudiziaria.

In tale ambito anche l’Unione europea ha messo a punto una sua strategia, articolata in misure amministrative ed iniziative normative, per migliorare le attività di contrasto, secondo un approccio unitario, nel quale confluiscono le finalità di prevention, prosecution and protection, e sviluppare efficaci azioni di partenariato con altre organizzazioni internazionali e con paesi terzi.

Momenti salienti di questa strategia sono stati: la Dichiarazione di Bruxelles del settembre 2002 sulla prevenzione e sul traffico di esseri umani – Una sfida globale per il XXI secolo; la costituzione, nel marzo 2003, di un “Gruppo di esperti sul traffico di esseri umani”; l’adozione del Piano globale per un’azione contro la tratta degli esseri umani del dicembre 2005.

Di recente, inoltre, si sono registrate: la Risoluzione adottata il 10 febbraio 2010 dal Parlamento europeo sul tema della prevenzione del traffico di esseri umani; la Comunicazione del 19 giugno 2012 al Parlamento europeo e al Consiglio intitolata “La strategia dell’Unione europea per l’eradicazione della tratta degli esseri umani (2012 – 2016)”.

In particolare, la Strategia dell’Unione europea per l’eradicazione della tratta degli esseri umani contiene delle priorità rappresentate dall’individuare, proteggere e assistere le vittime della tratta; l’intensificare la prevenzione della tratta di esseri umani; il potenziare l’azione penale nei confronti dei trafficanti; il migliorare il coordinamento e la cooperazione tra i principali soggetti interessati e la coerenza delle politiche; l’aumentare la conoscenza delle problematiche emergenti relative a tutte le forme di tratta di essere umani e il dare conseguentemente risposte efficaci.

Diversi sono gli strumenti internazionali che impegnano gli Stati all’adozione di norme omogenee al fine di armonizzare la legislazione sul piano sostanziale: presupposto indispensabile per consentire forme efficaci di cooperazione investigativa e giudiziaria per un fenomeno criminale di dimensione transnazionale, attesa la capacità di questi sodalizi, composti di persone di diversa nazionalità, di operare contemporaneamente in più paesi e in più mercati illeciti.  

Si ricordano, ex plurimis, la Convenzione delle Nazioni Unite del 2 dicembre 1949 per la soppressione del traffico di persone con cui gli Stati si sono impegnati a proteggere i migranti, in particolare donne e bambini, in tutto il percorso migratorio e a pubblicizzare il rischio e i danni della tratta; la Convenzione di applicazione dell’Accordo di Shengen del 19 giugno 1990 che impegna gli Stati a prevedere sanzioni adeguate nei confronti di chiunque aiuti o tenti di aiutare a scopo di lucro uno straniero a entrare o soggiornare nel territorio di una parte contraente in violazione della legislazione di detta parte relativa all’ingresso e al soggiorno degli stranieri; la Risoluzione dell’Assemblea generale ONU del 23 dicembre 1994 che ha ricondotto l’ipotesi del traffico delle donne a scopo di sfruttamento sessuale alla più ampia fattispecie del traffico di essere umani; le Convenzioni ONU finalizzate all’attuazione di misure relative al recupero sociale delle vittime della tratta di persone, attraverso opportunità educative e di formazione, e di altre misure preordinate a garantire la permanenza delle vittime sul territorio dello Stato a titolo temporaneo o permanente.

Nell’ambito degli strumenti internazionali tesi a combattere una vera e propria emergenza criminale di tipo globale, si inserisce la direttiva 2011/36/UE, concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, che non solo persegue l’obiettivo di garantire un rafforzamento delle misure penali di repressione (intervenendo sulle condotte antigiuridiche da perseguire, sul trattamento sanzionatorio, sull’attività investigativa e giurisdizionale), ma altresì di assicurare una effettiva protezione delle vittime intesa quale momento imprescindibile nell’azione di contrasto alla tratta di persone e che necessariamente richiede un approccio integrato sia sul piano dei differenti profili di intervento (giudiziario e sociale) sia su quello dei diversi attori coinvolti (forze di polizia, magistratura, enti pubblici, organizzazioni non governative).

Le problematiche affrontate dalla direttiva in oggetto sono essenzialmente la prevenzione/repressione della tratta e la tutela delle vittime della tratta stessa, che rappresentano i settori che hanno dimostrato le maggiori carenze delle legislazioni nazionali.

Nell'azione di contrasto alla tratta degli esseri umani la direttiva, in sintonia con gli altri testi sovranazionali in materia, riafferma il ruolo prioritario del diritto penale. Essa contiene innanzitutto una definizione di tratta, in cui rientrano una serie di comportamenti dolosi, che dovranno essere incriminali da parte  dei legislatori nazionali: infatti, ai sensi dell'art. 2, deve intendersi come tratta «il reclutamento, il trasporto, trasferimento, l'alloggio o l'accoglienza di persone, compreso il passaggio o il trasferimento dell'autorità su queste persone, con la minaccia dell’uso o con l'uso stesso della forza o di altre forme di coercizione, con rapimento, la frode, l'inganno, l'abuso di potere o della posizione di vulnerabilità o con l'offerta o l'accettazione di somme di denaro o di vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un'altra ai fini di sfruttamento». Vengono inoltre individuate le finalità di sfruttamento, a cui le succitate condotte sono preordinate, in un'ampia serie di attività (art. 2, par. 3), nelle quali sono annoverate - accanto allo sfruttamento della prostituzione altrui e ad altre forme di sfruttamento sessuale, allo sfruttamento del lavoro, alla schiavitù e all’accattonaggio – il prelievo di organi, il generale impiego delle vittime in attività illecite (si pensi, a titolo esemplificativo, all'utilizzo delle persone ridotte in schiavitù per commettere reati di borseggio, taccheggio e traffico di stupefacenti).

Vengono altresì previste, tra gli aspetti più significativi: la irrilevanza del consenso della vittima allo sfruttamento qualora sia stato utilizzato uno dei mezzi coercitivi previsti al fine dell’acquisizione del controllo sul soggetto passivo; la punibilità dell’istigazione, del favoreggiamento, del concorso e del tentativo di tratta; una specifica entità del trattamento sanzionatorio nonché una serie di circostanze aggravanti, la maggior parte delle quali qualificate dalle condizioni delle vittime; la responsabilità delle persone giuridiche; misure che consentano alle autorità degli Stati membri di sequestrare e confiscare gli strumenti ed i proventi derivanti dai reati di tratta.

La direttiva in esame affianca al diritto penale, nell'azione di prevenzione della tratta, strumenti di natura diversa. Essa, infatti, prescrive agli Stati membri di realizzare politiche di prevenzione attraverso l'organizzazione di campagne di sensibilizzazione, informazione, anche tramite internet ed in cooperazione con organizzazioni della società civile, volte a frenare la tratta e a ridurre il rischio di divenire vittime di tali fenomeni.

Al fine di verificare l'andamento del fenomeno della tratta e di valutare l'efficacia delle politiche preventive, anche attraverso la raccolta di dati statistici, la direttiva stabilisce l'istituzione da parte di ogni Stato membro di un relatore nazionale o di un'istituzione analoga (art. 19); mentre a livello europeo, con l'intento di assicurare un coordinamento delle autorità nazionali nell'azione di prevenzione, è previsa l'istituzione - in linea peraltro con le indicazioni del Programma di Stoccolma – della figura del Coordinatore anti-tratta, il quale contribuisce alla realizzazione della relazione biennale della Commissione in merito ai progressi compiuti nel contrasto alla tratta degli esseri umani (art. 20).
 

La direttiva contiene altresì disposizioni a carattere processuale dirette a potenziare l'azione di repressione degli autori dei reati di tratta anche perché, pur a fronte dell'incremento dello svolgimento di indagini e di processi per tratta, il numero dei casi perseguiti risulta limitato a fronte della reale entità del fenomeno e della quantità delle vittime.

Prima di tutto la direttiva svincola lo svolgimento delle indagini o l'esercizio dell'azione penale da una denuncia o accusa formale delle vittime (art. 9); allo stesso modo esclude che l'eventuale ritrattazione delle vittime determini l'interruzione del procedimento penale. Infatti, la subordinazione delle indagini o dell'esercizio dell'azione penale ad una dichiarazione della vittima, come pure l'interruzione del procedimento a causa della ritrattazione di quest'ultima, potrebbero ostacolare la repressione della tratta, giacché si riscontra spesso una scarsa collaborazione delle vittime con gli organi inquirenti a causa del timore di ritorsioni nei confronti, in specie, dei familiari rimasti in Patria.

In presenza di una vittima minorenne, ciascun Paese membro deve poi assicurare che il reato de qua, ancorché prescritto, possa essere perseguito per un congruo periodo di tempo dopo il raggiungimento della maggior età da parte di quest'ultima (art. 9, par. 2).

È inoltre imprescindibile la cooperazione tra le autorità di polizia e giudiziarie dei diversi Paesi interessati nella repressione della tratta: infatti, viene previsto che gli uffici incaricati delle indagini o dell'esercizio dell'azione penale abbiano a disposizione strumenti investigativi efficaci, come quelli utilizzati contro la criminalità organizzata e altri gravi reati (art. 9, par. 4).

La direttiva si preoccupa, altresì, adottando criteri diversificati, di estendere il più possibile la sussistenza della giurisdizione dei Paesi membri nel perseguimento degli autori della tratta.

Infine, l'ulteriore aspetto trattato dalla direttiva è rappresentato dalla tutela della vittima cui si dedica particolare attenzione: è accresciuta la sua tutela processuale e amministrativa.

Con riferimento alla tutela processuale, la direttiva non subordina l'instaurazione di un procedimento per il reato di tratta di esseri umani alla querela, denuncia o accusa formulata dalla persona offesa e prevede la continuazione del procedimento anche nel caso di ritrattazione di quest'ultima. Una novità significativa è poi rappresentata dalla predisposizione di specifici accorgimenti per prevenire i fenomeni di vittimizzazione secondaria e per preservare la sicurezza delle vittime.

Per quanto riguarda la tutela amministrativa, è prescritto agli Stati membri di assicurare alle vittime della tratta adeguate misure di assistenza e sostegno, fornite su base consensuale e informata, che deve essere parametrate alle loro esigenze specifiche.
E’ da sottolineare la scelta di non subordinare l'operatività degli strumenti di assistenza amministrativa alla volontà di collaborazione delle vittime che mostra l'intento del legislatore europeo di non utilizzare siffatti mezzi di tutela in una prospettiva repressiva e di aggravamento del conflitto autore/vittima, bensì di fare emergere una loro esclusiva natura solidaristica.

Altra novità è rappresentata dalla previsione di una protezione delle vittime non generalizzata, bensì modulata sulla base dei bisogni e delle necessità individuali delle stesse: gli Stati membri devono infatti «tener conto delle esigenze specifiche delle vittime, derivanti in particolare dall'eventuale stato di gravidanza, dallo stato di salute, da eventuali disabilità, disturbi mentali o psicologici, o dalla sottoposizione a gravi forme di violenza psicologica, fisica o sessuale» (art. 11, par. 7). Per di più, viene previsto che gli operatori destinati ad entrare in contatto con vittime della tratta siano adeguatamente formati, così da riconoscere facilmente le vittime di tali fatti e da rapportarsi con esse nel modo più opportuno (art. 18, par. 3).

A fronte di un fenomeno criminale particolarmente allarmante, in grado di violare la sicurezza e i diritti delle persone che ne sono vittime e di minacciare altresì la creazione di quello spazio di libertà, sicurezza e giustizia che rappresenta uno degli obiettivi dell’Unione europea, l’attuale quadro normativo è dotato di un apprezzabile idoneità repressiva in linea con le istanze sovranazionali.

In particolare, il contesto legislativo nazionale è caratterizzato da una progressiva stratificazione normativa nell’ambito della quale sono da individuare i seguenti provvedimenti: L. n. 146/06 («Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall'Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001»); L. n. 108/10 («Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani, fatta a Varsavia il 16 maggio 2005, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno»).

Lo stesso codice penale già contempla la tratta di donne e minori commessa all’estero (art. 537), la riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (art. 600), la tratta di persone (art. 601), l’acquisto e l’alienazione di schiavi (art. 602), la confisca (art. 600-septies), l’ipotesi del fatto commesso all’estero (art. 604). Senza trascurare come il D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, sulla responsabilità degli enti preveda la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche (art.25-quinquies).
Si è ritenuto tuttavia di novellare gli articoli 600 e 601 del codice penale in un’ottica di rafforzamento dello strumento punitivo, conformemente al tenore della direttiva, facendo in modo che nessuna delle possibili manifestazioni della tratta di esseri umani possa sfuggire alla repressione penale. 

Per questo motivo all’art. 600 del codice penale è stato aggiunto, fra le attività cui può essere costretta la vittima di tratta, il prelievo di organi e qualunque prestazione illecita.

Inoltre, al primo comma dell’art. 601 del codice penale, si è operata una specificazione delle condotte attraverso le quali si realizza la tratta, includendovi, in aderenza alla direttiva, il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’accoglienza e la cessione d’autorità sulla vittima.

E’ stato, inoltre, introdotto un secondo comma nel quale si prevede, in attuazione di una specifica disposizione della direttiva, che, nell’ipotesi in cui la vittima della tratta sia una persona minore d’età, ricorre l’ipotesi di reato anche se lo stesso non è compiuto con le modalità previste nel primo comma (frode, inganno, minaccia, dazione di denaro, etc.).

La novella apportata all’articolo 398 del codice di procedura penale nasce dall’esigenza di estendere, in sede di esame, la tutela prevista per le vittime minori di età o maggiori di età, ma inferme di mente, a tutte le vittime maggiorenni in condizione di particolare vulnerabilità, richiamando la disposizione recentemente introdotta con il decreto legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito con modificazioni dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119.

Nella specie, è previsto che il giudice assicuri che l'esame venga condotto anche tenendo conto della particolare vulnerabilità della persona offesa, desunta anche dal tipo di reato per cui si procede, e che, ove ritenuto opportuno, disponga, a richiesta della persona offesa o del suo difensore, l'adozione di modalità protette (a titolo esemplificativo, il vetro divisorio). 

Gli artt. 4, 5 e 10, comma 2, rispondono all’esigenza sopra esposta di un rafforzamento della tutela delle vittime anche attraverso la previsione di una adeguata informazione sui loro diritti nonché attraverso percorsi formativi nei confronti degli operatori che entrano in contatto con le stesse.

Quanto alle vittime minori di età non accompagnati si rimanda ad una fonte regolamentare la definizione dei meccanismi per la determinazione dell’età e per la loro identificazione.

Con l’art. 6 si è inteso colmare l’ulteriore lacuna del nostro sistema in relazione all’art. 17 della direttiva che prevede: “gli Stati membri provvedono affinché le vittime della tratta di esseri umani abbiano accesso ai sistemi vigenti di risarcimento delle vittime di reati dolosi violenti”.

In proposito, si è operato un intervento sull’art. 12 della legge 11 agosto 2003, n. 228 estendendo le finalità cui è attualmente destinato il Fondo per le misure anti-tratta anche all’indennizzo delle vittime dei reati di tratta, elencati nel successivo comma 3. La novella si è resa necessaria in quanto, allo stato, il nostro ordinamento non contempla un sistema generalizzato di indennizzo a favore delle vittime dei reati intenzionali violenti, esistendo soltanto diversi Fondi, istituiti ex lege, a fini indennitari-risarcitori solo per specifiche categorie di vittime di talune predeterminate fattispecie di reato (mafia e terrorismo; usura; estorsione, Uno bianca… ).

La disposizione introdotta, coerente con l’attuale impostazione, rende operativo a fini di indennizzo il suddetto Fondo anti-tratta alimentato con i proventi derivanti dalla confisca dei beni a seguito di sentenza di condanna penale. Sono previste una serie di condizioni per l’accesso al Fondo al fine di garantire che il sistema pubblico di indennizzo sia sostenibile ed intervenga solo a favore di coloro che effettivamente non possono ottenere ristoro dai responsabili del reato: questo allo scopo di impiegare effettivamente le limitate risorse finanziarie per le finalità imposte dalla direttiva, prevenendo eventuali indebite elargizioni che, esaurendo le disponibilità economiche, inevitabilmente pregiudicherebbero i reali aventi diritto. Il diritto all’indennizzo, tuttavia, è riconosciuto anche nei casi in cui sia rimasto ignoto l’autore del reato. In tali ipotesi per l’interessato sarà necessario allegare alla domanda il provvedimento di archiviazione intervenuta “perché ignoto l’autore del reato”.

Si è ritenuto di inserire il requisito di accesso al Fondo rappresentato dai “… limiti delle disponibilità finanziarie annuali” dello stesso, mutuato dall’art. 4 della legge 22 dicembre 1999, n. 512, sulla istituzione del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso. Tuttavia, si è inserita la previsione secondo la quale «in caso di insufficienza delle disponibilità finanziarie annuali del Fondo, le richieste di indennizzo accolte e non soddisfatte sono poste a carico del successivo esercizio finanziario ed hanno precedenza rispetto alle richieste presentate nel medesimo esercizio».

La previsione di un ristoro liquidato in misura fissa, nonostante si sia in presenza di un diritto soggettivo, si giustifica in quanto, a differenza dei reati che arrecano un danno alla integrità della persona modulabile in ragione della natura e  gravità delle lesioni subite, nel caso della tratta, non essendo applicabili i criteri in materia di invalidità, si riconosce un ristoro per il quale sussiste difficoltà di rinvenire un parametro cui commisurare l’entità dell’indennizzo; senza trascurare che l’eventuale previsione di un limite minimo e massimo di indennizzo introdurrebbe una discrezionalità non ancorata ad alcun criterio predeterminato, nonché un appesantimento della relativa procedura di liquidazione con inevitabili oneri aggiuntivi per l’amministrazione.  

L’art. 7 recepisce la disposizione di cui all’articolo 19 della direttiva prevedendo in capo al Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri compiti di indirizzo, coordinamento, monitoraggio in materia di tratta degli esseri umani.

Tale Dipartimento rappresenterà il punto di contatto per il coordinatore anti tratta dell’Unione europea al quale presenterà una relazione biennale contenente i risultati del monitoraggio svolto anche attraverso la raccolta di dati statistici in collaborazione con altre amministrazioni competenti e con organizzazioni della società civile.

Gli artt. 8 e 9 corrispondono all’esigenza di rendere più coordinata ed efficace l’azione di prevenzione e contrasto del fenomeno della tratta e di assistenza e integrazione delle vittime.

In particolare, l’art. 8, aggiungendo un comma all’art. 18 del decreto legislativo n. 286 del 1998, stabilisce che nei confronti delle vittime della tratta sia definito, con decreto del Ministro con delega alle pari opportunità, di concerto con il Ministro dell’interno e del lavoro e delle politiche sociali, un programma unico di emersione, assistenza ed integrazione sociale delle stesse.

L’art. 9, intervenendo sull’art. 13 della legge n. 228 del 2003, prevede invece che, con delibera del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro con delega alle pari opportunità e del Ministro dell’interno, ognuno negli ambiti di rispettiva competenza, sia adottato un Piano nazionale d’azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani, al fine di individuare strategie pluriennali di intervento per la prevenzione e per il contrasto di tali fenomeni.

L’art. 10 prevede disposizioni in tema di coordinamento tra le attività istituzionali delle amministrazioni che si occupano di tutela e assistenza delle vittime di tratta nonché tra la Commissione di cui all’art. 32 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, e il Questore. 

Dopo la approvazione preliminare da parte del Consiglio dei ministri nella seduta del 3 dicembre 2013, il testo è stato sottoposto all’esame della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano e delle competenti Commissioni parlamentari che si sono espresse come di seguito illustrato.

La Conferenza Unificata ha approvato il testo con osservazioni.

  1. In particolare,sono stati accolti i rilievi circa l’opportunità del coinvolgimento del Ministro della salute sia nella procedura per la determinazione della minore età dei minori non accompagnati, di cui all’articolo 4, sia nella definizione del programma di emersione, assistenza e protezione sociale di cui all’articolo 8;
  2. inoltre, la Conferenza ha proposto di istituire uno specifico Fondo per l’indennizzo delle vittime dei reati di tratta stante l’esiguità delle risorse di quello esistente ai sensi della legge n. 228/2003.
    In proposito, si evidenzia che tale osservazione appare generica e rischia di ritardare ulteriormente il recepimento della direttiva.

    Da ricordare, infatti, che in relazione alla suddetta direttiva è già stata di recente aperta dalla Commissione europea una procedura di infrazione (2013/0228) per mancato recepimento.

    Per quanto attiene al profilo della asserita esiguità delle risorse del Fondo, è da rilevare come esista un apposito capitolo di entrata nel bilancio dello Stato (n. 3322/01), denominato "Proventi delle confische da destinare al Fondo per le misure anti-tratta", ove vengono iscritte, in entrata, le somme destinate a tale Fondo. Relativamente all'anno 2012 risulta registrato un versamento complessivo di 242.022 euro.

    Pertanto, non si ritiene di accogliere tale osservazione;
  3. prevedere l’istituzione di un tavolo tecnico permanente con i Ministeri competenti, la Conferenza delle Regioni, ANCI, UPI ai fini della definizione del programma di emersione, assistenza e di protezione sociale e del Piano Nazionale.
    In proposito si osserva come l’istituzione di un nuovo organo collegiale  non sia compatibile con la necessità della revisione della spesa pubblica. Rientra nelle modalità operative del dipartimento delle pari opportunità la collaborazione permanente con la società civile senza la formalizzazionedella costituzione di un nuovo organo collegiale.Pertanto, non si ritiene di accogliere tale osservazione.

La 2° Commissione permanente - Giustizia – del Senato ha approvato il testo con le seguenti osservazioni:

  1. viene espressa perplessità sulla modifica apportata all’art. 600 c.p. con l’aggiunta  della previsione “sul compimento di attività illecite”.
    In proposito si osserva come all’articolo 600 c.p.siano state aggiunte, fra le prestazioni cui può essere costretta la vittima di tratta,le “attività illecite” in un’ottica di rafforzamento dello strumento punitivo, conformemente al tenore della direttiva (vedi art. 2, par. 3, “sfruttamento di attività illecite”).  Pertanto, non si ritiene di accogliere tale osservazione;
  2. viene suggerito di adottare un decreto di natura non regolamentare con cui determinare le modalità di assegnazione dei proventi delle confische al Fondo anti-tratta.
    In proposito, si evidenzia che la destinazione dei proventi delle confische al Fondo anti-tratta è già garantita dall’articolo 12, comma 3, della legge n. 228 del 2003 che stabilisce espressamente che il Fondo è alimentato “dalle somme stanziate dall'articolo 18 del TU di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286,  nonché dai proventi della confisca ordinata in seguito alla sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti per uno dei delitti previsti dagli articoli  416, 6° comma, 600, 601, 602 c.p. e i proventi della confisca ordinata, per gli stessi delitti, ai sensi dell’art. 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, e successive modificazioni…”.

    Non si ritiene, pertanto, necessario prevedere altre disposizioni normative per la destinazione di detti beni e, quindi, non si reputa di accogliere tale osservazione.
  1. vengono espresse perplessità in merito alla previsione di un programma unico di emersione, assistenza e integrazione sociale ai sensi dell’articolo 18 del testo unico in tema di immigrazione, come modificato con l’aggiunta del comma 3-bis.
    Sul punto è opportuno precisare che l’articolo 13 della legge n. 228 del 2003 e l’articolo 18 del d.lgs. n. 286 del 1998 sono gli strumenti attualmente vigenti attraverso i quali il nostro ordinamento giuridico garantisce un aiuto e un sostegno alle vittime di reati quali lo sfruttamento della prostituzione, la riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù e la tratta di persone.

    In particolare, l’articolo 13 della legge n. 228 del 2003 prevede la realizzazione di un programma di assistenza che garantisce, in via transitoria, adeguate condizioni di alloggio, vitto e assistenza alle vittime dei reati previsti dagli articoli 600 e 601 del codice penale, mentre l’articolo 18 del d.lgs. n. 286 del 1998 è finalizzato a garantire alle vittime un’assistenza più stabile e prolungata nel tempo.

    Premesso quanto sopra, tenuto conto che la direttiva 2011/36/UE, al considerando n. 2, sottolinea l’importanza di sviluppare un’adeguata legislazione per contrastare la tratta e che, al considerando 7, afferma che i principali obiettivi della citata direttiva sono una più rigorosa prevenzione e protezione dei diritti delle vittime, considerato, altresì, che l’esperienza del  Dipartimento delle pari opportunità ha dimostrato che i programmi di assistenza di cui ai citati articoli 13 e 18  non sono nettamente distinti ma si concretizzano in interventi sovrapponibili, si è ritenuto opportuno - in linea con i contenuti della direttiva 2011/36/UE - prevedere un programma unico di emersione volto a garantire e a migliorare la protezione e la tutela delle vittime di tratta. Pertanto, non si reputa di accogliere tale osservazione;

La 14° Commissione permanente (Politiche dell’Unione europea) del Senato ha approvato il testo con i seguenti rilievi:

  1. si accoglie il rilievo della Commissione relativa alla opportunità di prevedere la clausola di salvaguardia che lasci impregiudicato il principio di non respingimento, conformemente alla Convenzione di Ginevra del 1951, al Protocollo del 1967 relativo allo status di rifugiati e al criterio direttivo indicato alla lettera a) dell’articolo 5 della legge di delegazione europea 2013;
    in merito al rilievo della opportunità di prevedere specifiche forme di meccanismo di coordinamento fra i sistemi di tutela delle vittime di tratta e le procedure per il riconoscimento di protezione internazionale, si fa presente che il raccordo tra le tutela per le vittime di tratta e le procedure per il riconoscimento della protezione internazionale è previsto dall’articolo 10, comma 1, dello schema di decreto legislativo in esame, laddove, infatti, prevede  che “Le Amministrazioni che si occupano di tutela e assistenza delle vittime di tratta e quelle che hanno competenza in materia di asilo individuano misure di coordinamento tra le attività istituzionali di rispettiva competenza, anche al fine di determinare meccanismi di rinvio, qualora necessari, tra i due strumenti di tutela”.Pertanto, non si reputa di accogliere tale rilievo.

La V Commissione permanente (Bilancio) della Camera ha approvato il testo con il seguente rilievo:venga precisato nell’articolo 6 che, in caso di esaurimento delle risorse nel corso di un esercizio finanziario, le richieste di indennizzo rimaste inevase siano poste a carico dell'esercizio successivo, assicurando ad esse precedenza rispetto alle domande presentate nel medesimo esercizio.

In accoglimento del rilievo sopraindicato è stato integrato il citato articolo.

La II Commissione (Giustizia) della Camera ha approvato il testo alle seguenti condizioni:

  1. introdurre specifiche circostanze aggravanti per i casi in cui la vittima si trovi in condizioni di vulnerabilità (ovvero tutte le circostanze elencate nel Considerando n. 12 della direttiva).
    In proposito, si osserva che l’articolo 602-ter c.p. già prevede le circostanze aggravanti richiamate dal Considerando n. 12 della direttiva e, in ogni caso, è applicabile la circostanza aggravante “di chiusura” contenuta nell’articolo 61, n. 5, c.p.Pertanto, non si ritiene di accogliere tale condizione;
  2. prevedere che il consenso della vittima sia irrilevante in presenza di uno dei mezzi di coercizione indicati nello stesso articolo e prevedere che, nel caso di vittime minori, la condotta sia punita come reato anche in assenza di metodi coercitivi.
    In proposito, si osserva che, in base all’art. 50 c.p., il consenso dell’avente diritto scrimina solo con riferimento ad un diritto di cui si possa validamente disporre. Inoltre, l’art. 5 c.c. vieta “atti di disposizione del proprio corpo… quando cagionino una diminuzione permanente all’integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume”. Di conseguenza il consenso del titolare del diritto scrimina solo con riferimento a beni disponibili; ebbene, il diritto alla vita è assolutamente indisponibile e i diritti della libertà personale, dell’onore, della dignità non sono disponibili in caso di distruzione, menomazioni irrevocabili o così gravi da sacrificare o svuotare di contenuto il diritto stesso (come nel caso di riduzione in schiavitù).

    Nel caso di vittime minori la direttiva è stata espressamente recepita in sede di riformulazione dell’art. 601 c.p. (vedi 2° comma).

    Pertanto, non si ritiene di accogliere tale condizione;
  3. prevedere che la condizione di particolare vulnerabilità possa essere desunta non solo dal tipo di reato, ma anche dalla modalità del fatto per cui si procede.
    In proposito, si osserva che la modifica apportata all’articolo 398 c.p.p (con l’art. 3 del presente decreto legislativo) è coerente con la disposizione recentemente introdotta tramite il D.L. n. 93 del 2013 (convertito dalla L. n. 219 del 2013), recante “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province” (vedi, infatti, l’art. 498, comma 4-quater, c.p.p.).  Per esigenze di sistematicità, pertanto, non si ritiene di accogliere tale condizione;
  4. prevedere l’accesso al patrocinio a spese dello Stato delle vittime straniere senza la necessità della certificazione della autorità consolare del Paese di origine.
    Si ritiene che la modifica nel senso prospettato creerebbe una disparità di trattamento per l’accesso al beneficio tra il cittadino e lo straniero. Per il cittadino, infatti, gli artt. 5, 6 e 10 del d.P.R. n. 115 del 2002 dettano una disciplina assai rigorosa che si accompagna all’autocertificazione, invece nulla di tutto ciò sarebbe previsto per lo straniero per il quale sarebbe sufficiente la sola autocertificazione. Sul punto si richiama una pronuncia della Corte Costituzionale (n. 219 del 1995)che ha accolto una questione di legittimità costituzionale relativa alla legge sul patrocinio a spese dello Stato proprio sotto tale profilo, evidenziando come il legislatore non possa rinunciare solo per lo straniero a prevedere una qualche verifica e controllo. Per effetto di tale pronuncia, infatti, l’autorità consolare non può più limitarsi a raffrontare l’autocertificazione con i dati conoscitivi di cui eventualmente disponga, ma ha l’onere di verificare nel merito il contenuto dell’autocertificazione indicando gli accertamenti eseguiti.  Pertanto, non si ritiene di accogliere tale condizione;
  5.  a. prevedere che, in caso di incertezza sull’età minore della vittima di tratta, detta persona sia considerata minore, al fine di ottenere accesso immediato all’assistenza, al sostegno e alla protezione e che, al tal fine, venga immediatamente avvisata la Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni.
    Tale condizione è stata recepita con integrazione dell’articolo 4. Si ricorda, peraltro, che l’articolo 609-decies c.p. prevede  anche per i delitti in materia di tratta, la comunicazione al Tribunale dei minori ogni volta in cui vittima sia un soggetto minore di età;

    b. disciplinare la procedura multidisciplinare di determinazione dell’età.Si tratta di una proposta già accolta nella formulazione originaria dell’articolo 4. Pertanto, non si ritiene di accogliere tale condizione;

    c. prevedere che sino a quando l’interessato non sia identificato, la minore età deve essere presunta al fine di applicare la relativa disciplina. Tale condizione è stata recepita con integrazione dell’articolo 4;

    d. prevedere che nel caso in cui l’età anagrafica stimata sia compatibile con la minore età, non siano da effettuare ulteriori esami. Tale condizione è stata recepita con integrazione dell’articolo 4;

    e. prevedere che l’accertamento dell’età si svolga sulla base di un protocollo multidisciplinare , con rispetto della volontà del minore. Si tratta di una proposta già accolta nella formulazione originaria dell’articolo 4. Pertanto, non si ritiene di accogliere tale condizione;

    f. prevedere che ogni Regione comunichi al Ministero della salute, dell’interno e della giustizia, nonché alle autorità giudiziarie i centri medici specializzati competenti ad effettuare le perizie per l’accertamento dell’età. Non si ritiene che lo strumento normativo in esame sia quello più idoneo per una comunicazione di dettaglio di cui sopra. Pertanto, non si ritiene di accogliere tale condizione;

    g. rinviare la normativa di dettaglio in materia di accertamento della minore età ad un decreto del Ministero della salute. Non si ritiene necessaria un’ulteriore normativa di dettaglio che si aggiunga ai protocolli utilizzati per le attività medico-sanitarie in tema di accertamento della minore età. Pertanto, non si ritiene di accogliere tale condizione;
  6.  prevedere che le associazioni maggiormente rappresentative nella tutela e assistenza delle vittime siano coinvolte nei moduli formativi.
    Si ritiene che elencare alcune categorie professionali potrebbe comportare il rischiodi escluderne altre. Si consideri, altresì, che comunque ogni categoria già provvede alla propria formazione nel settore in esame. Pertanto, non si ritiene di accogliere tale condizione;
  7. riformulare l’articolo 6 sotto i seguenti profili:
    1. onsiderata la previsione della clausola di invarianza appare di difficile attuazione il sistema di risarcimento proposto;
    2. l’importo di 1.500 euro di indennizzo appare estremamente esiguo;
    3. l’entità dell’indennizzo non dovrebbe essere determinata in misura fissa;
    4. il termine di decadenza di un anno per la presentazione della domanda di accesso al Fondo non appare compatibile con i tempi lunghi della giustizia civile;
    5. ricomprendere fra i presupposti della richiesta anche le sentenze di assoluzione dalle quali risulti comunque la sussistenza del reato (prescrizione, immunità, assenza dell’elemento soggettivo).
      a 1.) Si ritiene superabile l’obiezione sulla clausola di invarianza, peraltro contenuta nella legge delega n. 96 del 2013 (articolo 5), perché – come suggerito dalla stessa Ragioneria Generale dello Stato – sarebbe compatibile con uno spostamento o storno a fini indennitari di risorse finanziarie già stanziate. Il Fondo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri viene alimentato ogni anno e, quindi, nel caso di esaurimento delle risorse, nel corso di un esercizio finanziario, gli aventi diritto all’indennizzo potranno essere soddisfatti con le disponibilità dell’esercizio successivo. Pertanto, non si ritiene di accogliere tale condizione;

      b 2.) si osserva che l’intervento dello Stato, in presenza dei presupposti indicati nella direttiva, risulta essere esclusivamente a fini di indennizzo e non di risarcimento del danno, da parametrarsi, viceversa, sulla entità della lesione. La quantificazione dell’importo rappresenta il risultato di un bilanciamento fra risorse finanziarie disponibili ed esigenza di garantire un ristoro alle vittime. Pertanto, non si ritiene di accogliere tale condizione;

      c 3.)  la circostanza che il ristoro sia liquidato in misura fissa, nonostante si sia in presenza di un diritto soggettivo, si giustifica in quanto, a differenza dei reati che arrecano un danno alla integrità della persona, modulabile in ragione della natura e del grado di gravità delle lesioni, nel caso della tratta si intende attribuire un ristoro in relazione al quale sussiste difficoltà di rinvenire un parametro cui commisurare l’entità dell’indennizzo, non essendo applicabili i criteri in materia di invalidità; senza trascurare che l’eventuale previsione di un limite minimo e massimo di indennizzo comporterebbe il riconoscimento di una discrezionalità non ancorata ad alcun parametro predeterminato nonché un appesantimento della relativa procedura di liquidazione con inevitabili oneri aggiuntivi per l’amministrazione. Pertanto, non si ritiene di accogliere tale condizione;  

      d 4.) il termine di decadenza per la presentazione della domanda di accesso al Fondo viene aumentato da uno a cinque anni, tenuto conto dei tempi di ragionevole durata del processo.
      È stata, pertanto, accolta la condizione rappresentata;

      e 5.) non è stata ricompresa fra i presupposti della richiesta anche la sentenza di assoluzioneper motivi diversi dalla non sussistenza del fatto e dalla estraneità dell’imputato dalla commissione dello stesso in considerazione della circostanza secondo cui l’accesso al Fondo è ancorato al riconoscimento del diritto al risarcimento del danno. La sentenza di assoluzione non comporta il riconoscimento di tale diritto, ma consente, tuttavia, all’interessato, nei casi menzionati, di adire il giudice civile ai fini del riconoscimento dello stesso. 
      Inoltre, si è operatoin analogia con la disciplina prevista dalla L. n. 512 del 1999 (artt. 4 e 5) sulla istituzione del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, in relazione alla quale non risultano essere state sollevate censure.
      Una diversa disciplina creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento per situazioni di analoga rilevanza.
      Pertanto, non si ritiene di accogliere tale condizione;
  8. a. prevedere la modifica dell’articolo 18 del testo unico in materia di immigrazione, introducendo la facoltatività delle denuncia della vittima ai fini del rilascio del permesso di soggiorno.
    In proposito si rileva che i principi di delegazione legislativa recati dall'art. 5 della legge n.96 del 2013 non autorizzano l'introduzione di tale previsione, nell'evidente considerazione che il nostro ordinamento già recepisce questa soluzione all'art. 27 del regolamento di cui al D.P.R. n. 394 del 1999, fonte "naturale" per la disciplina dei presupposti di dettaglio per il rilascio dei titoli di soggiorno. Pertanto, non si ritiene di accogliere tale condizione;

    b. prevedere che il programma di assistenza sia garantito anche a coloro per i quali vi sia un ragionevole motivo per ritenere che siano stati vittime di uno dei reati di cui agli articoli 600, 601 e 602 del codice penale;
    Non si ritiene di accogliere tale condizione: vedi sub. c);

    c. prevedere che sia introdotta una norma nel decreto legislativo n. 286 del 1998 che stabilisca che il respingimento o l’esecuzione dell’espulsione di persone per cui vi sia ragionevole motivo di ritenere che siano vittime di uno dei reati di cui agli articoli 600, 601 e 602 del codice penale o comunque di una situazione di grave sfruttamento, resti sospeso fino a che non sia accertata l’eventuale sussistenza dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno di cui all’articolo 18 del decreto legislativo n. 286/98.
    In proposito, occorre premettere che il titolo di soggiorno in questione viene rilasciato dal Questore alle vittime della tratta:
    • su proposta dei servizi sociali degli enti locali o di enti del privato sociale iscritti in un apposito registro e convenzionati con l'ente locale;
    • su proposta del Procuratore della Repubblica nel caso in cui sia iniziato un procedimento penale in relazione a fatti di violenza o di grave sfruttamento;
    • di propria iniziativa.

Da quanto sopra, emerge come la determinazione dello stato di "vittima di tratta" prescinda dall'accertamento processuale. In ogni caso si evidenzia che la procedura finalizzata al rilascio del permesso di soggiorno prevede che la ricevuta della presentazione della relativa domanda legittima lo straniero a permanere nel territorio dello Stato fino all'adozione del provvedimento finale.
Non vi è la necessità di una norma quale quella auspicata dalla Commissione parlamentare, la quale, peraltro, rischierebbe di introdurre un regime meno vantaggioso per lo straniero vittima di tratta. Pertanto, non si ritiene di accogliere le condizioni di cui sopra;  

La II Commissione (Giustizia) della Camera ha, inoltre, formulato le seguenti osservazioni:

  1. valutare l’opportunità di estendere la disciplina sull’accertamento della minore età anche alle ipotesi indicate dall’articolo 349 c.p.p. e in qualsiasi altro tipo di procedimento amministrativo o giudiziario in cui sia necessario l’accertamento dell’età della persona straniera o apolide coinvolta; in proposito si rileva che i principi di delegazione legislativa recati dall'art. 5 della legge n. 96 del 2013 non autorizzano l'introduzione di tale previsione. Pertanto, non si ritiene di accogliere tale osservazione;  
     
  2. a. valutare l’opportunità di istituire presso ogni Commissione territoriale una sezione specializzata nell’ascolto dei minori stranieri non accompagnati richiedenti protezione internazionale.
    In proposito si rileva che i principi di delegazione legislativa recati dall'art. 5 della legge n.96 del 2013 non autorizzano l'introduzione di tale previsione. Pertanto, non si ritiene di accogliere tale osservazione;  

    b., c., d. valutare l’opportunità di modificare gli articoli 13, 16, 26 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25. In proposito si rileva che i principi di delegazione legislativa recati dall'art. 5 della legge n.96 del 2013 non autorizzano l'introduzione di tale previsione. Pertanto, non si ritiene di accogliere tale osservazione;  
  3. valutare l’opportunità di prevedere come indipendente il meccanismo equivalente di cui all’articolo 7.
    Si osserva che il Dipartimento per le pari opportunità, a seguito del riordino degli organismi collegialida ultimo operato dall’articolo 12, comma 20, del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95,  rappresenta il punto di contatto con la Commissione Europea; in qualità di Meccanismo equivalente si avvarrà di un adeguato sistema di monitoraggio posto in essere anche attraverso la raccolta di dati statistici effettuata in collaborazione con le altre Amministrazioni competenti e con le organizzazioni della società civile attive nel settore. 
    Il sistema sarà implementato attraverso una convenzione/accordo con l’Istituto Nazionale di Statistica che, come è noto, opera in piena autonomia e in continua interazione con il mondo accademico e scientifico. Si utilizzeranno, pertanto, nella stesura della relazione al coordinatore anti-tratta dell’Unione europea, tutti i più rigorosi principi etico-professionali e i più avanzati standard scientifici-metodologici anche in stretta connessione con il Sistema Nazionale Statistico (SISTAN). Pertanto, non si ritiene di accogliere tale osservazione;  
  4. valutare l’opportunità di un coinvolgimento delle associazioni maggiormente rappresentative nella tutela e assistenza delle vittime di tratta nel lavoro di redazione del piano nazionale di azione contro la tratta.
    Si evidenzia che il Dipartimento per le pari opportunità da sempre attua consultazioni con il mondo dell’associazionismo ed, in particolare, per quanto riguarda il lavoro di predisposizione del Piano nazionale d’azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani, tale struttura ha già coinvolto le associazioni maggiormente rappresentative nella tutela e assistenza delle vittime di tratta. Pertanto, non si ritiene di accogliere tale osservazione;  
  5. valutare la compatibilità con i criteri di delega della previsione contenuta nell’articolo 10, comma 1, che rimanda l’individuazione delle misure di coordinamento dei sistemi di tutela delle vittime di tratta e in materia di asilo, alle Amministrazioni coinvolte e non al Governo.
    Si osserva come la previsione di cui all’articolo 10 appaia perfettamente compatibile con i criteri di delega dell’articolo 5, lett. b) legge n. 93 del 2013, posto che è evidente, ai fini del coordinamento degli interventi mirati in materia di tratta, la necessità di coinvolgere le articolazioni del Governo specificatamente competenti, ma comunque operanti nell’ambito dell’indirizzo generale del Governo stesso. Pertanto, non si ritiene di accogliere tale osservazione;  
  6. Specificare all’articolo 10, comma 2, le modalità con cui le informazioni devono essere fornite e i soggetti cui spetta detto onere.
    La mancata indicazione specifica delle modalità con cui rendere le informazioni di cui all’articolo 10 risponde all’esigenza di perseguire l’obiettivo di assicurare un servizio idoneo rispetto a tutti i possibili diversi destinatari, scongiurando il rischio che una indicazione casistica e puntuale possa rilevarsi inadeguata. Pertanto, non si ritiene di accogliere tale osservazione