Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 4 novembre 2014 - Ricorso n. 23066/07 - Giardiello c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da Rita Carnevali, assistente linguistico. Revisione a cura della dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court's database HUDOC.
 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 23066/07

Elio e Mario GIARDIELLO

contro l’Italia


La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita il 4 novembre 2014 in un comitato composto da:
András Sajó, presidente,
Helen Keller,
Robert Spano, giudici,
e da Abel Campos, cancelliere aggiunto di sezione,
Visto il ricorso sopra menzionato presentato il 25 maggio 2007,
Dopo aver deliberato, pronuncia la seguente decisione:

IN FATTO

1. I ricorrenti, sigg. Elio e Mario Giardiello, sono due cittadini italiani nati rispettivamente nel 1933 e nel 1926 e residenti a Nettuno e a Fabriano. Dinanzi alla Corte sono stati rappresentati dall’avvocato S. de Nigris de Maria, del foro di Benevento.

2. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo coagente, P. Accardo.

A. Le circostanze del caso di specie

3. I fatti di causa, così come sono stati esposti dalle parti, possono riassumersi come segue.

4. I ricorrenti erano proprietari di un terreno di 6.000 metri quadrati situato a Benevento. In una data non precisata, la società ferroviaria approvò il progetto di sistemazione di una parte della rete ferroviaria.

5. Con decreto del 18 maggio 1988, il Prefetto di Benevento autorizzò il consorzio CO.FER.I ad occupare d’urgenza una parte del terreno dei ricorrenti, ossia 1.580 metri quadrati, per un periodo massimo di cinque anni, in vista della sua espropriazione per causa di pubblica utilità, al fine di procedere ai suddetti lavori di sistemazione.

6. L’occupazione materiale ebbe luogo il 30 giugno 1988.

7. Con un secondo decreto dell’8 gennaio 1991, il Prefetto autorizzò il consorzio ad occupare un’altra parte del terreno dei ricorrenti. L’occupazione materiale ebbe luogo il 30 gennaio 1991.
Con decreto del 10 agosto 1996, il Prefetto di Benevento autorizzò l’espropriazione delle parti del terreno che erano già state occupate.

Il 5 febbraio 1997 i ricorrenti si rivolsero al tribunale di Benevento avviando un’azione di risarcimento nei confronti del consorzio e della società ferroviaria. Essi sostenevano che i lavori di costruzione erano terminati senza che fosse stata seguita una procedura formale di espropriazione del terreno e senza il pagamento di una indennità. Reclamavano una somma corrispondente al valore venale del terreno e una indennità di occupazione.

8. Il tribunale dispose una perizia. Nella relazione, il perito stimò che il valore venale del bene nel 1989 era di 65.000 ITL/m².

9. Con sentenza del 14 dicembre 2001, il tribunale constatò che il terreno era stato irreversibilmente trasformato nel 1989. Di conseguenza, conformemente al principio dell’espropriazione indiretta, i ricorrenti erano stati privati del loro bene per effetto della trasformazione irreversibile di quest’ultimo. Il tribunale, applicando la legge n. 662 del 1996, condannò il consorzio e la società ferroviaria a pagare ai ricorrenti la somma complessiva di 143.652063 ITL (74.190 EUR circa) a titolo di risarcimento danni per la perdita della proprietà.

10. Il 5 aprile 2002 il consorzio interpose appello.

11. Il 23 aprile 2002 il consorzio pagò ai ricorrenti la somma di 97.382,28 EUR.

12. Con sentenza del 6 marzo 2004, la corte d’appello accolse parzialmente l’appello del consorzio osservando che una parte del terreno era stata legittimamente espropriata e condannando il consorzio e la società ferroviaria a pagare ai ricorrenti 22.976,65 EUR più gli interessi a decorrere dal 10 agosto 1986 nonché 4.150,90 EUR a titolo di indennità di occupazione.

13. I ricorrenti presentarono un ricorso volto alla revoca della sentenza della corte d’appello dinanzi ad un’altra sezione della stessa corte di merito. Con sentenza del 1° settembre 2006, la corte d’appello dichiarò inammissibile il ricorso dei ricorrenti.

14. Il 17 marzo 2007 i ricorrenti proposero ricorso per cassazione.

15. Con sentenza del 10 ottobre 2009, la Corte di cassazione rinviò l’esame della causa alla corte d’appello di Napoli in quanto quest’ultima aveva considerato che una parte del terreno era stata legittimamente espropriata, mentre la trasformazione irreversibile dello stesso aveva avuto luogo senza un decreto formale di espropriazione.

16. Con sentenza del 21 febbraio 2014, la corte d’appello di Napoli, dopo aver considerato che l’intero terreno era stato irreversibilmente trasformato, constatò che alla luce delle sentenze nn. 348 e 349 del 2007 della Corte Costituzionale, che dichiaravano l’incostituzionalità dell’articolo 5 bis del decreto-legge n. 333 dell’11 luglio 1992, come modificato dalla legge n. 662 del 1996, il risarcimento doveva avere valore equivalente al valore venale del terreno espropriato.

17. Di conseguenza, basandosi sulla perizia depositata nel corso del procedimento dinanzi al tribunale (§ 8 supra), condannò il consorzio e la società ferroviaria a pagare ai ricorrenti 96.006,15 EUR a titolo di danno materiale per la perdita del terreno nonché 2.145,16 EUR per il danno materiale subito a seguito della impossibilità di utilizzare il terreno, più interessi e rivalutazione.

B. Il diritto e la prassi interni pertinenti

18. Il diritto pertinente è descritto nella sentenza Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, 22 dicembre 2009 (§§ 16-48).

19. In particolare, per quanto riguarda gli ultimi sviluppi intervenuti nel diritto interno, la Corte nota che con le sentenze nn. 348 e 349 del 22 ottobre 2007, la Corte costituzionale ha dichiarato che la legge interna deve essere compatibile con la Convenzione nell’interpretazione data dalla giurisprudenza della Corte e, di conseguenza, ha dichiarato incostituzionale l’articolo 5 bis del decreto-legge n. 333 dell’11 luglio 1992, così come modificato dalla legge n. 662 del 1996.

20. La Corte costituzionale, nella sentenza n. 349, ha rilevato che l’insufficiente entità dell’indennizzo previsto dalla legge del 1996 era contraria all’articolo 1 del Protocollo n. 1 e di conseguenza all’articolo 117 della Costituzione italiana, il quale prevede il rispetto degli obblighi internazionali. Dopo questa sentenza, detta disposizione di legge non può più essere applicata nel quadro delle procedure nazionali ancora pendenti.

21. In seguito alle sentenze della Corte costituzionale, sono intervenute alcune modifiche legislative nel diritto interno. L’articolo 2/89 e) della legge finanziaria n. 244 del 2007 ha stabilito che, nel caso di espropriazione indiretta, il risarcimento deve corrispondere al valore venale dei beni, non essendo ammessa alcuna riduzione.

22. Tale disposizione si applica a tutti i procedimenti pendenti al 1° gennaio 2008, ad eccezione di quelli in cui la decisione sull’indennità di espropriazione o sul risarcimento sia stata accettata o sia divenuta definitiva.

MOTIVI DI RICORSO

23. Invocando l’articolo 1 del Protocollo n. 1, i ricorrenti lamentano di essere stati privati del loro terreno in maniera incompatibile con il diritto al rispetto dei loro beni.

24. Invocando gli articoli 1 del Protocollo n. 1 e 6 § 1 della Convenzione, i ricorrenti lamentano la riduzione dell’importo dell’indennità di espropriazione in ragione dell’applicazione alla loro causa della legge n. 662 del 1996, entrata in vigore mentre la procedura era pendente.

IN DIRITTO

25. I ricorrenti sostengono di essere stati privati del loro terreno in maniera incompatibile con l’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, così formulato:

«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

26. I ricorrenti lamentano anche l’applicazione alla loro causa della legge n. 662 del 1996, entrata in vigore mentre la procedura era pendente e le sue ripercussioni sul risarcimento dal punto di vista dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, che, nelle sue parti pertinenti, recita:

«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (…) da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)»

1. Argomenti delle parti

27. Nelle sue osservazioni depositate nella cancelleria della Corte il 30 maggio 2014, il Governo ha eccepito la mancanza della qualità di «vittima» dei ricorrenti, ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione, in quanto costoro avevano ottenuto dalla corte d’appello di Napoli un risarcimento corrispondente al valore venale del terreno espropriato.

28. I ricorrenti non hanno formulato osservazioni a tale proposito.

2.  Valutazione della Corte

29. Innanzitutto, la Corte rammenta di aver già esaminato questo tipo di eccezione in altre cause riguardanti le espropriazioni indirette e di aver concluso che il semplice fatto che il ricorrente abbia ricevuto l'indennizzo corrispondente al valore venale del terreno espropriato non era di per sé sufficiente a revocargli la qualità di vittima, benché ciò possa svolgere un ruolo sul terreno dell'articolo 41 (De Angelis e altri c. Italia, n. 68852/01, § 57, 21 dicembre 2006; Carbonara e Ventura c. Italia, n. 24638/94, § 62, CEDU 2000 VI; De Sciscio c. Italia, n. 176/04, § 53, 20 aprile 2006). Essa rammenta a tale proposito che una decisione o una misura favorevole al ricorrente sono sufficienti in linea di principio a revocare la qualità di vittima soltanto se le autorità nazionali hanno riconosciuto, esplicitamente o sostanzialmente, e poi riparato la violazione della Convenzione (Guerrera e Fusco c. Italia, n. 40601/98, § 53, 3 aprile 2003; Amuur c. Francia del 25 giugno 1996, Recueil 1996-III, p. 846, § 36).

30. Inoltre, la Corte ritiene di dover esaminare la qualità di vittima dei ricorrenti alla luce del cambiamento legislativo intervenuto a seguito delle sentenze della Corte costituzionale nn. 348 e 349 del 22 ottobre 2007. Essa rammenta che spetta in primo luogo alle autorità nazionali correggere una asserita violazione della Convenzione. A tale proposito, la questione di stabilire se il ricorrente possa ritenersi vittima della trasgressione lamentata rispetto alla Convenzione si pone in qualsiasi fase della procedura e implica essenzialmente per la Corte di esaminare ex post facto la situazione della persona interessata (Cocchiarella c. Italia [GC], n. 64886/01, §§ 70-72, CEDU 2006 V).

31. La Corte ribadisce che ad essa spetta innanzitutto verificare se da parte delle autorità vi sia stato un riconoscimento, almeno in sostanza, della violazione di un diritto tutelato dalla Convenzione (Cocchiarella c. Italia sopra citata, § 84).

32. Essa rileva che con le sentenze nn. 348 e 349, la Corte costituzionale italiana ha dichiarato la non conformità costituzionale dell'articolo 5 bis del decreto-legge n. 333 dell’11 luglio 1992, come modificata dalla legge n. 662 del 1996, in quanto contrario all'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione come interpretato dalla giurisprudenza della Corte. In seguito, la legge finanziaria n. 244 del 2007 ha stabilito che i proprietari espropriati devono ottenere un risarcimento corrispondente al valore intero del bene, non essendo più ammessa alcuna riduzione.

33. Nell'applicare questi principi, la corte d’appello di Napoli ha sostanzialmente ritenuto che l'espropriazione indiretta del terreno dei ricorrenti fosse contraria all'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte, e comportasse una violazione del diritto di proprietà dei ricorrenti e l’obbligo per l'amministrazione di riparare la violazione. La corte d'appello condannò pertanto l'amministrazione a versare ai ricorrenti un indennizzo corrispondente al valore venale del terreno, più rivalutazione e interessi a decorrere dalla data dalla perdita della proprietà.

34. La Corte ritiene che i giudici interni abbiano sostanzialmente constatato la violazione del diritto di proprietà dei ricorrenti. Inoltre, essa considera che il risarcimento riconosciuto dalla corte d’appello di Napoli, conforme ai criteri di calcolo stabiliti dalla Corte nella sentenza Guiso Gallisay (sopra citata, § 105), costituisce una riparazione adeguata e sufficiente.

35. Alla luce di queste considerazioni, i ricorrenti non possono più ritenersi vittime della asserita violazione ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione (si vedano Armando Iannelli c. Italia, n. 24818/03, 12 febbraio 2013; Holzinger c. Austria (n. 1), n. 23459/94, § 21, CEDU 2001 I).

36. Di conseguenza, questo motivo di ricorso è incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3 e deve essere rigettato in virtù dell’articolo 35 § 4.

37. Per quanto riguarda la dedotta violazione dell’articolo 6 § 1, la Corte ritiene che questo motivo sia strettamente collegato con quello relativo all’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, sopra esaminato, e che di conseguenza debba essere dichiarato irricevibile essendo incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

András Sajó
Presidente

Abel Campos
Cancelliere Aggiunto