Commissione Fiorella - per la revisione del sistema penale (14 dicembre 2012) - Relazione

aggiornamento: 23 aprile 2013

  1. Considerazioni generali
    Con decreto del Ministro della Giustizia del 14 dicembre 2012 è stato istituito il Gruppo di studio per elaborare una proposta di revisione del sistema penale introducendo norme di depenalizzazione.
    La Commissione ha elaborato un disegno di legge in materia di depenalizzazione e di deflazione del sistema penale.
    Da tempo viene sottolineata la necessità di contrarre l’intervento del diritto penale a causa della progressiva dilatazione del ricorso alla sanzione penale, con pregiudizio per la sua natura di extrema ratio che determina una riduzione della funzione general-preventiva, propria della pena, ed una incapacità del sistema giudiziario, nel suo complesso, di accertare e reprimere i reati.
    È necessario che la sanzione penale sia prevista nel rispetto dei principi di proporzione, sussidiarietà ed efficacia dell’intervento penale, consacrati anche dalle fonti sovranazionali, a cominciare dal Trattato di Lisbona, quali criteri-guida della comune politica criminale europea.
    La sanzione penale deve, innanzitutto, intervenire per reprimere fatti ritenuti meritevoli di tutela nel contesto sociale in cui la norma è chiamata ad operare ed alla luce dei valori costituzionali che stanno a fondamento dell’intero ordinamento. Inoltre la sanzione penale, che incide direttamente o indirettamente su beni personali, non deve intervenire laddove altri strumenti di tutela (sanzioni amministrative, sanzioni civili, sanzioni disciplinari) garantiscono una efficace prevenzione e repressione dei fatti offensivi: la sanzione amministrativa, in particolare,  è spesso dotata di maggiore effettività. Infine è necessario vagliare l’intervento del diritto penale alla luce del criterio direttivo di politica criminale della efficacia della tutela, perché, se il ricorso al diritto penale risulta del tutto inefficace rispetto all’obiettivo, la sanzione penale si ridurrà a puro intervento simbolico, senza che si sia rafforzata la prevenzione, traducendosi pertanto in un intervento irragionevole da parte del legislatore.
    Il legislatore ha avviato un’ampia opera di depenalizzazione a partire dagli anni Sessanta (l. n. 317/1967; l. n. 706/1975; l. n. 689/1981; d. lgs. n. 758/1994; d. lgs. n. 507/1999), anche se i risultati deflattivi sono risultati modesti, complice anche una continua produzione di legislazione complementare che ha contribuito non poco ad aggravare l’ipertrofia del diritto penale. Il flusso dei reati in entrata continua a superare di gran lunga le capacità di risposta del sistema penale, sì che si allarga lo iato tra i reati effettivamente perseguiti e non (con il poco commendevole effetto delle cosiddette punizioni a sorteggio).
    Il disegno di legge di depenalizzazione e deflazione del sistema penale, nel tentativo di ricondurre l’intervento punitivo alle richiamate direttrici di politica criminale, si muove nelle due prospettive della depenalizzazione in astratto e in concreto, perché è parso che, pur rispondendo a esigenze diverse, esse vadano perseguite congiuntamente per garantire l’effettiva sussidiarietà del controllo penale.
     
  2. Trasformazione dei reati in illeciti amministrativi 
    Nell’individuazione delle fattispecie da sottrarre, già in astratto, alla sanzione penale, con trasformazione in illeciti amministrativi (e conseguente sottoposizione alla disciplina generale della l. n. 689/1981) è stato considerato sia l’impatto dell’intervento sul carico giudiziario sia la necessità di espungere dal sistema penale fattispecie desuete o non più conformi ai principi di laicità e pluralismo del nostro ordinamento costituzionale.
    A tal fine è stata scelta una tecnica di depenalizzazione che, per un verso, àncora la depenalizzazione a fattispecie il cui trattamento sanzionatorio indizia la natura bagatellare del fatto (questo criterio consente un più ampio effetto di contrazione del diritto penale); per altro verso, opera un vaglio puntuale e “a tappeto” della meritevolezza e del bisogno di pena in alcuni settori di disciplina particolarmente delicati.
    L’art. 1 delega pertanto il Governo a trasformare in illeciti amministrativi i reati puniti con la sola pena della multa o dell’ammenda e le contravvenzioni punite con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda. Visto il tipo di sanzione penale prevista e il ridotto disvalore da essa richiamato, la depenalizzazione risulta opportuna per dar seguito coerente al criterio della pena solo quale extrema ratio.
    L’art. 1 fissa anche i criteri direttivi per la determinazione delle sanzioni amministrative in sede di legislazione delegata: limiti edittali minimi e massimi della sanzione amministrativa pecuniaria; disposizione sulle pene pecuniarie proporzionali trasformate in sanzioni amministrative; possibilità di prevedere sanzioni amministrative accessorie, che derivino dalla trasformazione delle pregresse pene accessorie o siano nuove sanzioni accessorie connotate dalla idoneità a prevenire ulteriori violazioni.
    Alcuni settori di materia, indicati dall’art. 1, sono sottratti alla depenalizzazione, in quanto l’importanza dei beni giuridici tutelati, alla luce dei valori costituzionali, consiglia di mantenere il controllo penale. Tuttavia, anche in questi settori si prevede una parziale rideterminazione delle aree di rilevanza penale, applicando il criterio qualitativo in conformità ai principi di proporzione, sussidiarietà ed efficacia della sanzione penale. In particolare gli ambiti sottratti al criterio di depenalizzazione sono i seguenti:
    1. Reati previsti dal codice penale. Sono esclusi dalla depenalizzazione quei delitti previsti dal libro II del codice penale che, pur essendo puniti con la sola pena della multa (es. delitti di vilipendio, rissa, minaccia, ingiuria), è opportuno mantenere nel sistema penale in ragione della importanza dei beni giuridici tutelati.
      Quanto alle contravvenzioni del libro terzo del codice penale, queste sono già state oggetto di precedenti interventi di depenalizzazione. Si propone di applicare anche alle fattispecie residue ivi previste il criterio di depenalizzazione dell’art. 1, eccettuando tuttavia alcune contravvenzioni che appare necessario mantenere (650, 651, 658, 660, 673, 674, 677, 679, 682, 683, 684, 685, 697, 703, 712, 720, 727, 727-bis, commi 1 e 2, 728, 733, 734 c.p.).
      Con particolare riferimento all'art. 650 c.p., la Commissione ha ampiamente discusso l'opportunità della sua depenalizzazione trattandosi di fattispecie, come noto, problematica sul piano teorico e la cui depenalizzazione avrebbe sortito effetti benefici sul piano della deflazione. Tuttavia, la delicatezza della fattispecie, posta a presidio di molte funzioni amministrative, suggerisce l'opportunità di un approfondimento ulteriore, anche nel confronto con i dicasteri interessati.
    2. Reati in materia di edilizia e urbanistica. Questo settore è stato sottratto alla depenalizzazione in ragione dell’importanza del territorio, quale bene di rilievo costituzionale. Una eventuale più ampia revisione della disciplina penale del governo del territorio implicherebbe un complessivo riesame del rapporto tra norme penali e disciplina amministrativa non rientrante nel mandato della Commissione. Si propone comunque di depenalizzare la contravvenzione prevista dall’art. 44, lett. a) d.p.r. 380/2001, che sanziona «l’inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dal presente titolo, in quanto applicabili, nonché dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal permesso di costruire». Trattandosi di norma penale in bianco, punita con la sola ammenda, meramente sanzionatoria della violazione di norme anche di fonte subordinata, si ritiene opportuna e sufficiente la previsione di una sanzione pecuniaria amministrativa.
      Si propone altresì la depenalizzazione delle fattispecie contravvenzionali, punite con la sola pena dell’ammenda, previste dagli artt. 73, commi 1 e 2, 82, comma 7, del d.P.R. n. 380/2001, trattandosi di violazioni meramente formali: l’art. 73  sanziona il direttore dei lavori che non ottempera alle prescrizioni indicate nell’ articolo 66 di conservazione di atti in cantiere, ovvero che omette o ritarda la presentazione al competente ufficio tecnico regionale dalla relazione sull’ adempimento degli obblighi prescritti dalla legge; l’art. 82, comma 7, prevede una contravvenzione, punita solo con ammenda, per qualificati soggetti ivi indicati che eseguono opere in violazione delle disposizioni sui portatori di handicap (la sanzione amministrativa pecuniaria appare più efficace, in quanto non consente né oblazione né la sospensione condizionale della pena).
    3. Quanto ai reati in materia di tutela dell’ambiente, beni culturali, territorio e paesaggio, l’importanza dei beni giuridici offesi sconsiglia un intervento di depenalizzazione, fatta eccezione per la contravvenzione prevista dall'art. 137, comma 10, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Un più ampio intervento di riforma, anche attraverso l’eventuale introduzione di fattispecie delittuose d’evento, richiederebbe, d’altra parte, una complessiva revisione della materia, estranea al mandato ministeriale. Emerge peraltro che un considerevole effetto deflattivo potrebbe conseguire in questa materia all’attuazione del disegno di legge delega in punto di estinzione del reato a seguito di condotte riparatorie (vd. infra).
    4. Quanto ai reati in materia di alimenti e bevande, la disciplina è già stata oggetto di ampia depenalizzazione nel 1999 e un’ulteriore depenalizzazione non sembra opportuna.
    5. Reati in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. L’attuale disciplina delle contravvenzioni previste in materia dalla legislazione complementare, in particolare dal d. lgs. n. 81/2008, garantisce una efficace tutela preventiva della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro attraverso la disciplina del d.l. 19.12.1994 n. 758, che prevede una procedura amministrativa consistente nell’imposizione di prescrizioni da parte degli organi di vigilanza, nella verifica dell’adempimento delle stesse nel termine previsto e nel pagamento di una somma in sede amministrativa, che consente la sospensione del procedimento e l’estinzione del reato. La depenalizzazione delle fattispecie contravvenzionali comporterebbe l’esclusione di questa tecnica ingiunzionale, particolarmente efficace sul piano preventivo e si porrebbe, peraltro, in contrasto con l’orientamento di politica criminale del presente disegno di legge che potenzia l’istituto dell’oblazione (v. art. 15).
    6. Reati in materia di immigrazione. In questo settore di disciplina si propone l’abrogazione di due fattispecie (v. art. 2 n. 2);
    7. Reati previsti dal regio decreto 18 giugno 1931, n. 773. Le norme penali ancora presenti nel testo unico di pubblica sicurezza (molte sono già state oggetto di depenalizzazione, altre sono superate da norme successive, come nel caso della disciplina della prostituzione o delle misure di prevenzione) sono strutturate secondo la tecnica del rinvio nel seguente modo: la violazione di alcune disposizioni del t.u.l.p.s. è sanzionata con specifiche sanzioni penali o con specifiche sanzioni amministrative; a queste si affianca la disposizione di carattere generale dell’art. 17, il quale prevede, con una discutibile tecnica sanzionatoria, che «le violazioni alle disposizioni di questo testo unico, per le quali non è stabilita una pena od una sanzione amministrativa ovvero non provvede il codice penale, sono punite con l’arresto fino a tre anni o con l’ammenda fino a 206 euro». Il principio di extrema ratio del diritto penale deve portare ad invertire il rapporto tra illecito penale ed illecito amministrativo: se si vuole mantenere una disposizione di carattere generale come l’art. 17, allora questa deve prevedere la sanzione pecuniaria amministrativa per le violazioni al testo unico, salvo la previsione di specifiche sanzioni amministrative o di sanzioni penali, là dove sia opportuno mantenere la rilevanza penale in ragione dei particolari interessi tutelati: ad es. in materia di armi – art. 28 ss. – il testo unico prevede già specifiche norme penali che non sarebbero toccate dalla depenalizzazione dell’art. 17.
      Si propone altresì di applicare il criterio di depenalizzazione dell’art. 1 del presente disegno di legge alla contravvenzione prevista dall'art. 32 comma 3, che sanziona con una irrisoria pena dell’ammenda (fino a 516 euro) l’omessa denuncia al questore dei cambiamenti sostanziali delle collezioni di armi artistiche, rare o antiche o del loro luogo di deposito.
    8.  Reati previsti dai decreti legislativi attuativi di direttive comunitarie, compresi nell’elenco allegato alla presente legge. Si tratta di leggi attuative di direttive comunitarie in materia alimentare e sanitaria, che si ritiene opportuno sottrarre alla depenalizzazione, al fine di escludere un arretramento della tutela della salute rispetto alle previsioni europee, evitando anche la violazione di obblighi di fonte sovranazionale.
       
  3. Abrogazioni 
    Il presente disegno di legge prevede l’abrogazione di alcune norme previste dal codice penale:
    • art. 266, limitatamente all’ipotesi di cui al comma 4, numero 3): la terza ipotesi di «fatto commesso pubblicamente» è troppo ampia ed indeterminata; l’abrogazione proposta limita indirettamente l’applicazione delle fattispecie che presentano come elemento costitutivo il requisito della commissione pubblica del fatto;
    • art. 270: a seguito della riforma dell’art. 270-bis c.p., in combinato disposto con l’art. 270-sexies c.p., l’associazione sovversiva è stata definitivamente assorbita dall’art. 270-bis c.p. (l’abrogazione dell’art. 270 non determina, pertanto, alcun arretramento di tutela);
    • artt. 341-bis e 342: si propone l’abrogazione delle fattispecie di oltraggio, lasciando esclusivamente il delitto di oltraggio a magistrato in udienza (art. 343 c.p.) in considerazione della particolare delicatezza della funzione svolta dal magistrato nel corso dell’udienza;
    • art. 415: si tratta di un reato di opinione di fatto disapplicato;
    • artt. 503, 504, 505, 507, 510, 511 e 512, ossia le residue fattispecie in tema di sciopero, serrata, boicottaggio;
    • art. 565: la genericità del riferimento alla «offesa alla morale familiare» rende questa fattispecie non conforme all’art. 21 Cost. ed al fondamento pluralista della Costituzione;
    • artt. 636 e 637: si tratta di delitti contro il patrimonio che sanzionano offese bagatellari (introduzione o abbandono di animali nel fondo altrui e pascolo abusivo; ingresso abusivo nel fondo altrui), rispetto alle quali si giustifica l’abrogazione (il fatto potrebbe integrare gli estremi di un altro reato – es. danneggiamento –);
    • art. 645: i mutamenti dei flussi migratori giustificano l’abrogazione del delitto di frode in emigrazione (sussistendone gli estremi, potrà essere applicato il delitto di truffa);
    • artt. 654 e 655: l’abrogazione dell’illecito amministrativo di grida e manifestazioni sediziose e della contravvenzione di radunata sediziosa si giustifica in ragione della indeterminatezza del termine “sedizione” che costituisce un inaccettabile limite a libertà costituzionalmente garantite;
    • art. 661: l’indeterminatezza del riferimento alla credulità popolare giustifica l’abrogazione della contravvenzione (i fatti più gravi potranno essere sanzionati attraverso il reato di truffa, qualora ne sussistano gli estremi);
    • art. 668: la contravvenzione di rappresentazioni teatrali o cinematografiche abusive contrasta con l’art. 21 Cost.;
    • artt. 690 e 691: l’abrogazione di queste due fattispecie si giustifica in ragione della proposta di riformulazione dell’art. 689 c.p., che viene parzialmente ad includere i fatti puniti da queste due contravvenzioni (v. art. 3, comma 1 lett. d);
    • art. 707: si tratta di un reato connotato da una forte anticipazione dell’intervento penale ai limiti della punizione della mera pericolosità. La funzione preventiva, tradizionalmente attribuita a questa contravvenzione, è stata già peraltro molto ridimensionata dall’interpretazione fornita dalla Corte costituzionale (sent. n. 225/2008) che posticipa la rilevanza penale del fatto a un momento prossimo alla soglia di punibilità del tentativo;
    • art. 716: l’irrisorietà della pena pecuniaria giustifica la totale abrogazione della fattispecie (laddove sussistano gli elementi dell’omessa denuncia, sono applicabili i più gravi delitti previsti dagli artt. 361 e 362 c.p.);
    • art.723: si propone di mantenere le fattispecie penali in tema di gioco d’azzardo, ad eccezione della contravvenzione di cui all’art. 723 c.p. (esercizio abusivo di un gioco non d’azzardo).
      La Commissione ha ampiamente discusso l’opportunità di abrogare il delitto di incesto (art. 564 c.p.), in quanto una parte dei Commissari ritiene che tale fattispecie incrimini condotte immorali, non offensive di beni giuridici meritevoli di tutela penale in uno Stato laico. Considerato che in Commissione non si è registrata unanimità di opinioni ed essendo, peraltro, nullo l’impatto deflattivo dell’abolitio criminis, non si è alla fine proposta l’abrogazione dell’art. 564 c.p..
      L’art. 2 comma 2 del presente disegno di legge prevede l’abrogazione di altre disposizioni:
    1. gli artt. 57, 125, 139, 258 del regio decreto 2 luglio 1934, n. 1265, in quanto si tratta di fattispecie che non presentano un autonomo disvalore meritevole di sanzione penale o in relazione alle quali il ricorso alla sanzione penale appare del tutto sproporzionato: l’art. 57 punisce il medico che contravviene all’obbligo di assunzione dell’incarico di medico chirurgo condotto a seguito di decreto del prefetto ( ora della Regione): pena dell’arresto e ammenda; l’art. 125 punisce il farmacista che contravvenga alle disposizioni del Ministero della Sanità sul prezzo di vendita al pubblico dei medicinali: pena dell’ammenda e, in caso di recidiva, dell’arresto; l’art. 139 punisce l’ostetrica che non rilevi con diligenza e  segnali al medico i fatti irregolari che si svolgono nella gestazione, nel parto o nel puerperio; l’art.258 punisce il cittadino dimorante in un comune in cui si sia manifestata una malattia infettiva di carattere  epidemico che non compia le prestazioni conformi alla sua condizione o professione richiestegli dal sindaco;
    2. l’art. 22, comma 3, della legge 21 ottobre 2005, n. 219 punisce chiunque cede il proprio sangue o i suoi componenti a fini di lucro (il ricorso alla sanzione penale appare del tutto inefficace);
    3. artt. 6, comma 3 e 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. < /br> L’art. 6, comma 3 prevede una disciplina speciale per il cittadino extracomunitario che non ottempera, senza giustificato motivo, all’ordine di esibizione del passaporto o di altro documento di identificazione e del permesso di soggiorno o di altro documento attestante la regolare presenza nel territorio dello Stato: l’abrogazione di questa norma comporta la riconduzione del fatto all’art. 651 c.p., con l’equiparazione tra stranieri e cittadini. Il reato c.d. di “immigrazione clandestina” (art. 10 bis d.lgs. n. 286 del 1998) è stato introdotto dal pacchetto-sicurezza del 2009 (l. n. 94 del 200) con l’intento di salvaguardare, attraverso la previsione dell’espulsione quale sanzione sostitutiva irrogata dal giudice, il carattere immediato dell’esecuzione dell’allontanamento. Tale contravvenzione rivela una marcata impronta “simbolica”, cui si associano rilevanti “effetti collaterali” (connessi, in particolare, all’obbligo di denuncia dello straniero irregolare). Si propone l’abrogazione di questa fattispecie: non persuade la sentenza n. 250/2011 della Corte costituzionale che ha salvato l’art. 10-bis, in quanto questa norma è affine all’aggravante ex art. 61, n. 11-bis c.p. dichiarata illegittima (Corte cost. sent. n. 249/2010); entrambe le norme sono quindi espressione di colpevolezza d’autore e non per il fatto; si tratta di una norma penale del tutto inefficace e simbolica, che prevede un regime sanzionatorio irrazionale, in quanto alla pena principale, di carattere pecuniario, che sicuramente il soggetto non sarà in grado di pagare, viene sostituita la sanzione dell’espulsione. più grave della pena principale. A garantire la disciplina dei flussi in ingresso, è quindi sufficiente il procedimento amministrativo di espulsione, presidiato anche dalla sanzione penale.
       
  4. Modificazioni al codice penale
    L’art. 3 prevede la modificazione di alcune disposizioni del codice penale.
    Il presente disegno di legge interviene sulla disciplina penale in materia di osceno. Per comprendere il significato complessivo dell’intervento, è necessario considerare congiuntamente gli interventi proposti dagli artt. 1 e 3 del presente disegno di legge.
    La discussa nozione di «osceno», contenuta nell’art. 529 c.p., pur nella indeterminatezza del parametro valutativo, è stata oggetto di una apprezzabile opera di reinterpretazione da parte della giurisprudenza e della dottrina che ne hanno ridefinito la nozione, contemperandola con l’esigenza di garantire la libertà di atti che esauriscono il propri effetti nella sfera privata. Si è ritenuto di non modificare la nozione di «osceno», in quanto il diritto vivente garantisce sufficiente determinatezza a tale nozione, ma si propone di delimitare fortemente l’area dell’intervento penale nella sostanza alla sola tutela dei minori. In tale direzione, l’articolato:
    1. delimita il delitto di atti osceni ai soli fatti che attualmente costituiscono la circostanza aggravante prevista dall'art. 527, comma 2 c.p.: non rileva più la commissione di atti osceno in luogo pubblico o aperto al pubblico, ma solo gli atti osceni commessi all'interno o nelle immediate vicinanze di luoghi abitualmente frequentati da minori e se da ciò deriva il pericolo che essi vi assistano;
    2. riformula l'art. 527, abrogando l’illecito amministrativo degli atti osceni colposi, attualmente previsto dall'art. 527, comma 3 c.p., in quanto il carattere soggettivamente pregnante del delitto richiede la realizzazione dolosa del fatto;
    3. propone inoltre la depenalizzazione della contravvenzione di atti contrari alla pubblica decenza (art. 726 c.p.) secondo i criteri di depenalizzazione dell'art.1;
    4. modifica l’art. 528 c.p., incentrando la fattispecie sulle pubblicazioni e spettacoli pornografici; l’ambito di applicazione della fattispecie è ulteriormente delimitato dall’interesse a fare in modo che tale materiale non sia esposto o messo in circolazione in modo che minori di anni quattordici possano prenderne visione; è previsto altresì il divieto di accesso di minori di quattordici anni in luoghi in cui si svolgono spettacoli pornografici o esercizi commerciali di oggetti pornografici; al fine di garantire la libertà d’arte e di scienza, si precisa che «non è pornografica l’opera d’arte o di scienza».
      Oltre alla disciplina penale in tema di osceno, si prevede la modificazione dell’art. 689 c.p. (Determinazione dello stato di ubriachezza in minori, infermi di mente, persone manifestamente ubriache), riformulato, a seguito dell’abrogazione degli artt. 690 e 691 c.p., in modo da garantire la tutela penale esclusivamente rispetto ai fatti che offendono soggetti “deboli” (minori, infermi di mente e soggetti in stato di manifesta ubriachezza).
      È stato infine soppresso l'aggettivo “sediziose” nella rubrica della sezione I del capo II del titolo I, libro III del codice penale, in ragione della scelta fatta di abrogare le fattispecie in tema di sedizione.
       
  5. Modificazioni al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 
    Il disegno di legge prevede l’abrogazione e la modificazione di alcune norme del testo unico. Poiché in questo testo normativo le disposizioni sanzionatorie sono costruite utilizzando la tecnica del rinvio, una revisione delle norme del testo unico comporta di riflesso una restrizione degli illeciti penali o amministrativi che sanzionano la violazione di quelle norme.
    In particolare, all’art. 4, si prevede l’abrogazione dei seguenti articoli del R. D. n. 773:
    1. art. 18, comma 2 («E’ considerata pubblica anche una riunione, che, sebbene indetta in forma privata, tuttavia per il luogo in cui sarà tenuta, o per il numero delle persone che dovranno intervenirvi, o per lo scopo o l’oggetto di essa, ha carattere di riunione non privata»);
    2. art. 21 («È sempre considerata manifestazione sediziosa l’esposizione di bandiere o emblemi, che sono simbolo di sovversione sociale o di rivolta o di vilipendio verso lo Stato, il governo o le autorità. È manifestazione sediziosa anche la esposizione di distintivi di associazioni faziose»);
    3. art. 85 (divieto di comparire mascherato in luogo pubblico o dell’uso della maschera nei teatri e negli altri luoghi aperti al pubblico, tranne nelle epoche e con l’osservanza delle condizioni che possono essere stabilite dall’autorità locale di pubblica sicurezza con apposito manifesto);
    4. art. 104 (divieto di corrispondere, in tutto o in parte, mercedi o salari in bevande alcooliche di qualsiasi specie);
    5. art. 105 (divieti inerenti alla fabbricazione, importazione, vendita di assenzio);
    6. art. 112 (divieto di fabbricare, introdurre nel territorio dello Stato, acquistare, detenere, esportare, allo scopo di farne commercio o distribuzione, o mettere in circolazione scritti, disegni, immagini od altri oggetti di qualsiasi specie contrari agli ordinamenti politici, sociali ed economici costituiti nello Stato o lesivi del prestigio dello Stato o dell’autorità o offensivi del sentimento nazionale, del pudore o della pubblica decenza);
    7. art. 114, comma 3 (divieto di pubblicare, nei giornali o in altri scritti periodici, ritratti dei suicidi o di persone che abbiano commesso delitti);
    8. art. 154 (divieto di mendicare in luogo pubblico o aperto al pubblico);
    9. art. 157 (trattasi di disciplina oggi prevista dal d. lgs. 159/2011 sulle misure di prevenzione personali).
      Si propone, inoltre, la modifica di alcuni articoli del testo unico che risentono ancora dell’impostazione etica dello Stato fascista (in particolare il riferimento a concetti generici come «moralità», «sedizione», «prestigio dell’autorità»):
    10. sopprimere, nell’articolo 18, comma 4, le parole “di moralità,”;
    11. sopprimere nell’articolo 20 le parole “o grida sediziose o lesive del prestigio dell’autorità”;
    12. sopprimere nell’articolo 69 le parole: “esporre alla pubblica vista rarità, persone, animali, gabinetti ottici o altri oggetti di curiosità, ovvero dare audizioni all’aperto”;
    13. sostituire l’articolo 100 con il seguente: “Art. 100. – Il Questore può sospendere la licenza di un esercizio nel quale siano avvenuti tumulti o gravi disordini o che comunque costituisca un pericolo per la sicurezza dei cittadini.”
       
  6. La depenalizzazione ‘in concreto’. Alcune premesse
    La presente proposta punta anche ad affiancare agli interventi destinati ad operare sul tradizionale terreno della depenalizzazione c.d. ‘in astratto’, altri strumenti di selezione e sfoltimento endoprocessuale (la c.d. depenalizzazione in concreto), capaci di conferire una maggiore flessibilità al sistema della “giustizia penale”.
    I poli dell’intervento sono da un lato la procedibilità, dall’altro le vicende estintive del reato. Su entrambi i terreni, in ogni caso, si è operato in modo da individuare punti soddisfacenti di equilibrio tra le esigenze di alleggerimento delle pendenze e la tutela degli interessi protetti.
    L’articolato è redatto per gran parte sotto forma di disegno di legge. Descrive cioè fattispecie di immediata operatività.
    In particolare, prevede: l’estensione della punibilità a querela e l’introduzione della particolare tenuità del fatto come causa ostativa alla procedibilità; l’ampliamento e la revisione dei casi e dei presupposti dell’oblazione e l’introduzione di ipotesi di estinzione del reato conseguenti a condotte riparatorie.
    La delicatezza della materia e l’opportunità di un confronto con gli altri dicasteri interessati hanno invece suggerito di ricorrere allo schema del disegno di legge delega con riferimento alla previsione di adeguati meccanismi estintivi in materia ambientale e tributaria.
     
  7. L’estensione della punibilità a querela
    In un’ottica di deflazione del sistema processuale si è pensato innanzitutto ad un ampliamento delle ipotesi di procedibilità a querela della persona offesa.
    La procedibilità a querela costituisce, infatti, un punto di equilibrio e di mediazione fra due opposte esigenze: da un lato, quella di evitare che, nel rispetto del principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale, si determinino meccanismi repressivi automatici che impediscano qualsiasi possibilità di governo effettivo dei fatti realmente offensivi e meritevoli di tutela penale; dall’altro, quello di far emergere e valorizzare l’interesse privato alla punizione del colpevole onde evitare che restino impuniti fatti comunque lesivi di beni primari o che resti frustrata l’esigenza di ristoro, anche morale, della vittima del reato.
    Ampliando la procedibilità a querela si può ottenere anche l’effetto secondario ma parimenti importante, in una logica di riduzione dei carichi processuali, di favorire le ipotesi conciliative che spesso riescono a perfezionarsi proprio nelle fasi preliminari del giudizio, quando si avverte più impellente l’esigenza di evitare l’aggravio ed il rischio del processo prima ancora che della condanna.
    Il sistema non è nuovo all’ampliamento delle ipotesi di perseguibilità a querela per ottenere effetti deflattivi o depenalizzanti. L’ultimo intervento sistematico è stato quello realizzato dalla legge 24 novembre 1981 n. 689 la quale, con un intento analogo a quello che accompagna la presente proposta, ha operato su due diversi fronti, trasformando taluni reati in illeciti amministrativi e facendone diventare altri, originariamente perseguibili d’ufficio, come procedibili a querela.1
    Nella presente proposta s’intende estendere la procedibilità a querela per alcuni reati contro la persona (in particolare alcuni di quelli contro la incolumità e la libertà morale) e contro il patrimonio. Ciò in ragione del carattere essenzialmente privato dell’offesa ed in virtù del fatto che, dal panorama della attuale casistica giurisprudenziale, le fattispecie considerate vedono concreta applicazione in casi molto limitati e per situazioni “bagatellari”. Alle classi di reato sopra indicate (sulle quali l’incidenza della progettata riforma è più ampia) si aggiungono, peraltro, anche le seguenti fattispecie, rispetto alle quali pure si propone, in generale ovvero con riferimento a specifiche sotto-ipotesi, la procedibilità a querela. Esse sono: l’induzione al matrimonio mediante inganno e la molestia o disturbo alle persone.
    D’altro canto, in relazione a reati che già prevedono la procedibilità a querela nella ipotesi-base, si è proceduto a ridurre il novero delle circostanze aggravanti cui la legge collega l’effetto della procedibilità d’ufficio (ad esempio gli artt. 582 e 590 c.p. nonché l’art. 612 c.p.).
    Si prevede, inoltre, la trasformazione della violenza privata (art.610 c.p.) in delitto perseguibile a querela. In questo caso la procedibilità d’ufficio scatta solo al ricorrere di alcune circostanze aggravanti.
    La medesima tecnica di restringere i fattori che determinato la procedibilità d’ufficio è stata seguita per i reati contro il patrimonio individuale: furto, truffa, frode informatica e appropriazione indebita.
    Si segnala infine che, con riguardo ai delitti di cui agli artt. 610, 612 e 640 c.p., al fine di meglio garantire la posizione delle vittime “deboli”, si è introdotta una formulazione generale che prevede la procedibilità d’ufficio quando il fatto è commesso in danno di minore o di persona in stato di infermità o deficienza psichica, categorie già presenti nel codice.
    La proposta prevede i nuovi casi di procedibilità a querela negli articoli da 5 a 13.

    7.1 Lesioni personali
    L’art. 5 attiene all’estensione della procedibilità a querela nella ipotesi di lesioni di cui al primo comma dell’art. 582 c.p., ossia lesioni che determino una malattia di durata superiore a venti giorni, con esclusione del caso in cui ricorrano le aggravanti di cui all’art. 583 e 585 c.p.. La ratio è quella di estendere la logica dell’ “azione” privata in relazione unicamente al parametro della gravità sostanziale della lesione, procedendo in progressione rispetto all’intervento già operato dal legislatore del 1981.

    7.2 Violenza privata
    L’art. 6 prevede l’estensione della procedibilità a querela nel caso di violenza privata di cui all’art. 610 c.p.
    La previsione tiene conto del fatto che le condotte che sono ritenute integrare il reato di violenza privata, nella giurisprudenza prevalente, spesso non vanno oltre la dimensione strettamente interindividuale; dimensione che, quindi, si è inteso valorizzare escludendo la procedibilità d’ufficio.
    Ad esempio, viene ritenuto integrare il reato di violenza privata ai sensi dell’art. 610 c.p. il comportamento di colui che, avendo parcheggiato l’auto in maniera da ostruire l’ingresso al garage condominiale, si rifiuti di rimuoverla nonostante la richiesta della persona offesa (Cass. Sez. 5, n. 603 del 18/11/2011). E’ ampia la casistica di comportamenti similari a quello descritto, in cui l’autore si limita a frapporre ostacoli al passaggio di un altro soggetto. Quando l’offesa assume caratteri più gravi, si passa quasi sempre a ravvisare altre ipotesi specifiche di reato quali resistenza a pubblico ufficiale, violenza sessuale, estorsione, etc. Restano procedibili d’ufficio le fattispecie di cui al secondo e terzo comma dell’art. 610 c.p.

    7.3. Minaccia
    L’art. 7 prevede l’estensione della procedibilità a querela nell’ipotesi prevista dall’art. 612, comma 2.
    Si ritiene che il concetto di “gravità” della minaccia introduca un elemento di valutazione troppo ampio, lasciato all’interprete, con la conseguenza che possono determinarsi, in ordine alla perseguibilità in assenza di querela, disparità notevoli di trattamento a seconda delle diverse sensibilità del giudice, che ritenga tali situazioni gravi o meno. In questo modo si sottrae il parametro della gravità alla sfera della procedibilità per ricondurlo, più razionalmente, nell’ambito della misura della pena.
    Resta invece perseguibile d’ufficio la minaccia fatta in uno dei modi indicati dall’articolo 339 c.p., stante la intrinseca pericolosità della fattispecie e la minaccia commessa in danno di soggetto “debole”.

    7.4 Furto
    Con l’art. 8 si passa all’ambito dei reati contro il patrimonio e, segnatamente, al furto.
    La logica è quella di consentire che non solo il furto “semplice” – quasi mai ravvisabile e ravvisato – ma anche alcune ipotesi socialmente meno allarmanti di furto aggravato possano rientrare nell’alveo dei reati perseguibili a querela. Rimane invece perseguibile d’ufficio il furto aggravato dalle circostanze previste nei numeri 3) (in ragione della pericolosità) e 7) (in ragione del bene pubblico protetto) dell’art. 625 c.p.

    7.5 Truffa e frode informatica
    Analogo ragionamento vale con riferimento agli artt. 9 e 10 che hanno ad oggetto, rispettivamente, i delitti di truffa e di frode informatica. Quanto all’art. 9, esso estende la procedibilità a querela alla truffa aggravata a meno che non si tratti delle aggravanti di cui al numero 1 del 2 comma (in ragione della pubblicità del bene giuridico protetto) dell’art. 640 c.p., o numeri 5 (per il pericolo) e 9 (per l’insidiosità della condotta) dell’art. 61 c.p. ovvero, in generale, per la tutela dei soggetti più deboli. Anche per l’art. 640-ter c.p. viene ristretto il novero delle circostanze aggravanti in grado di far scattare la procedibilità d’ufficio, alla sola ipotesi di cui al numero 9 dell’art. 61 c.p.

    7.6 Appropriazione indebita
    L’art. 12 limita la procedibilità d’ufficio per l’appropriazione indebita al ricorrere solo di alcune delle circostanze di cui all’art. 61 n. 11, che l’attuale formulazione della disposizione richiama. In particolare, viene introdotta la necessità della querela nelle ipotesi in cui l’appropriazione indebita avvenga con “abuso di relazioni di coabitazione o di ospitalità”, sembrando opportuno, in relazioni alle situazioni comprese dalle relazioni sopra indicate, lasciare che l’attivazione della pretesa punitiva sia condizionata dalla dichiarazione di volontà del privato.
    Anche in ragione dell’esigenza di mantenere nel sistema un efficace strumento di contrasto alle attività offensive di patrimoni collettivi, ed in particolare alla criminalità economica, si è scelto di mantenere ferma la regola della procedibilità d’ufficio per l’appropriazione indebita commessa, oltre che con abuso di autorità o di relazioni domestiche, anche con abuso di relazioni di ufficio o di prestazioni d’opera.

    7.7 Induzione al matrimonio mediante inganno
    L’art. 13, in ragione del contenuto dell’offesa, prevede per il reato di cui all’art. 558 c.p. la procedibilità a querela della persona offesa.

    7.8. Molestia o disturbo alle persone
    Il regime della procedibilità a querela, infine, è proposto (art. 14) per la contravvenzione di cui all’art. 660 c.p., della quale accentua il profilo della tutela degli interessi personali del soggetto molestato piuttosto che dei generici ed indeterminati beni dell'ordine pubblico e della tranquillità pubblica.
     
  8. L’esclusione della procedibilità per la particolare tenuità del fatto
    Tra i meccanismi deflativi proposti, la previsione generalizzata della ‘particolare tenuità del fatto’ rappresenta probabilmente la novità più significativa.
    Già sperimentato nel procedimento minorile e in quello dinanzi al giudice di pace, questo meccanismo di ‘auto-riduzione’, finalizzato a restituire razionalità ed economicità al sistema, fa dunque ingresso nella giustizia ordinaria.
    Come noto, l’istituto non prende in considerazione fatti inoffensivi, che in quanto tali non hanno rilevanza penale, bensì fatti che, seppur offensivi e quindi ‘tipici’, sono però caratterizzati da un disvalore così attenuato da non giustificare l’esercizio dell’azione penale.
    Prendendo a riferimento la disposizione dell’art. 34 d.lgs. 274/2000, la disposizione proposta prevede che non si proceda quando il fatto è di particolare tenuità per le modalità della condotta, l’esiguità del danno o del pericolo, il grado di colpevolezza e l’occasionalità.

    8.1 L’inquadramento della tenuità del fatto tra le cause di improcedibilità
    Con riferimento alla natura giuridica dell’istituto, si è optato, dopo ampia discussione, per la collocazione della figura della tenuità del fatto nel quadro della procedibilità, in modo da ottenere che risultati di ‘sbarramento’ possano realizzarsi già per effetto delle determinazioni inerenti l’esercizio dell’azione penale.
    In particolare, si è ritenuto opportuno inserire la nuova figura all’interno del codice penale e, precisamente, nell’art. 131 bis, all’interno del capo IV del titolo IV del libro I, dedicato, appunto, alla disciplina sostanziale delle condizioni di procedibilità.
    A tale opzione ‘sostanzialistica’ seguiranno i naturali assestamenti della disciplina processuale, secondo la logica generale del sistema.
    Così, la qualificazione dell’istituto come condizione di non procedibilità (“…non si procede quando….”), consentirà di collocare il giudizio sulla tenuità del fatto già nel quadro dell’archiviazione, ai sensi dell’art. 411 c.p.p. la cui formulazione ovviamente non necessita interventi.
    Ugualmente, non sembra necessario introdurre per il caso della tenuità del fatto una norma che chiarisca la logica sulla quale dovrebbero basarsi la richiesta e l’eventuale successivo provvedimento di archiviazione. I parametri di riferimento, infatti, andranno necessariamente coordinati con le diposizioni vigenti che governano gli epiloghi decisioniali nelle sequenze procedimentali in questione (in particolare art. 125 att. c.p.p.).
    Infine, per quanto concerne le fasi successive, e comunque in ogni stato e grado del processo, la tenuità del fatto potrà comunque operare attraverso l’art. 129 c.p.p.

    8.2 I requisiti costitutivi della tenuità del fatto
    Come emerge dalla lettura della norma, l’effetto della non procedibilità scaturisce all’esito di una valutazione globale di tutti gli elementi che concorrono a definire la gravità del reato: tenuità, infatti, è caratteristica che coinvolge tutto il reato e sta ad indicare l’esiguità del disvalore complessivo dell’illecito.
    In particolare, i primi due criteri indicati – le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo – attengono alla dimensione oggettiva del reato. Quanto in particolare, all’esiguità del danno o del pericolo, occorre forse precisare che tale criterio si riferisce al livello quantitativo dell’offesa e dovrà essere valutato in relazione all’interesse tutelato dalla norma.
    Il terzo criterio, relativo al grado della colpevolezza, concorre a connotare la tenuità del fatto sotto il profilo soggettivo: sotto questo punto di vista, dovranno quindi essere valutati l’intensità del dolo, il grado della colpa, ma anche la presenza di semi-scusanti, l’eventuale riduzione della capacità di intendere e di volere e la scarsa conoscibilità del precetto penale.
    Il quarto criterio, infine, riguarda l’occasionalità del fatto: accogliendo l’interpretazione che la dottrina e la giurisprudenza maggioritaria hanno dato a questo requisito con riferimento all’istituto del giudice di pace, è da ritenersi occasionale la condotta che appaia destinata a non ripetersi ad opera dell’imputato, ossia la condotta che appaia estranea al modus vivendi dello stesso.
    Al fine di assicurare al magistrato la possibilità di accertare l'occasionalità del fatto, è stato previsto, tra le norme di coordinamento (art. 18, comma 4), l'inserimento nel casellario giudiziale anche dei provvedimenti che dichiarano l'improcedibilità ai sensi dell'art. 131-bis c.p..
    La tipizzazione dei parametri costitutivi della tenuità del fatto, il cui accertamento è rimesso alla valutazione discrezionale del giudice, risponde all’esigenza di individuare in via generale ed astratta i canoni che regolano l’esercizio dell’azione penale, precludendo qualsiasi spazio di apprezzamento ispirato a valutazioni di opportunità e rendendo così l’istituto conforme al principio dell’obbligatorietà di cui all’art. 112 Cost.

    8.3 L’ambito applicativo
    Un aspetto delicato riguarda la determinazione dell’ambito applicativo della figura, aspetto che ha costituito l’oggetto di una articolata discussione all’interno della Commissione. Secondo una prima prospettazione, la tenuità del fatto potrebbe considerarsi meccanismo idoneo ad operare in relazione a tutti i reati, senza considerazione dunque della astratta gravità del reato. Tale soluzione muove dall’idea che anche reati astrattamente ‘gravi’ possono, in concreto, risultare esigui.
    Secondo una diversa prospettazione, poi accolta, la causa di improcedibilità in esame dovrebbe operare solo per reati puniti con pene contenute entro un certo limite edittale: ciò in considerazione del fatto che l’intrinseca gravità dei reati puniti con pene molto elevate contrasta con la possibilità di individuare, sulla base di valutazioni di tipo gradualistico, fatti ‘in concreto’ esigui.
    Si è così ritenuto di limitare l’ambito di applicabilità della clausola di irrilevanza del fatto alle contravvenzioni e ai delitti puniti con la pena della reclusione non superiore nel minimo a tre anni. La scelta di riferirsi al minimo edittale si spiega con il fatto che esso esprime il quantum di pena pensato dal legislatore per le sottofattispecie bagatellari di ogni fattispecie di reato.
    Al fine di evitare dubbi interpretativi sul computo della pena, è stata espressamente esclusa la valutazione delle  circostanze, salvo che si tratti di circostanze ad effetto speciale o di circostanze per le quali la legge prevede una pena diversa da quella ordinaria del reato o per le quali determina la misura in modo indipendente. La scelta di attribuire rilevanza esclusivamente a queste circostanze si giustifica in ragione della loro peculiarità: come noto, infatti, le modalità di determinazione autonoma della pena riflettono una valutazione legislativa in ordine al disvalore del fatto che avvicina tali circostanze ad elementi di fattispecie autonome di reato.
    Infine, la presenza, all’interno dell’ordinamento, di circostanze attenuanti o di fattispecie autonome che danno rilievo alla tenuità del fatto ha convinto dell’opportunità di specificare, in via normativa, il rapporto tra quelle disposizioni e la causa di non procedibilità qui prevista: lo scopo della previsione è di evitare che le norme che contemplano la tenuità del fatto siano considerate prevalenti, in virtù di un supposto rapporto di specialità, e di chiarire, al contrario, che esse hanno un carattere residuale, essendo destinate ad operare laddove l’art. 131-bis c.p. non possa trovare applicazione (come, ad esempio, nel caso in cui il fatto, pur tenue, non sia occasionale).
     
  9. Le disposizioni in materia di estinzione del reato. L’estensione dell’oblazione ai delitti
    Tra gli strumenti presumibilmente in grado di realizzare apprezzabili effetti di deflazione processuali vi è l’estensione dell’oblazione anche ai delitti (capo II).
    In particolare, la proposta è quella di modificare sia l’art. 162 c.p., prevedendo l’oblazione c.d. obbligatoria anche per i delitti puniti con la sola pena pecuniaria, sia l’art. 162 bis, prevedendo l’oblazione c.d. facoltativa anche per i delitti puniti con pene alternative.
    Con riferimento ai termini di proposizione dell’oblazione, restano fermi quelli attualmente vigenti, nel senso cioè che il reo è ammesso (o può essere ammesso) al pagamento della somma stabilita prima dell’apertura del dibattimento ovvero prima del decreto di condanna. Resta ugualmente invariata anche la disciplina dettata dall’art. 141-bis att. c.p.p.
     
  10. Estinzione del reato in seguito al compimento di condotte riparatorie
    A fianco dell’oblazione, si propone anche l’introduzione di una ipotesi generale di estinzione del reato in presenza di condotte riparatorie: tale strumento permette di affiancare all’istanza deflattiva il rafforzamento dell’idea della cd. giustizia riparativa, con l’attribuzione al procedimento di una funzione conciliativa tra autore e vittima del reato.
    Ciò è in linea con un diritto penale informato al principio della sussidiarietà – di cui del resto anche la clausola dell’irrilevanza del fatto è espressione: principio in base al quale la pena non deve essere applicata se gli scopi di prevenzione possono essere raggiunti con strumenti meno afflittivi.
    Secondo la proposta formulata nell’articolato, il meccanismo estintivo legato a condotte di tipo riparatorio – ora operante, come noto, nel solo sistema del giudice di pace -  fa ingresso nel sistema della giustizia ordinaria attraverso l’art. 162-ter c.p., la cui disciplina si richiama, in gran parte, all’art. 35 d.lgs. 2000/274.
    Innanzitutto, quanto all’ambito applicativo, il nuovo 162-ter c.p. riguarda tutti i delitti procedibili a querela: tale previsione muove dall’idea che il giudice possa ‘scavalcare’ l’eventuale persistenza della volontà punitiva del querelante, in presenza di condotte idonee a reintegrare l’offesa recata agli interessi lesi dal reato. Subordinare l’estinzione del reato alla congruità ed all’effettività delle attività risarcitorie e riparatorie  in realtà non vanifica gli interessi tutelati dalla norma penale ma, al contrario, ne riafferma e rafforza il valore, promuovendone la reintegrazione.
    Del resto, è questa la ragione per la quale, discostandosi dalla disciplina prevista nell’art. 35 d.lgs. 274/2000, non si è ritenuto di dover affiancare alla valutazione circa l’idoneità delle attività risarcitorie e riparatorie anche la considerazione delle esigenze di riprovazione del reato e di prevenzione.
    Quanto al procedimento, al fine di porre un argine ad eventuali ravvedimenti ‘tardivi’, si è previsto che la dichiarazione di estinzione del reato debba intervenire entro l’apertura del dibattimento, ovvero prima del decreto di condanna. Analogamente a quanto previsto dall’art. 35 d.lgs. 274/2000, un’eccezione a tale barriera temporale è prevista nell’ipotesi in cui l’imputato dimostri di non aver potuto adempiere in precedenza: in questo caso, il giudice, oltre che assegnare un termine per l’adempimento, può altresì impartire prescrizioni finalizzate, ove possibile, all’eliminazione delle conseguenze del reato. Il termine, che ai sensi dell’art. 35 d.lgs. 274/2000, è di tre mesi, è in questo caso di un anno, in considerazione di richieste risarcitorie o riparatorie presumibilmente più consistenti di quelle ipotizzabili per i reati di competenza del giudice di pace ed è inoltre suscettibile di rateizzazione.
    Territorio ‘ideale’ dei meccanismi estintivi fondati su condotte riparatorie è quello dei reati contro il patrimonio: in tale ambito, proprio in ragione della natura patrimoniale degli interessi offesi, si è prevista l’operatività dell’art. 162-ter c.p. anche per i delitti procedibili d’ufficio, ma con l’eccezione dei delitti caratterizzati da violenza. Da qui la previsione dell’art. 649-bis che consente appunto l’applicazione dell’art. 162-ter per tutti i delitti, anche procedibili d’ufficio, contenuti nel titolo XIII del libro II del codice penale, con le eccezioni delle ipotesi di cui agli artt. 628, 629, 630, 644, 648 bis, 648 ter c.p.
     
  11. Gli interventi in materia ambientale e tributaria
    In considerazione del fatto che la tutela penale dell’ambiente costituisce un territorio difficilmente accessibile ad interventi di depenalizzazione in astratto (sia in considerazione della rilevanza dei beni giuridici coinvolti, sia degli obblighi di conformazione alle normative europee: risulta quanto mai opportuno introdurre in questo settore meccanismi estintivi legati all’adempimento di prescrizioni: meccanismi che, oltre ad essere funzionali ad un obiettivo di deflazione del sistema, permettono anche di conseguire utili risultati sul versante della tutela dei beni giuridici.
    Stante la complessità del sistema e la necessità di approfondite conoscenze delle tematiche ambientali, è apparso più corretto  indicare dei criteri direttivi per una legge delega al Governo in materia. Le ipotesi prese in considerazione sono quelle relative alle violazioni delle autorizzazioni. Si segnala, infine, la necessità di coordinare il sistema delle prescrizioni con le norme che assegnano all’Amministrazione poteri di diffida.
    Si è ritenuto utile di estendere analogo intervento al settore dei reati in materia tributaria. Qui il regime della non punibilità, previsto per le ipotesi dei reati di cui agli artt. 10 bis e ter d.lgs. 74/2000, è stato allineato, per ragioni di coerenza del sistema, con quello previsto dall’art. 2 d.l. 463/1983.
     
  12. Disposizioni di coordinamento, transitorie e finali
    Con riferimento al titolo III del presente disegno di legge, si segnalano l'art. 18, comma 4, che prevede la modificazione della disciplina del casellario giudiziale con inserimento anche dei provvedimenti che dichiarano l'improcedibilità ai sensi dell'art. 131-bis c.p.(v. la presente relazione al § 8.2), e l’art. 21, nel quale si è voluta raccogliere l’indicazione del Presidente Prof. Fiorella circa l’introduzione di una “anagrafe delle fattispecie penali” che, consentendo finalmente di stabilire il numero esatto dei reati esistenti nel nostro ordinamento, permetterebbe di calibrare in modo razionale gli interventi di depenalizzazione. Si tratterebbe inoltre di un fondamentale strumento per il cittadino, che realizzerebbe efficacemente la funzione di orientamento della norma.

1 In particolare, a seguito di quell’intervento, sono diventati perseguibili a querela: il falso in scrittura privata nonché su foglio firmato in bianco nonché le condotte di falso di cui agli artt. 488, 489 e 490 c.p. in relazione alla scrittura privata; la violazione degli obblighi di assistenza familiare art. 570 c.p.); le lesioni personali “lievissime” (quando la durata della malattia sia inferiore a venti giorni, non ricorrendo talune aggravanti, art. 582, 2^ co., c.p.); le lesioni colpose (escluse le gravi e le gravissime) se il fatto viola norme intese a prevenire gli infortuni sul lavoro o attinenti alla igiene, ovvero ha causato una malattia professionale (art. 590, 5^ comma, c.p.); sottrazione di cose comuni (art. 627 c.p.), usurpazione (art. 631 c.p.), deviazione di acque o atti che alterino lo stato dei luoghi (art. 632 c.p.) introduzione o abbandono di animali nel fondo altrui e pascolo abusivo (art. 636 c.p.), salvo che siano commessi su acque, terreni, fondi pubblici o destinati a uso pubblico (art. 639 – bis c.p.) e la truffa semplice (art. 640, 3^ comma, c.p.).

Proposta di articolato