Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 27 maggio 2014 - Ricorso n. 72964/10 - Rumor c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale del Contenzioso e dei Diritti Umani, traduzione effettuata dalla dott.ssa Maria Caterina Tecca, funzionario linguistico.
 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO

SECONDA SEZIONE

CAUSA RUMOR c. ITALIA

(Ricorso n. 72964/10)

SENTENZA

STRASBURGO

27 maggio 2014
 

La presente sentenza diverrà definitiva alle condizioni stabilite dall’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Rumor c. Italia,
la Corte europea dei diritti dell’uomo (Seconda Sezione), riunita in una Camera composta da:
Işıl Karakaş, presidente,
Guido Raimondi,
András Sajó,
Helen Keller,
Paul Lemmens,
Robert Spano,
Jon Fridrik Kjølbro, giudici,
e Abel Campos, cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 6 maggio 2014,
Rende la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 72964/10) proposto contro la Repubblica italiana con il quale una cittadina italiana, la Sig.ra Giulia Rumor (“la ricorrente”), ha adito la Corte in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”), in data 8 novembre 2010.

2. La ricorrente è stata rappresentata dagli avv.ti A. Mascia e D. Adami, di fori di Strasburgo e Verona. Il Governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora.

3. La ricorrente ha affermato, in particolare, che le autorità non l’avevano protetta e sostenuta dopo le violenze patite per mano dell’ex compagno, Sig. J.C.N. (“ex compagno” o “J.C.N.”), che le avevano causato angoscia e timore in violazione dell’articolo 3 della Convenzione. Inoltre, invocando l’articolo 14 in combinato disposto con l’articolo 3 della Convenzione, la ricorrente ha affermato di essere stata discriminata in ragione del sesso.

4. Dopo un esame preliminare della ricevibilità del ricorso, il giudice nominato relatore ai sensi dell’articolo 49 § 2 del Regolamento della Corte ha deciso che occorrevano ulteriori informazioni. Il 6 gennaio 2011 è stato conseguentemente chiesto al Governo di fornire tali informazioni in applicazione dell’articolo 49 § 3 (a) del Regolamento della Corte.

5. Il 7 giugno 2011 il ricorso è stato comunicato al Governo e gli è stata concessa priorità.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

6. La ricorrente è nata nel 1968 e vive a Colognola ai Colli, in  provincia di Verona.

7. I fatti della causa, così come esposti dalle parti, possono essere riassunti come segue.

A.  Il contesto della causa

8. La relazione della ricorrente con J.C.N., cittadino keniota, iniziò nel  2003. Ebbero due figli, P. e A., nati rispettivamente nell’agosto 2006 e nel marzo 2008.

9. La ricorrente ha dichiarato che il rapporto con J.C.N. si guastò rapidamente. Nel 2008 effettuarono una terapia di coppia, che fu interrotta perché J.C.N. soffriva di depressione. Egli inoltre non aveva alcun interesse per l’attività che aveva avviato con la ricorrente nel 2006.

10. Secondo le sentenze dei tribunali interni, il 16 novembre 2008 J.C.N. percosse la ricorrente più volte e la minacciò con un coltello e un paio di forbici durante una violenta lite concernente la relazione che ella aveva iniziato con un amico comune. J.C.N. chiuse a chiave la ricorrente nell’appartamento per impedirle di uscire. I loro figli dormivano nell’appartamento e uno di essi, svegliato dalle urla, assistette a parte dell’aggressione.

11. I carabinieri, chiamati dai vicini, intervennero nell’abitazione della coppia. La ricorrente fu condotta in ospedale in stato di shock. Le furono diagnosticate, inter alia, commozione cerebrale, ferite al capo e diverse contusioni su tutto il corpo.

B.  I procedimenti penali nei confronti dell’ex compagno della ricorrente

12. J.C.N. fu arrestato e posto in stato di detenzione. Fu accusato di tentato omicidio, sequestro di persona, violenza aggravata e minacce. Chiese successivamente alle autorità responsabili delle indagini preliminari di procedere con il giudizio abbreviato previsto agli articoli da 438 a 443 del codice di procedura penale (“il CPP”).

13. Il 2 aprile 2009 J.C.N. fu ritenuto colpevole e condannato a quattro anni e otto mesi di reclusione.

14. La ricorrente non si costituì parte civile nel procedimento penale.

15. In data 11 dicembre 2009 la Corte di appello di Verona ridusse la pena a tre anni e quattro mesi di reclusione.

16. Con decisione emessa il 7 ottobre 2010 la Corte di cassazione rigettò il ricorso proposto da J.C.N.

C. L’esecuzione della pena

17.  Il 6 ottobre 2009 J.C.N. chiese alla Corte di appello di Venezia di poter espiare la pena residua agli arresti domiciliari in un centro di accoglienza sito nel comune in cui viveva la ricorrente (Colognola ai Colli).

18. Il 3 novembre 2009 la Corte di appello di Venezia rigettò l’istanza di J.C.N., facendo riferimento, inter alia, alla prossimità della struttura indicata (2 km) all’abitazione della ricorrente, alle condizioni psicologiche di J.C.N. e al rischio che egli avrebbe potuto tentare di contattare la ricorrente.

19. Il 1° giugno 2010 J.C.N. presentò un’altra istanza tesa a ottenere gli arresti domiciliari, indicando un centro di accoglienza (“Don Nicola”) sito a Soave, un diverso comune della provincia di Verona, a circa 15 km dall’abitazione della ricorrente. Il centro era gestito da un’organizzazione non lucrativa denominata Sulle Orme.

20. La Corte di appello di Venezia dispose un’ispezione della struttura indicata da J.C.N. al fine di valutarne l’idoneità a ospitarlo. L’ispezione fu eseguita dai carabinieri, che sottolinearono che la struttura in questione aveva già ospitato persone la cui pena detentiva era stata sostituita dagli arresti domiciliari, senza che fosse sorta alcuna complicazione. Essi sottolinearono inoltre di effettuare una regolare sorveglianza delle persone ospitate dal centro. Conclusero conseguentemente che la struttura era idonea a ospitare l’ex compagno della ricorrente.

21. Il 18 giugno 2010 la Corte di appello di Venezia accolse l’istanza di J.C.N.

22. Il 24 settembre 2010 la Corte di appello di Venezia concesse a J.C.N. il permesso di lavorare all’esterno del centro di accoglienza durante la stagione della vendemmia.

23. Il 2 agosto 2011 J.C.N. terminò di espiare la pena e fu liberato. Decise di continuare a risiedere presso il centro di accoglienza.

D.  I procedimenti dinanzi al Tribunale per i minorenni di Venezia

24. Il 24 aprile 2009 la ricorrente presentò ricorso al Tribunale per i minorenni di Venezia chiedendo l’affidamento esclusivo dei figli e la decadenza del suo ex compagno dalla potestà genitoriale.

25. Il 15 maggio 2009 fu concesso alla ricorrente l’affidamento esclusivo dei figli. Nel febbraio 2010, dopo aver sentito sia la ricorrente sia il suo ex compagno, il Tribunale per i minorenni di Venezia  dispose la decadenza di J.C.N. dalla potestà genitoriale, e vietò qualsiasi forma di rapporto tra lo stesso e i figli. Il Tribunale sottolineò che J.C.N. avrebbe potuto chiedere il ripristino della potestà genitoriale dopo aver espiato la pena e aver seguito un percorso finalizzato ad acquisire le competenze genitoriali che aveva dimostrato di non possedere.

26. Nel gennaio 2012 J.C.N. si rivolse al Tribunale per i  minorenni di Venezia chiedendo il ripristino della potestà genitoriale e la sospensione dei suoi obblighi economici nei confronti dei figli. La Corte non è stata resa edotta dell’esito dell’istanza.

E.  La situazione della ricorrente dopo l’aggressione

27. La ricorrente ha sostenuto che, dopo la violenza subita per mano dell’ex compagno, viveva in uno stato di costante angoscia e timore del ripetersi della violenza nei suoi confronti e nei confronti dei figli. Si sottopose a terapia di sostegno psicologico, come fece il figlio P., che aveva assistito alla violenza.

28. In data imprecisata la ricorrente chiese aiuto a un’associazione, l’Associazione scaligera vittime di reato – ASAV, specializzata nel fornire assistenza materiale, psicologica e legale alle vittime di reato.

29. La ricorrente fece visita all’ex compagno cinque volte durante la reclusione di quest’ultimo, che si protrasse dal 18 novembre 2008 al 18 giugno 2010.

30. Dal materiale presentato dalla ricorrente si evince che, dopo la liberazione di J.C.N., il rapporto fra lo stesso e la ricorrente riprese, mediante lo scambio di e-mail.

II.  IL PERTINENTE MATERIALE INTERNAZIONALE

31. Una sintesi del pertinente materiale internazionale concernente la protezione dalla violenza domestica e dalla discriminazione nei confronti delle donne è stata effettuata nella causa Opuz c. Turchia (n. 33401/02, §§ 72-86, CEDU 2009).

32. Nella sua Raccomandazione Rec(2002)5 del 30 aprile 2002 sulla protezione delle donne dalla violenza, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha dichiarato, inter alia, che gli Stati membri dovrebbero introdurre, sviluppare e/o migliorare, se necessario, politiche nazionali contro la violenza improntate alla massima sicurezza e protezione delle vittime, al sostegno e all’assistenza, all’adeguamento del diritto penale e civile, a una maggiore sensibilizzazione, alla formazione per i professionisti che si occupano della violenza nei confronti delle donne, e alla prevenzione.

33. Il Comitato dei Ministri ha raccomandato, in particolare, che gli Stati membri considerino reato le gravi violenze nei confronti delle donne, quali la violenza sessuale e lo stupro, l’abuso della vulnerabilità di vittime in stato di gravidanza, indifese, malate, disabili o dipendenti, così come l’abuso di autorità da parte di chi commette tali violenze. La Raccomandazione ha inoltre dichiarato che gli Stati membri dovrebbero garantire che tutte le vittime della violenza possano ricorrere in giudizio, prevedere disposizioni che garantiscano che il pubblico ministero possa esercitare l’azione penale, e incoraggiare i pubblici ministeri a considerare la violenza nei confronti delle donne un fattore aggravante o determinante nel decidere se esercitare o l’azione penale nel pubblico interesse o meno. Gli Stati membri dovrebbero inoltre garantire, se necessario, che siano adottate misure per proteggere effettivamente le vittime da minacce ed eventuali atti di ritorsione, e adottare provvedimenti specifici per garantire la protezione dei diritti dei minori durante i procedimenti.

34. Quanto alla violenza domestica, il Comitato dei Ministri ha raccomandato che gli Stati membri qualifichino come reato tutte le forme di violenza all’interno della famiglia e prevedano la possibilità di adottare misure al fine, inter alia, di consentire alla magistratura di disporre provvedimenti temporanei finalizzati a proteggere le vittime, vietare all’autore del reato di contattare, comunicare o avvicinarsi alla vittima, o di risiedere in determinati luoghi o frequentarli. Essi dovrebbero inoltre considerare reato qualsiasi infrazione delle misure irrogate all’autore della violenza e stabilire un protocollo obbligatorio cosicché i servizi di polizia, sanitari e sociali seguano la stessa procedura.

35. Nella sua Raccomandazione Generale n. 28 sugli obblighi fondamentali degli Stati parti di cui all’articolo 2 della Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di tutte le forme di violenza contro le donne (CEDAW/C/2010/47/GC.2), il Comitato per l’eliminazione delle discriminazioni nei confronti delle donne ha ritenuto che “gli Stati parti hanno l’obbligo di prevenire, indagare, perseguire e punire con ragionevole diligenza  … gli atti di violenza di genere”.

IN DIRITTO

I. LA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE CONSIDERATO SINGOLARMENTE E IN COMBINATO DISPOSTO CON L’ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE

36. Invocando l’articolo 3 della Convenzione singolarmente e in combinato disposto con l’articolo 14 della Convenzione, la ricorrente ha lamentato l’inerzia delle autorità italiane, che non l’avevano protetta e sostenuta dopo la violenza subita. Ha affermato che tali omissioni, così come l’inadeguatezza del quadro giuridico interno di contrasto alla violenza domestica, dimostravano che era stata discriminata sulla base del sesso.

37. Gli articoli citati prevedono:

Articolo 3

“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani e degradanti.”

Articolo 14

“Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione.”

A. Ricevibilità

38. La Corte osserva che il ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 (a) della Convenzione. Osserva inoltre che esso non incorre in altri motivi di irricevibilità. Deve pertanto essere dichiarato ricevibile.

B. Nel merito

1.  Osservazioni delle parti

(a)  La ricorrente

39. La ricorrente ha sostenuto che dopo il grave episodio di violenza del novembre 2008, le autorità non l’avevano assistita, aiutata né protetta dal ripetersi di tale violenza.

40. La ricorrente ha argomentato che la violenza subita per mano dell’ex compagno aveva avuto un effetto traumatico su di lei, causandole un forte disagio psicologico dal quale non si era ancora ripresa. Non era riuscita a continuare a vivere nello stesso appartamento in cui si era avvenuta la violenza e si era dovuta trasferire in un altro appartamento dello stesso edificio. Aveva avuto difficoltà a dormire e lei e il figlio P. si erano sottoposti a terapia di sostegno psicologico.

41. La ricorrente ha inoltre affermato che le autorità non l’avevano informata dello stato dei procedimenti penali nei confronti di J.C.N. In particolare, non era stata informata quando gli erano stati concessi gli arresti domiciliari. Ha sostenuto di averlo appreso quando l’ex compagno le ha telefonato usando il telefono di un amico comune. La ricorrente ha inoltre criticato il comportamento dei carabinieri che, quando erano state chieste loro spiegazioni sugli arresti domiciliari concessi a J.C.N., si erano limitati a rassicurarla sull’idoneità e la sicurezza della struttura scelta.

42. La ricorrente ha inoltre affermato che all’inizio della detenzione  J.C.N. le aveva inviato diverse lettere che ella aveva percepito come intimidatorie. Tale condotta era cessata quando ne era stato informato il difensore.

43. La ricorrente ha inoltre affermato che mentre era in espiazione di pena, il suo ex compagno non aveva seguito alcun programma di recupero psicologico e continuava a costituire una minaccia per la sua vita e quella dei suoi figli.

44. La ricorrente ha sostenuto inoltre che la prossimità alla sua abitazione della struttura che ospitava J.C.N. mentre egli era agli arresti domiciliari aveva contribuito ad aumentare la sua angoscia e il suo timore  che egli avrebbe potuto nuovamente aggredirla. Ha sottolineato che la sua precedente istanza di concessione degli arresti domiciliari era stata rigettata in ragione, inter alia, della prossimità della struttura indicata alla sua abitazione.

45. In tale contesto la ricorrente ha affermato che il 25 giugno 2010 era stata intimidita dal direttore del centro di accoglienza “Don Nicola”, il quale aveva fatto un riferimento indiretto al potere che aveva di influenzare il procedimento concernente la potestà genitoriale, al fine di impedirle di vendere la società di cui era comproprietaria insieme all’ex compagno.

46. La ricorrente ha sottolineato inoltre di essere stata contattata da un dipendente del centro per fissare un colloquio telefonico tra J.C.N. e il figlio P. in occasione del compleanno di quest’ultimo il 2 agosto 2010. A suo avviso, entrambi gli episodi facevano sorgere dubbi sulla scelta del centro di accoglienza in questione. Infine, ella ha lamentato che, dopo aver terminato di espiare la pena, J.C.N. aveva continuato a risiedere nella stessa struttura e aveva ripreso i rapporti con lei mediante lo scambio di e-mail, che ella riteneva inopportuno.

47. La ricorrente ha sottolineato che, alla luce di quanto sopra, ella si trovava in una posizione di vulnerabilità e che le autorità non le avevano fornito assistenza né sostegno, avendo omesso di  porre in essere misure adeguate per proteggerla da una nuova aggressione da parte di J.C.N. Ella ha sottolineato che i minori e le altre persone vulnerabili, in particolare, avevano diritto alla protezione dello Stato da siffatte gravi violazioni dell’integrità personale, mediante un efficace deterrente.

48. La ricorrente ha sostenuto che la violenza subita e il conseguente disagio psicologico avevano raggiunto un sufficiente livello di gravità per essere considerati un maltrattamento rientrante nel campo di applicazione dell’articolo 3 della Convenzione.

(b) Il Governo

49. Il Governo ha affermato nel merito della causa che le autorità avevano adottato tutte le misure ragionevoli per punire l’autore della violenza, proteggere e sostenere la ricorrente dal rischio di violenza e impedire che tale violenza si ripetesse.

50. Il Governo ha osservato che  J.C.N. era stato arrestato e posto  in stato di custodia immediatamente dopo l’aggressione alla ricorrente. I successivi procedimenti penali erano stati svolti con la dovuta rapidità ed egli era stato condannato a tre anni e quattro mesi di reclusione, pena proporzionata al reato di cui era stato accusato. L’ex compagno della ricorrente aveva espiato la maggior parte della pena in una struttura carceraria e solo nel giugno 2010 gli erano stati concessi gli arresti domiciliari presso un centro di accoglienza gestito da un’organizzazione denominata Sulle Orme.

51. Il Governo ha sottolineato che una persona agli arresti domiciliari è considerata comunque in stato di detenzione; egli non godeva della libertà di movimento e qualsiasi violazione delle condizioni degli arresti domiciliari (fissate dal magistrato di sorveglianza) avrebbe costituito un ulteriore reato. Inoltre, J.C.N. era stato allocato in una struttura la cui idoneità, sia in termini di sicurezza sia di prospettive di riabilitazione, era stata attentamente valutata dalle autorità interessate, in linea con la gravità del reato che aveva commesso.

52. Il Governo ha sostenuto che J.C.N. aveva partecipato a un programma di sostegno psicologico e riabilitazione organizzato dal Comune di Soave e che i rapporti al riguardo erano stati positivi.

53. Quanto a uno degli episodi riferiti dalla ricorrente per dimostrare l’inadeguatezza della struttura scelta (si veda il paragrafo 46 supra), il Governo, pur non contestandone la veridicità, ha sottolineato che la ricorrente non lo aveva denunciato alle autorità, negando pertanto alle stesse la possibilità di intervenire. Il Governo  non ha preso posizione sull’altro episodio riferito dalla ricorrente (si veda il paragrafo 45 supra).

54. Per quanto riguardava i rapporti tra la ricorrente e l’ex compagno  (dopo la liberazione), il Governo ha fatto presente che se, come affermava, la ricorrente percepiva tali rapporti come inopportuni o intimidatori, ella aveva avuto a sua disposizione una specifica protezione dal reato di stalking, di cui non si era avvalsa.

55. Infine, il Governo ha sottolineato che in provincia di Verona esistevano diversi centri specializzati nel sostegno e nell’assistenza alle vittime di reati violenti e che la ricorrente avrebbe potuto facilmente avere accesso a uno di essi.

56. Il Governo ha concluso che la ricorrente non aveva presentato alcun argomento, fatto o prova validi che corroborassero l’asserita mancanza di sostegno e protezione da parte delle autorità.

2.  Valutazione della Corte

(a)  Principi generali

57. La Corte ribadisce che il maltrattamento deve raggiungere un livello minimo di gravità per rientrare nel campo di applicazione dell’articolo 3. La valutazione di tale minimo è relativa: dipende da tutte le circostanze del caso, quali la natura e il contesto del trattamento, la durata,  gli effetti fisici e mentali e, in alcuni casi, il sesso, l’età e le condizioni di salute della vittima (si vedano Costello Roberts c. Regno Unito, 25 marzo 1993, § 30, Serie A n. 247 C; Opuz c. Turchia, n. 33401/02, § 158, 9 giugno 2009; ed Eremia c. Repubblica di Moldavia, n. 3564/11, § 48, 28 maggio 2013).

58. La Corte ribadisce inoltre che l’articolo 1 della Convenzione, in combinato disposto con l’articolo 3, pone in capo agli Stati l’obbligo positivo di assicurare che le persone sottoposte alla loro giurisdizione siano protette da qualsiasi forma di maltrattamento proibito ai sensi dell’articolo 3, anche quando tale trattamento è posto in essere da privati (si vedano A. c. Regno Unito, 23 settembre 1998, § 22, Reports of Judgments and Decisions 1998 VI; Opuz, sopra citato, § 159; ed Eremia, sopra citato, § 48). Tale obbligo dovrebbe comprendere l’effettiva protezione, inter alios, di un soggetto, o di soggetti identificati, dagli atti criminali di terzi, nonché misure  ragionevoli per prevenire i maltrattamenti di cui le autorità erano, o avrebbero dovuto essere, a conoscenza (si vedano, mutatis mutandis, Osman c. Regno Unito, 28 ottobre 1998, § 116, Reports 1998 VIII; E. e altri c. Regno Unito, n. 33218/96, § 88, 26 novembre 2002; e J.L. c. Lettonia,  n. 23893/06, § 64, 17 aprile 2012). I minori e le altre persone vulnerabili, in particolare, hanno diritto alla protezione dello Stato da siffatte gravi violazioni dell’integrità personale, mediante un effettivo deterrente (si veda A. c. Regno Unito, sopra citato, § 22).

59. Il ruolo della Corte non è quello di sostituire le autorità nazionali e  scegliere in loro vece tra l’ampia gamma di possibili misure che potrebbero essere adottate per assicurare il rispetto dei loro obblighi positivi ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione (si vedano, mutatis mutandis, Bevacqua e S. c. Bulgaria, n. 71127/01, § 82, 12 giugno 2008). Allo stesso tempo, ai sensi dell’articolo 19 della Convenzione e in conformità con il principio che la Convenzione mira a garantire non diritti teorici o illusori, ma diritti pratici ed effettivi, la Corte deve assicurare che l’obbligo di uno Stato di proteggere le persone sottoposte alla sua giurisdizione sia adeguatamente adempiuto (si veda Nikolova e Velichkova c. Bulgaria, n. 7888/03, § 61, 20 dicembre 2007).

(b)  Applicazione di tali principi generali al caso di specie

(i)  Era la ricorrente stata sottoposta a maltrattamenti ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione?

60. La Corte ritiene che la ricorrente fosse una “persona vulnerabile” viste le lesioni fisiche subite dalla stessa il 16 novembre 2008 e il suo timore di ulteriori violenze.

61. La Corte ritiene che tale violenza e le sue conseguenze psicologiche fossero sufficientemente gravi da costituire un maltrattamento ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione.

62. Date le circostanze, la Corte ritiene che l’articolo 3 della Convenzione fosse applicabile al caso di specie. Essa deve pertanto determinare se le azioni delle autorità in risposta alle doglianze della ricorrente avessero soddisfatto i requisiti di tale disposizione e se le autorità nazionali avessero adottato tutte le misure ragionevoli per impedire il ripetersi di violenti attentati all’integrità fisica della ricorrente.

(ii)  Hanno le autorità  adempiuto i loro obblighi positivi ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione?

63.Gli obblighi positivi degli Stati ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione comprendono, da un lato, l’elaborazione di un quadro giuridico finalizzato a  prevenire e punire il maltrattamento da parte di privati e, dall’altro, quando vi è la consapevolezza di un imminente rischio di maltrattamento o quando il maltrattamento è già avvenuto, l’applicazione nella pratica delle leggi pertinenti, offrendo così protezione alle vittime e punendo i responsabili del maltrattamento (si veda Eremia c. Repubblica di Moldavia, sopra citato, § 56).

64. Tornando all’esame dei fatti, la Corte osserva che le autorità, vale a dire i carabinieri, i pubblici ministeri e i tribunali interni non sono rimasti passivi dopo l’episodio del 16 novembre 2008. L’ex compagno della ricorrente è stato immediatamente arrestato e posto in stato di custodia. È stato accusato di tentato omicidio, sequestro di persona, violenza aggravata e minacce. I procedimenti penali sono stati svolti con la dovuta rapidità ed egli è stato condannato a tre anni e quattro mesi di reclusione (si vedano i paragrafi 12-16 supra).

65. La Corte ritiene che anche in relazione all’affidamento dei figli della coppia la risposta delle autorità sia stata effettiva. Alla ricorrente è stato concesso l’affidamento esclusivo e il suo ex compagno è decaduto dalla potestà genitoriale (si vedano i paragrafi 24-26 supra).

66. Per quanto riguarda la protezione fornita alla ricorrente, la Corte non può che osservare che la consapevolezza della presenza dell’ex compagno a circa 15 chilometri dalla sua abitazione aveva avuto un effetto negativo sulla ricorrente.

67. La Corte osserva tuttavia che, prima di accogliere l’istanza di arresti domiciliari di J.C.N., il magistrato di sorveglianza aveva valutato attentamente, con l’aiuto dei carabinieri, che avevano fornito un rapporto dettagliato, l’idoneità della struttura scelta, in conformità alla gravità del reato commesso da J.C.N. Sembra che la decisione sia stata presa dopo un’attenta valutazione della situazione.

68. Il fatto che una precedente istanza di arresti domiciliari fosse stata respinta sulla base, inter alia, della prossimità della struttura all’abitazione della ricorrente non invalida per se la decisione delle autorità in relazione alla protezione della ricorrente. La Corte ritiene che in considerazione del fatto che era stata indicata una diversa struttura e che era trascorso del tempo dall’ultima istanza, non fosse irragionevole che il giudice avesse raggiunto una conclusione diversa in relazione al pericolo della reiterazione del reato da parte di J.C.N.

69. Gli episodi su cui aveva fatto affidamento la ricorrente per corroborare le sue affermazioni (si vedano i paragrafi 46-47 supra), che non sono stati contestati dal Governo, non erano attribuibili all’ubicazione della struttura scelta. Inoltre, non denunciando tali episodi, la ricorrente aveva negato alle autorità l’opportunità di intervenire. In particolare, il magistrato di sorveglianza poteva valutare la loro compatibilità con il fatto che J.C.N. rimanesse nella struttura e il Tribunale per i minorenni poteva valutare se fosse stato violato il divieto a J.C.N. di contattare i figli.

70. In relazione alla doglianza secondo la quale l’ex compagno della ricorrente non si era sottoposto a terapia psicologica, la Corte osserva che, diversamente da quanto affermato dalla ricorrente, le sentenze dei tribunali interni relative ai procedimenti penali nei confronti dello stesso non avevano disposto che dovesse seguire alcuna terapia psicologica (diversamente dalla causa  A. c. Croazia, n. 55164/08, 14 ottobre 2010).

71. D’altra parte, nonostante il fatto che il Tribunale per i minorenni di Venezia avesse privato J.C.N. della potestà genitoriale, esso aveva raccomandato che ricevesse una terapia di sostegno psicologico quale precondizione alla sua richiesta di ripristino di tale potestà. La Corte osserva che il Governo ha provato che l’ex compagno della ricorrente aveva partecipato a tale programma di sostegno psicologico finalizzato a valutare e analizzare la gravità del suo comportamento.

72. Quanto all’affermazione della ricorrente di non essere stata tenuta informata dei procedimenti penali nei confronti di J.C.N., la Corte osserva che non si può interpretare la Convenzione come se essa imponga agli Stati un obbligo generale di rendere edotta la vittima di maltrattamento dei procedimenti penali nei confronti dell’autore del reato, nonché dell’eventuale liberazione condizionale o del trasferimento agli arresti domiciliari. La Corte osserva inoltre che, ai sensi della legislazione italiana applicabile, tali informazioni devono essere fornite solo alla vittima di reato costituitasi parte civile nel procedimento, e che la ricorrente ha scelto di non farlo.

73. Inoltre, la Corte non può fare a meno di osservare che una lettura dello scambio di e-mail (presentate dalla ricorrente) tra la ricorrente e il suo ex compagno (si veda il paragrafo 30 supra), dimostrava che il loro rapporto era relativamente tranquillo e armonioso. La ricorrente aveva indicato, inter alia, la propria disponibilità a incontrare l’ex compagno e forniva informazioni sul benessere dei figli.  L’ex compagno sembrava accettare la nuova relazione della ricorrente.

74. La Corte osserva inoltre che non si sono verificati ulteriori minacce o episodi di violenza né a seguito della concessione degli arresti domiciliari all’ex compagno della ricorrente né dopo la sua liberazione.

75. Infine, la Corte ritiene che le rimanenti doglianze della ricorrente (si vedano i paragrafi 42-43 supra) siano infondate e non siano supportate dal materiale presentato.

76. Alla luce delle considerazioni di cui sopra, la Corte conclude che le autorità avevano posto in essere un quadro giuridico che consentiva loro di adottare delle misure nei confronti delle persone accusate di violenza domestica e che tale quadro era stato effettivo nel punire l’autore del reato di cui la ricorrente era stata vittima e nell’impedire il ripetersi di violenti attentati alla sua integrità fisica.

77. Conseguentemente non vi è stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione. Alla luce di tale conclusione, la Corte ritiene, per gli stessi motivi, che non vi sia stata violazione dell’articolo 3 in combinato disposto con l’articolo 14 della Convenzione.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Ritiene che non vi sia stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione  considerato singolarmente e in combinato disposto con l’articolo 14 della Convenzione.

Fatta in inglese, poi notificata per iscritto il 27 maggio 2014, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.

Işıl Karakaş
Presidente

Abel Campos
Cancelliere aggiunto